Tumori pediatrici

I Video dei protagonisti: la storia di Simone

Le date che hanno cambiato il futuro dei piccoli pazienti

Dagli anni Sessanta agli anni Settanta

1967

Un gruppo di ricercatori dimostra per la prima volta che si può ottenere una remissione prolungata della leucemia linfoblastica acuta aggiungendo alla chemioterapia la radioterapia mirata e la farmacoterapia intratecale.

 

1970

Il trapianto di midollo, che può curare molti bambini colpiti da leucemie e linfomi, viene sperimentato per la prima volta sull'uomo.

 

1972

Nasce l’Intergroup Rhabdomyosarcoma Study Group (IRSG), una delle prime reti di ricerca dedicate allo studio di un singolo tumore raro. La mortalità causata dai sarcomi dei tessuti molli diminuirà del 50% dal 1975 al 2010.

 

1975

Sono pubblicati i risultati dei primi studi che dimostrano come la chemioterapia dopo la chirurgia aumenti la sopravvivenza dei bambini colpiti da osteosarcoma, diventando uno standard di cura per questa malattia nel 1986.

Dagli anni Ottanta agli anni Novanta

1982

La Food and Drug Administration (FDA) approva il primo vaccino contro il virus dell’epatite B, una delle cause principali di cancro del fegato. Nel 1991 l'Italia introduce la vaccinazione di routine nei bambini.

 

1987

Uno studio clinico dimostra per la prima volta che la chemioterapia neoadiuvante (prima della chirurgia) consente ai chirurghi di intervenire su osteosarcomi molto più piccoli, evitando l’amputazione degli arti.

 

1988

La curabilità della leucemia linfoblastica acuta, la forma più comune di leucemia infantile, supera la barriera dell’80% con l’introduzione delle prime chemioterapie combinate.

 

1991

Scoperto il legame tra l’oncogene MYCN e la risposta alle cure per il neuroblastoma. I medici possono distinguere tra pazienti che devono essere trattati aggressivamente e pazienti che possono essere sottoposti a cure più leggere.

 

1998

Parte il Childhood Survivor Study che stimerà un rischio 5 volte maggiore di sviluppare malattie cardiovascolari o un secondo cancro nel corso della vita tra chi si è ammalato da piccolo, aprendo la strada a misure di prevenzione specifiche

Gli anni Duemila e Oggi

2004

Pubblicati i risultati di uno studio sui rischi del fumo passivo, dimostrando che chi convive con un fumatore (partner e figli soprattutto) ha un rischio di ammalarsi di cancro al polmone più elevato di chi vive con non fumatori.

 

2009

Arriva la prova che l’imatinib, primo farmaco mirato contro la leucemia linfoblastica acuta, è efficace anche nei bambini e tiene sotto controllo l’80% dei casi.

 

2010

Tra il 1975 e il 2006, nei soli USA, sono stati evitati 38.000 decessi per tumore infantile, anche se l’incidenza è aumentata. Merito di cure più efficaci

 

2017

I risultati di uno studio italiano che migliora la tecnica del trapianto aploidentico da genitore sono pubblicati sulla rivista Blood. Grazie all’introduzione del cosiddetto “gene suicida” iC9 nelle cellule del donatore, i ricercatori hanno ridotto drasticamente il rischio di mortalità nei bambini con difetti congeniti del sistema immunitario che ricevono questo tipo di trapianto.

 

2018

Un anno dopo gli Stati Uniti, anche l’Unione Europea ha approvato la terapia cellulare con CAR-T per il trattamento della leucemia linfoblastica acuta a cellule B dei bambini. Si tratta di globuli bianchi del paziente “addestrati” in laboratorio a riconoscere e uccidere le cellule tumorali.

 

OGGI 

l'82% dei bambini e l'86% degli adolescenti che si sono ammalati di cancro sono in vita a cinque anni dalla diagnosi di tumore; 3 su 4 guariscono completamente!

La ricerca ha fatto grandi passi avanti nella diagnosi e nella cura delle neoplasie dei bambini e dei ragazzi. La strada è però ancora lunga e non per tutti i tumori si sono raggiunti i risultati ottenuti nelle leucemie e nei linfomi.

I tumori pediatrici in cifre

L'aumento dell'incidenza (cioè del numero di nuovi casi ogni anno) dei tumori infantili registrato in Italia fino alla seconda metà degli anni Novanta si è arrestato. AIRTUM, l'Associazione italiana registri tumori, stima che per il quinquennio 2016-2020, in Italia, siano state diagnosticate 7.000 neoplasie tra i bambini e 4.000 tra gli adolescenti (15-19 anni), in linea con il quinquennio precedente. La media annuale stimata è di 1.400 casi nella fascia d’età 0-14 anni e 900 in quella 15-19 anni.
Si continua a osservare una leggera crescita solo per alcuni tipi di tumore tra gli adolescenti: nel periodo 1998-2008 sono aumentate del 2 per cento circa ogni anno le diagnosi di tumori maligni tra le ragazze, mentre in entrambi i sessi si è registrato un incremento di tumori della tiroide (+8 per cento l'anno). Si tratta di malattie che, tuttavia, hanno un'ottima prognosi. (L'aumento di diagnosi di tumori della tiroide è attribuibile soprattutto a un incremento della sorveglianza anche in assenza di sintomi: si tratta nella maggioranza dei casi di tumori indolenti e poco pericolosi che in passato non erano diagnosticati).

Quali sono i tumori pediatrici più comuni?

I tumori più frequenti tra gli 0 e i 19 anni sono le leucemie acute, con circa 500 nuovi casi ogni anno, ovvero un terzo di tutte le nuove diagnosi; seguono con 400 nuovi casi i tumori cerebrali. Entrando più nel dettaglio, anche nella fascia d’età 0-14 anni la leucemia è il tumore più diffuso, e in particolare la leucemia linfoblastica acuta, i cui pazienti hanno tassi di sopravvivenza nell'ordine del 90 per cento. Secondi per frequenza sono i linfomi (16 per cento), a cui seguono i tumori maligni del sistema nervoso centrale (13 per cento), tra cui il glioma, i tumori del sistema nervoso autonomo (8 per cento), tra cui il neuroblastoma, i sarcomi dei tessuti molli (7 per cento), i tumori del rene (5 per cento), delle ossa (5 per cento), della retina, della tiroide e altre forme rare. Tra gli 0 e i 5 anni il tumore più frequente è il neuroblastoma (che rappresenta circa il 7-10 per cento di tutti i tumori in questa fascia d’età).

Se guardiamo agli adolescenti, quindi alla fascia di età tra i 15 e i 19 anni, le cose cambiano: i più frequenti sono i linfomi di Hodgkin (24 per cento), seguono i tumori della tiroide (11 per cento), le leucemie (11 per cento), i tumori delle cellule germinali (10 per cento), i linfomi non-Hodgkin (8 per cento), i tumori del sistema nervoso centrale (7 per cento), il melanoma (7 per cento), i sarcomi delle parti molli (6 per cento) e i tumori dell’osso (5 per cento).

Per saperne di più sui tumori pediatrici più diffusi è disponibile online la nostra Guida ai tumori pediatrici.

Da che cosa sono causati i tumori pediatrici?

Nella maggior parte dei casi i tumori infantili non dipendono dagli stili di vita, sui quali l'individuo può intervenire cambiando abitudini, ma da fattori non del tutto noti, per cui è più difficile pensare a interventi di prevenzione. Alcuni tumori rari, come il retinoblastoma o il tumore al rene di Wilms, sono provocati da mutazioni ben conosciute e/o appartengono, in una significativa percentuale dei casi, a condizioni ereditarie ben note, ma per la maggior parte degli altri tipi di tumori non si riconoscono cause chiare delle malattie.

Per quanto riguarda i fattori ambientali, che spesso finiscono sul banco degli imputati, sappiamo che in generale possono avere un ruolo nella formazione dei tumori – basta per esempio pensare al fumo di sigaretta, anche passivo ‒ ma nella maggioranza dei casi non si riesce a stabilire una correlazione certa tra un agente chimico o fisico e l’insorgenza di un singolo caso di cancro.
Infine, è importante sottolineare che i genitori non hanno alcuna responsabilità per il cancro che può colpire i propri figli. Quando viene comunicata la diagnosi, molti genitori sono assaliti da sensi di colpa che li portano a pensare che la causa risieda in abitudini poco salutari tenute magari anche in gravidanza. È importante ribadire che nella stragrande maggioranza dei casi non hanno alcuna responsabilità. I genitori possono però decidere di proteggere i propri figli dallo sviluppo di alcuni tipi di tumori attraverso specifiche vaccinazioni: quella contro il virus dell’epatite B, per evitare il cancro del fegato a cui predispone questa malattia, e la vaccinazione contro l’HPV, a partire dai 12 anni, per prevenire insieme all’infezione i tumori, tra gli altri, del collo dell’utero, del pene, dell’ano e del cavo orale.

I tumori pediatrici sono sempre più curabili

Quel che è decisamente cambiato, negli ultimi quarant'anni, è il tasso di mortalità dei tumori pediatrici, che è in netta diminuzione. I bambini e i ragazzi tra 0 e 19 anni che muoiono di tumore sono sempre meno: nel 2008 i decessi erano circa un terzo di quelli registrati nei primi anni Settanta, e oggi oltre l’80 per cento dei pazienti guarisce.

I tumori ematologici. Sono i tumori del sangue (e in particolare le leucemie) a mostrare i successi maggiori, con una sopravvivenza che per alcuni tipi di tumore oggi supera il 90 per cento dei casi. Il merito è largamente attribuibile all'uso della chemioterapia secondo schemi messi a punto grazie alla cooperazione internazionale fra oncologi e pediatri. Ai successi del trattamento farmacologico si aggiunge quello del trapianto di midollo, di cui i medici italiani sono stati promotori e pionieri. Più di recente, per alcuni tipi di tumori ematologici, si sono cominciati a impiegare farmaci immunoterapici e, nelle forme refrattarie o recidivanti altrimenti incurabili, le cosiddette cellule CAR-T. Quest’ultimo è un trattamento che prevede il prelievo dei linfociti T dai pazienti e la loro modifica genetica in laboratorio. Nel DNA di questi linfociti è inserito un gene che fa esprimere un recettore, chiamato CAR, che potenzia l’azione dei linfociti contro il tumore. Quando le cellule CAR-T sono reinfuse nei pazienti, riconoscono e attaccano le cellule tumorali presenti nel sangue e nel midollo, fino a eliminarle.

I sarcomi. Anche nel campo dei sarcomi ossei e dei tessuti molli si riscontrano grandi passi avanti, in particolare grazie alla migliore capacità di individuare le caratteristiche molecolari della malattia e di trovare la cura più adatta. La chemioterapia somministrata prima dell'intervento chirurgico (e per questo detta “neoadiuvante”), con un protocollo studiato a fondo anche dall'Istituto Rizzoli di Bologna, è in grado di evitare gli interventi mutilanti che un tempo erano l'unica possibilità di salvezza per i giovani colpiti questi sarcomi. Questo cambio di passo nel trattamento chemioterapico, come pure nella chirurgia, ha di molto migliorato le percentuali di sopravvivenza, che oggi per la malattia localizzata raggiungono il 70 per cento circa.

Il neuroblastoma. Progressi significativi sono stati fatti anche nella cura del neuroblastoma, grazie all’utilizzo di farmaci a bersaglio molecolare come gli inibitori di ALK, un’alterazione presente nel 10 per cento circa dei casi di neuroblastoma. Anche l’impiego dell’immunoterapia ha dato un contributo alla cura di casi specifici, come per esempio per il neuroblastoma ad alto rischio, che ha un’elevata probabilità di recidiva. Già da diversi anni contro questo tipo di tumore si utilizza un anticorpo anti-GD2. Le terapie convenzionali, come chemioterapia, chirurgia e radioterapia, restano comunque un pilastro del trattamento del neuroblastoma, ma anche in questo caso la conoscenza più approfondita della malattia ha consentito di migliorare gli approcci. Studiando in maniera più approfondita i pazienti alla diagnosi, è possibile stratificarli, ovvero identificarne il rischio di recidiva o non risposta. In questo modo, è possibile sapere per quali malati è preferibile intensificare la chemioterapia perché hanno una probabilità maggiore di trarne giovamento e per quali è invece meglio non esporre a ulteriore tossicità, visto che hanno buone chances di rispondere alla terapia standard.

Infine, un’importante novità sono i farmaci agnostici, il cui impiego non dipende dall’organo colpito dalla malattia ma da caratteristiche genetiche che possono essere comuni a più tipi diversi di tumore. Nello specifico, oggi sono approvati anche in ambito pediatrico per tumori solidi caratterizzati da fusione dei geni NTRK (recettore tirosin-chinasico neutrofico), come per esempio nel fibrosarcoma infantile.

La vita dopo il cancro

Pur essendo guariti, molti ex pazienti oncologici pediatrici definiscono se stessi come “long term survivor” o sopravviventi di lungo corso. Si tratta di un modo di identificarsi con la malattia, che dimostra quanto può essere difficile lasciarsi alle spalle, sia psicologicamente sia fisicamente, un'esperienza tanto dura.

Gli ultimi dati dicono che, dopo la diagnosi, tre bambini su quattro guariscono completamente. Crescendo, queste persone (il cui numero in Europa oggi si stima tra 300.000 e 500.000) escono dalle competenze dell'oncologo pediatra, ma, purtroppo, non esiste ancora una figura professionale che le possa accompagnare nell'età adulta. Non perché richiedano cure particolari (possono e devono condurre una vita del tutto normale), ma perché devono comunque prestare una speciale attenzione ad alcuni aspetti della loro salute, che possono essere stati condizionati dalle cure cui sono stati sottoposti. Per tale motivo stanno nascendo in diversi Paesi strutture sanitarie dedicate a questa fascia di popolazione. Alcuni grandi studi ancora in corso stanno cercando di stabilire una relazione tra il tipo e la dose di cure ricevute e il rischio di effetti nel tempo, indipendentemente dal tipo di tumore per il quale sono state somministrate.
La maggior parte di coloro che sono guariti da un tumore pediatrico gode di buona salute; tuttavia una minoranza subisce ancora le conseguenze della malattia o gli effetti secondari delle cure. I medici stessi, talvolta, non sanno definire con esattezza quanto le terapie somministrate a pazienti bambini possano incidere sulla crescita o sulla possibilità di avere figli, quanto aumentino la probabilità di sviluppare malattie del cuore o quale sia il rischio di sviluppare un altro tumore indotto dai trattamenti per la cura della neoplasia primitiva. Si sa tuttavia che, per esempio, alcuni medicinali come le antracicline ad alte dosi possono danneggiare il cuore, gli alchilanti possono compromettere la fertilità, alte dosi di cortisone o la radioterapia possono influire sulla crescita e la struttura delle ossa e così via. Alcune di queste conseguenze variano a seconda dell'età e delle caratteristiche individuali. Chi è portatore di geni che favoriscono lo sviluppo del cancro potrà avere un maggior rischio di sviluppare un'altra malattia tumorale, mentre chi segue sani stili di vita potrà ridurre questo rischio come quello delle malattie del cuore. Scopo della ricerca oncologica pediatrica è mettere a punto farmaci sempre più mirati alle specificità dell’organismo in crescita, limitando le sequele nella successiva vita adulta. Con l'aumento del numero di giovani che superano la prova di un tumore, i medici si trovano davanti a una nuova sfida: consentire loro di vivere una vita quanto più normale possibile, preservando la loro possibilità di diventare genitori.

Dove sta andando la ricerca?

La ricerca preclinica si sta concentrando innanzitutto sull’immunoterapia, in particolare sulla messa a punto di nuovi anticorpi più efficaci quali gli anticorpi bispecifici, che hanno la capacità di legarsi sia alle cellule tumorali sia alle cellule T del sistema immunitario. In questo modo creano un ponte tra tumore e, appunto, sistema immunitario, e attivano quest’ultimo in modo specifico contro la malattia. Un esempio di successo di anticorpo bispecifico è il blinatumomab, utilizzato oggi per trattare alcune forme di leucemia linfoblastica acuta. Un altro tipo di anticorpi che sta dando risultati importanti per i pazienti con leucemia linfoblastica acuta sono quelli associati a un farmaco, e quindi in grado di legare in modo specifico la cellula leucemica e di veicolare al suo interno un farmaco chemioterapico. Sono invece ancora in una fase più preliminare di ricerca gli studi finalizzati a usare questi anticorpi anche per trattare i tumori solidi, incluso il neuroblastoma e i tumori cerebrali come il glioma.

Proseguono anche le ricerche sulle cellule CAR-T, con l'obiettivo di svilupparne di nuove dirette contro antigeni diversi, come per esempio B7H3, e sono in fase di sviluppo le CAR-NK, realizzate a partire da un altro tipo di cellule immunitarie, le cellule NK (Natural Killer). Queste cellule, a differenza dei linfociti T, non aggrediscono i tessuti di un soggetto diverso dal donatore e non sono quindi associate al rischio di sviluppo della malattia contro l’ospite in caso di infusione a un altro soggetto. Grazie a questa caratteristica, le cellule NK possono essere prelevate da un qualsiasi donatore sano e non necessariamente dallo stesso paziente, come avviene per le cellule T. Con lo stesso metodo utilizzato nelle CAR-T, vengono poi ingegnerizzate in modo da essere sempre disponibili al momento del bisogno e da poter essere utilizzate in tanti pazienti.

Un altro filone di ricerca è quello dei virus oncolitici, virus che vengono modificati in modo da replicarsi solo all’interno della cellula cancerosa, un processo che porta alla morte cellulare. Sono in corso ricerche, anche sostenute da AIRC, finalizzate a utilizzare i virus oncolitici nell’ambito del trattamento dei tumori cerebrali, dei neuroblastomi e dei sarcomi.

Un contributo fondamentale alla ricerca di nuove strategie terapeutiche arriverà verosimilmente dalle profilazioni genomica e trascrittomica, che stanno acquisendo un ruolo determinante. Permettono infatti di identificare le alterazioni genetiche che si sviluppano in maniera esclusiva all’interno delle cellule tumorali nel loro percorso di “trasformazione” e che sono importanti per la sopravvivenza di tali cellule. Una volta raggiunto l'obiettivo, sarà forse possibile mettere a punto farmaci che inibiscano queste mutazioni, impedendo così alla cellula tumorale di sopravvivere. In ambito pediatrico questa strada è stata seguita finora dai ricercatori che si occupano di trovare nuove cure per il neuroblastoma, i sarcomi e i tumori cerebrali.

Lo studio molecolare dei tumori sta portando anche a risultati interessanti per comprendere il ruolo di alcune proteine chiave nel sostenere la proliferazione anomala che è caratteristica delle cellule tumorali. Di recente è stato scoperto, per esempio, un ruolo centrale della proteina AMBRA1 in diversi tipi di tumore, incluse alcune neoplasie cerebrali dell’età pediatrica. Anche questi risultati sono molto importanti poiché disponiamo di farmaci in grado di colpire queste alterazioni e di inibire la proliferazione cellulare tumorale.

Molta attenzione è rivolta anche allo studio del microambiente tumorale, dunque di tutto ciò che circonda la cellula cancerosa. Sia il microambiente immunitario sia quello vascolare o stromale sono fondamentali per sostenere la crescita del tumore, per cui agendo su di essi si può contrastare significativamente la proliferazione tumorale.

Le ricerche sostenute da AIRC

La ricerca ha fatto grandi passi avanti nella diagnosi e nella cura delle neoplasie dei bambini e dei ragazzi ma molto ancora resta da fare.

Per questo AIRC da anni sostiene diversi progetti di ricerca nell'ambito dei tumori infantili. Ecco i risultati di alcuni di questi progetti.

Un nuovo bersaglio per terapie più mirate contro il neuroblastoma è stato individuato grazie a uno studio coordinato da Fabio Pastorino dell’IRCCS Istituto Gaslini di Genova, i cui risultati sono stati pubblicati nel giugno 2021 sulla rivista Journal of Experimental & Clinical Cancer Research. La nucleolina è una proteina fisiologicamente presente in tutte le cellule dell’organismo e in particolare all’interno del nucleo (la struttura che accoglie il materiale genetico). Era già noto che nell’adulto, in presenza di tumori o infezioni virali, si verificassero cambiamenti nella quantità o nella localizzazione cellulare di questa proteina. Pastorino e il suo gruppo hanno riscontrato che anche nel neuroblastoma sono presenti delle alterazioni di questa proteina. Esperimenti condotti con vari tipi di cellule in coltura e con animali di laboratorio hanno infatti rivelato la presenza della nucleolina sulla superficie delle cellule tumorali e anche su quella di cellule presenti nel microambiente che circonda il tumore stesso. Una scoperta significativa, perché rivela che la nucleolina potrebbe essere utilizzata nel neuroblastoma sia come nuovo marcatore diagnostico e prognostico, sia come possibile bersaglio a cui mirare meglio i farmaci.

Il medulloblastoma è un tumore del cervelletto e rappresenta la forma più comune di tumore cerebrale infantile. Un gruppo di ricerca internazionale coordinato da Luca Tiberi dell’Università di Trento ha individuato il tipo di cellule nervose da cui il medulloblastoma sembra avere origine. La scoperta, i cui risultati sono stati pubblicati nel giugno 2021 sulla rivista Science Advances, rappresenta il punto di partenza per il possibile sviluppo, in futuro, di terapie mirate. Gli esperimenti sono stati condotti sia con topi di laboratorio sia con organoidi di medulloblastoma messi a punto proprio dal gruppo di ricerca di Tiberi. Queste ultime sono colture tridimensionali di cellule nervose che riproducono alcune caratteristiche del tumore più fedelmente di quanto possano fare colture tradizionali a un singolo strato di cellule.

Il gruppo di ricercatori guidato da Achille Iolascon del centro di ricerca CEINGE - Biotecnologie avanzate di Napoli, grazie a una serie di tecnologie per "leggere" il DNA di numerosi bambini malati di neuroblastoma, ha scoperto alcune modificazioni ricorrenti in geni che predispongono alla malattia. Individuare in tempo queste variazioni potrebbe essere un utile strumento per identificare precocemente i bambini con un'alta probabilità di ammalarsi. Inoltre la conoscenza delle alterazioni genetiche coinvolte può guidare lo sviluppo di terapie mirate a curare pazienti con forme di neuroblastoma grave. I risultati dello studio sono stati pubblicati nell’agosto 2013 sulla rivista Carcinogenesis.

Si potranno mettere a punto terapie più mirate per la cura della leucemia mieloide acuta grazie alla scoperta del gruppo di ricercatori guidato da Franco Locatelli, Direttore del Dipartimento di ematologia e oncologia pediatrica dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma. Gli scienziati, infatti, hanno trovato una nuova alterazione genetica alla base di alcune varianti di leucemia mieloide acuta che sarà aggiunta alla lista di quelle conosciute, per poter curare i piccoli pazienti con terapie più precise. Gli stessi ricercatori, nell'ambito del Programma speciale di oncologia molecolare guidato da Alberto Mantovani di Humanitas University, nel 2014 hanno pubblicato sull’importante rivista scientifica Blood la scoperta di un marcatore, identificato nelle cellule dei donatori di cellule staminali emopoietiche, che permette di identificare con quali donatori si può ridurre il rischio di ricadute dopo un trapianto aploidentico, cioè da uno dei due genitori immunogeneticamente uguali solo per metà con il proprio figlio.

Sempre su Blood nel 2014 l’AIEOP, Associazione italiana di emato-oncologia pediatrica, ha pubblicato i risultati di uno studio, condotto con il sostegno di AIRC e coordinato da Andrea Biondi, direttore della Clinica pediatrica dell’Università di Milano Bicocca. Lo studio ha portato a identificare alcune caratteristiche peculiari della leucemia linfoblastica acuta nei bambini e nei ragazzi ad alto rischio, un passaggio fondamentale per scegliere e impostare la terapia più efficace.

Anche nel caso della leucemia megacarioblastica del bambino, una rara forma di leucemia mieloide acuta, si punta a tracciare il profilo di rischio di piccoli pazienti sulla base delle anomalie genetiche presenti. Con questo obiettivo ha lavorato un gruppo internazionale di ricerca coordinato ancora dall'oncoematologo italiano Franco Locatelli, ponendo le basi per una terapia "su misura".

Evitare l'insorgenza di un secondo tumore nei bambini guariti dalla leucemia è lo scopo di uno studio internazionale sostenuto anche da AIRC, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2013 sul Journal of Clinical Oncology. Fra gli autori, anche Maria Grazia Valsecchi, dell'Università di Milano Bicocca. La ricerca è stata condotta da una collaborazione internazionale che ha riunito i più importanti centri di riferimento per le leucemie infantili in Europa, Nord America e Asia, e ha raccolto in tutto il mondo i dati relativi a 642 casi in cui si è verificato un secondo tumore. Grazie a questi risultati è oggi possibile adottare strategie per prevenire l'insorgenza di malattie in età adulta.

  • Michela Vuga

  • Articolo pubblicato il:

    11 novembre 2021