Tumori pediatrici

I Video dei protagonisti: la storia di Simone

Le date che hanno cambiato il futuro dei piccoli pazienti

Dagli anni Sessanta agli anni Settanta

1947

A Harvard, Sidney Farber e il suo gruppo di medici e ricercatori usano per la prima volta la chemioterapia per curare un tumore, ottenendo la prima remissione di una leucemia linfoblastica acuta. Nello stesso anno Farber fonda il Children's Cancer Research Foundation (che successivamente diventerà il prestigioso Dana-Farber Cancer Institute) e avvia il primo programma di ricerca sulla chemioterapia per bambini malati di cancro, sostenuto da una charity innovativa, il Jimmy Fund.

1955

Sidney Farber e colleghi ottengono la prima remissione del tumore di Wilms, una forma relativamente comune di cancro renale infantile. Utilizzando l’antibiotico actinomicina D, oltre alla chirurgia e alla radioterapia, aumentano i tassi di guarigione dal 40 all’85 per cento circa.

1967

Un gruppo di ricercatori dimostra per la prima volta che si può ottenere una remissione prolungata della leucemia linfoblastica acuta, aggiungendo alla chemioterapia la radioterapia mirata e la farmacoterapia intratecale.

1970

Viene sperimentato per la prima volta negli esseri umani il trapianto di midollo, che si rivelerà poi uno strumento cruciale per curare molti bambini colpiti da leucemie e linfomi.

1972

Nasce l’Intergroup Rhabdomyosarcoma Study Group, una delle prime reti di ricerca dedicate allo studio di un singolo tumore raro. La mortalità causata dai sarcomi dei tessuti molli diminuirà del 50 per cento circa dal 1975 al 2010.

1973

Emil Frei e Stephen Sallan avviano il primo di una serie di studi clinici su bambini affetti da leucemia linfoblastica acuta. Questi studi clinici migliorano notevolmente l’efficacia dei trattamenti e avranno un ruolo chiave nel raggiungere gli attuali tassi di guarigione, dell’85-90 per cento circa.

1975

Sono pubblicati i risultati dei primi studi che dimostrano come la chemioterapia dopo la chirurgia aumenti la sopravvivenza dei bambini colpiti da osteosarcoma. Nel 1986 diventerà uno standard di cura per questa malattia.

Dagli anni Ottanta agli anni Novanta

1982

La Food and Drug Administration (FDA) approva il primo vaccino contro il virus dell’epatite B (HBV), una delle cause principali di cancro del fegato. Nel 1991 l’Italia introduce la vaccinazione di routine nei bambini.

1986

Al Dana-Farber a Boston, Stephen Friend scopre e clona l’oncogene recessivo Rb, responsabile di gran parte dei casi di retinoblastoma, un tumore pediatrico raro.

1987

Uno studio clinico dimostra per la prima volta che la chemioterapia neoadiuvante, prima dell’operazione, consente ai chirurghi di intervenire su osteosarcomi molto più piccoli, evitando l’amputazione degli arti.

1988

L’introduzione delle prime terapie combinate porta a curare più dell’80 per cento dei casi di leucemia linfoblastica acuta, la forma più comune di leucemia infantile.

1991

Grazie alla scoperta del legame tra l’oncogene MYCN e la risposta alle cure per il neuroblastoma, i medici possono distinguere tra i pazienti coloro che necessitano di un trattamento più o meno aggressivo.

1994

Ha inizio il Childhood Survivor Study, sostenuto dal National Cancer Institute americano e da altre organizzazioni. I risultati dello studio mostreranno, per chi si è ammalato da piccolo, un rischio 5 volte maggiore di sviluppare malattie cardiovascolari o un secondo cancro nel corso della vita, rispetto a chi invece non si era ammalato. La scoperta aprirà la strada a specifiche misure di prevenzione.

Gli anni Duemila e Oggi

2004

La pubblicazione dei risultati di uno studio sui rischi del fumo passivo mostrano che chi convive con un fumatore ha un rischio di ammalarsi di cancro al polmone più elevato di chi vive con non fumatori. Sono soprattutto partner e figli a correre questo rischio.

2009

Arriva la prova che l’imatinib, primo farmaco mirato contro la leucemia linfoblastica acuta, è efficace anche nei bambini e tiene sotto controllo l’80 per cento circa dei casi.

2010

Grazie all’impiego di cure più efficaci, tra il 1975 e il 2006, nei soli Stati Uniti, sono stati evitati circa 38.000 decessi per tumore infantile, anche se l’incidenza, ossia il numero di nuovi casi, è aumentata.

2017

Vengono pubblicati i risultati di uno studio italiano che migliora la tecnica del trapianto aploidentico da genitore. Introducendo in laboratorio il cosiddetto gene suicida iC9 nelle cellule del donatore, si riduce in modo drastico il rischio di mortalità nei bambini con difetti congeniti del sistema immunitario che ricevono questo tipo di trapianto.

2018

Un anno dopo gli Stati Uniti, anche l’Unione Europea approva la terapia con CAR-T per il trattamento della leucemia linfoblastica acuta a cellule B dei bambini. Le cellule CAR-T sono globuli bianchi dei pazienti, addestrati con modifiche genetiche in laboratorio a riconoscere e uccidere le cellule tumorali.

2023

All’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma la terapia con cellule CAR-T ottiene una risposta completa nel 60 per cento circa dei pazienti con forme gravi di neuroblastoma. Lo studio è stato condotto dal gruppo di ricerca di Franco Locatelli con il sostegno di AIRC. È la prima volta nel mondo che uno studio sulle CAR-T contro un tumore solido raggiunge risultati così incoraggianti in una casistica piuttosto ampia, data la rarità della malattia: 27 pazienti dagli 1 ai 25 anni.

OGGI

L’82 per cento dei bambini e l’86 per cento circa degli adolescenti che si sono ammalati di cancro sono in vita a 5 anni dalla diagnosi di tumore: 3 su 4 guariscono completamente.

La ricerca ha fatto grandi passi avanti nella diagnosi e nella cura delle neoplasie dei bambini e dei ragazzi. La strada è però ancora lunga e non per tutti i tipi di tumore si sono raggiunti i risultati ottenuti nelle leucemie e nei linfomi.

La ricerca ha fatto grandi passi avanti nella diagnosi e nella cura delle neoplasie dei bambini e dei ragazzi. La strada è però ancora lunga e non per tutti i tumori si sono raggiunti i risultati ottenuti nelle leucemie e nei linfomi.

I tumori pediatrici in cifre

L’aumento dell’incidenza (cioè del numero di nuovi casi ogni anno) dei tumori infantili registrato in Italia fino alla seconda metà degli anni Novanta si è arrestato. AIRTUM, l’Associazione italiana registri tumori, ha stimato che in Italia per il quinquennio 2016-2020 sarebbero state diagnosticate circa 7.000 neoplasie tra i bambini e 4.000 tra gli adolescenti (15-19 anni), in linea con il quinquennio precedente. La media annuale stimata è di 1.400 casi nella fascia d’età da 0 a 14 anni e di 900 in quella dai 15 ai 19 anni.
Si continua a osservare una leggera crescita solo per alcuni tipi di tumore tra gli adolescenti: nel periodo dal 1998 al 2008 sono aumentate del 2 per cento circa ogni anno le diagnosi di tumori maligni tra le ragazze, mentre in entrambi i sessi si è registrato un incremento dell’8 per cento dei tumori della tiroide, che in genere hanno un’ottima prognosi. L’aumento di diagnosi di tumori della tiroide è attribuibile soprattutto a un incremento della sorveglianza anche in assenza di sintomi: si tratta nella maggioranza dei casi di tumori indolenti e poco pericolosi che in passato non erano diagnosticati.

I tumori pediatrici sono sempre più curabili

Negli ultimi 40 anni è decisamente cambiato il tasso di mortalità dei tumori pediatrici, che è in netta diminuzione. I bambini e i ragazzi tra 0 e 19 anni che muoiono di tumore sono sempre meno: nel 2008 i decessi erano circa un terzo di quelli registrati nei primi anni Settanta, e oggi oltre l’80 per cento dei pazienti guarisce. Inoltre, per quanto riguarda la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di cancro pediatrico, senza considerare i tumori cerebrali, in Italia arriva quasi all’85 per cento dei casi, superando la media europea di qualche punto percentuale.

Quali sono i tumori pediatrici più comuni?

  • 0-5 anni: il tumore più frequente è il neuroblastoma, che rappresenta circa il 7-10 per cento di tutti i tumori in questa fascia d’età;
  • 0-14 anni: la leucemia è il tumore più diffuso, in particolare la leucemia linfoblastica acuta. Secondi per frequenza sono i linfomi (16 per cento), a cui seguono i tumori maligni del sistema nervoso centrale (13 per cento), tra cui il glioma, i tumori del sistema nervoso autonomo (8 per cento), tra cui il neuroblastoma, i sarcomi dei tessuti molli (7 per cento), i tumori del rene (5 per cento), delle ossa (5 per cento), della retina, della tiroide e altre forme rare;
  • 0-19 anni: i tumori più frequenti sono le leucemie acute, con circa 500 nuovi casi ogni anno, ovvero un terzo di tutte le nuove diagnosi; seguono con circa 400 nuovi casi i tumori cerebrali;
  • 15-19 anni: i tumori più frequenti sono i linfomi di Hodgkin (24 per cento), a cui seguono i tumori della tiroide (11 per cento), le leucemie (11 per cento), i tumori delle cellule germinali (10 per cento), i linfomi non-Hodgkin (8 per cento), i tumori del sistema nervoso centrale (7 per cento), il melanoma (7 per cento), i sarcomi delle parti molli (6 per cento) e i tumori dell’osso (5 per cento).

Per saperne di più sui tumori pediatrici più diffusi è disponibile online la nostra Guida ai tumori pediatrici.

Gli approcci di cura dei tumori pediatrici più frequenti

Sono molti i progressi degli ultimi anni per la cura dei tumori pediatrici, ma rimane ancora molto da fare soprattutto per quelli del sistema nervoso.

Tumori del sangue: sono dovuti a un’eccessiva proliferazione delle cellule del sistema immunitario, come i linfociti. Quelli che si sviluppano più spesso in età infantile sono le leucemie e i linfomi. In particolar modo per le leucemie, la probabilità di sopravvivenza è molto alta grazie ai nuovi protocolli di chemioterapia, al trapianto di midollo e alla possibilità di ricorrere all’immunoterapia in alcuni casi, come la terapia a cellule CAR-T. Se 40 anni fa una sopravvivenza del 50 per cento dei bambini con leucemia era considerata un traguardo importante, oggi questa percentuale può superare persino il 90 per cento.

Sarcomi: sono tumori rari che si possono distinguere in sarcomi dei tessuti molli e tumori ossei. Una migliore capacità di caratterizzare la malattia e individuare così la cura più adatta ha permesso di fare grandi passi avanti nella cura dei sarcomi. Se un tempo gli interventi mutilanti erano l’unica possibilità di salvezza per i giovani con questo tipo di tumore, oggi si possono evitare con la chemioterapia neoadiuvante. Grazie anche ai progressi della chirurgia, circa il 70 per cento dei pazienti con malattia localizzata sopravvive alla malattia.

Tumori dei tessuti nervosi: coinvolgono il cervello e il midollo spinale. Anche quando non sono aggressivi, possono lasciare tracce per tutta la vita, perché colpiscono il sistema nervoso in un periodo critico dello sviluppo cognitivo.

Per il neuroblastoma la chemioterapia, la radioterapia e la chirurgia rimangono pilastri fondamentali della cura. Tuttavia, uno studio più approfondito dei pazienti alla diagnosi ha permesso in questi anni di valutare in anticipo il rischio di recidiva, di rendere più mirati i trattamenti e di ridurre gli effetti collaterali. Per la cura di casi specifici, inoltre, sono oggi disponibili diversi farmaci immunoterapici, agnostici e a bersaglio molecolare, come gli inibitori del gene ALK.

Per il retinoblastoma, invece, oggi la chirurgia può essere in molti casi sostituita dalla chemioterapia e altre cure locali e meno invasive che non causano la perdita dell’occhio. Tra questi ci sono i trattamenti laser e la crioterapia, che rispettivamente eliminano o congelano i vasi sanguigni del tumore, impedendone la crescita.

Nonostante questi progressi, i tumori cerebrali e del sistema nervoso sono ancora molto difficili da curare. È necessario svolgere ancora molte ricerche, sia per comprenderli meglio sia per trovare cure più efficaci e sicure.

Le cause dei tumori pediatrici

La maggior parte dei tumori pediatrici sono dovuti a fattori non del tutto noti, per cui è difficile identificare specifiche cause. Trattandosi di patologie che insorgono in età precoce, non dipendono quasi mai da comportamenti individuali, come la dieta o la quantità di attività fisica. I fattori ambientali possono avere un ruolo, ma non è ancora chiaro quanto siano influenti. Il motivo di tali incertezze è la difficoltà nello stabilire un’associazione diretta e causale tra specifici agenti chimici e fisici e l’insorgenza di un tumore. È invece risaputo che certi tumori rari, come il retinoblastoma o il tumore al rene di Wilms, sono legati alla presenza di mutazioni genetiche ben note, spesso ereditarie.

In qualunque caso i genitori non hanno alcuna responsabilità sullo sviluppo di un tumore infantile nei propri figli, né possono prevenirne in alcun modo l’eventualità. Già da piccoli, però, si possono effettuare alcune vaccinazioni per prevenire diversi tumori tipici dell’età adulta. Ai neonati viene somministrato, per esempio, il vaccino contro il virus dell’epatite B (HBV) per ridurre il rischio sia di infezione sia di sviluppare il cancro del fegato. A ragazzi e ragazze di 11-12 anni viene effettuato il vaccino contro il papilloma virus umano (HPV), che può prevenire, oltre all’infezione, anche il tumore della cervice, del pene, dell’ano e del cavo orale.

La vita dopo il cancro

Pur essendo guariti, molti ex pazienti oncologici pediatrici sono considerati dai medici e dagli epidemiologi long term survivor, o sopravviventi di lungo corso. Questa definizione, che a volte è fatta propria anche dagli stessi ex pazienti, dimostra quanto può essere complicato lasciarsi alle spalle un’esperienza tanto dura fisicamente e psicologicamente.

Crescendo, queste persone, il cui numero in Europa oggi si stima tra 300.000 e 500.000, non possono più essere seguite dall’oncologo pediatra. Purtroppo, non esiste ancora una figura professionale che le possa accompagnare nell’età adulta. Non richiedono cure particolari, visto che possono e devono condurre una vita del tutto normale, però devono prestare una speciale attenzione ad alcuni aspetti della loro salute, come le conseguenze sul lungo termine delle cure cui sono stati sottoposti. Per tale motivo stanno nascendo in diversi Paesi strutture sanitarie dedicate a questa fascia di popolazione.

Infatti, la maggior parte di coloro che sono guariti da un tumore pediatrico gode fortunatamente di buona salute, ma una minoranza continua a subire per molto tempo le conseguenze della malattia o gli effetti secondari delle terapie. Per esempio, alcuni medicinali come le antracicline ad alte dosi possono danneggiare il cuore, gli alchilanti possono compromettere la fertilità, alte dosi di cortisone o la radioterapia possono influire sulla crescita e la struttura delle ossa e così via. Alcune di queste conseguenze variano a seconda dell’età e delle caratteristiche individuali.

Chi è portatore di geni che favoriscono lo sviluppo del cancro potrà avere maggiori probabilità di sviluppare un’altra malattia tumorale, mentre chi segue comportamenti e abitudini salutari potrà ridurre questo rischio come quello delle malattie del cuore.

Talvolta i medici non sanno definire con esattezza quanto le terapie somministrate a pazienti bambini possano incidere sulla crescita o sulla loro possibilità di avere figli, quanto aumentino la probabilità di problemi cardiovascolari o il rischio che i trattamenti per la cura della neoplasia primitiva inducano lo sviluppo di un altro tumore. Proprio per rispondere a queste domande alcuni grandi studi, come il Childhood Cancer Survivor Study (CSSC), stanno analizzando le associazioni tra il tipo e la dose di cure ricevute e il rischio di effetti nel tempo. Un obiettivo importante della ricerca oncologica pediatrica è quindi anche mettere a punto farmaci sempre più specifici per l’organismo in crescita, che compromettano il meno possibile la qualità della vita dopo la malattia.

Dove sta andando la ricerca?

La ricerca preclinica si sta concentrando innanzitutto sull’immunoterapia, in particolare sulla messa a punto di nuovi anticorpi più efficaci quali gli anticorpi bispecifici, che hanno la capacità di legarsi sia alle cellule tumorali sia alle cellule T del sistema immunitario. In questo modo creano un ponte tra tumore e, appunto, sistema immunitario, e attivano quest’ultimo in modo specifico contro la malattia. Un esempio di successo di anticorpo bispecifico è il blinatumomab, utilizzato oggi per trattare alcune forme di leucemia linfoblastica acuta. Un altro tipo di anticorpi che sta dando risultati importanti per i pazienti con leucemia linfoblastica acuta sono quelli associati a un farmaco, e quindi in grado di legare in modo specifico la cellula leucemica e di veicolare al suo interno un farmaco chemioterapico. Sono invece ancora in una fase più preliminare di ricerca gli studi finalizzati a usare questi anticorpi anche per trattare i tumori solidi, incluso il neuroblastoma e i tumori cerebrali come il glioma.

Proseguono anche le ricerche sulle cellule CAR-T, con l’obiettivo di svilupparne di nuove dirette contro antigeni diversi, come per esempio B7H3, e sono in fase di sviluppo le CAR-NK, realizzate a partire da un altro tipo di cellule immunitarie, le cellule NK (Natural Killer). Queste cellule, a differenza dei linfociti T, non aggrediscono i tessuti di un soggetto diverso dal donatore e non sono quindi associate al rischio di sviluppo della malattia contro l’ospite in caso di infusione in un altro soggetto. Grazie a questa caratteristica, le cellule NK possono essere prelevate da qualsiasi donatore sano e non necessariamente dallo stesso paziente, come avviene per le cellule T. Con lo stesso metodo utilizzato nelle CAR-T vengono poi ingegnerizzate in modo da essere sempre disponibili al momento del bisogno e da poter essere utilizzate in tanti pazienti.

Un altro filone di ricerca è quello dei virus oncolitici, virus che vengono modificati in modo da replicarsi solo all’interno della cellula cancerosa, un processo che porta alla morte cellulare. Sono in corso ricerche, anche sostenute da AIRC, finalizzate a utilizzare i virus oncolitici nell’ambito del trattamento dei tumori cerebrali, dei neuroblastomi e dei sarcomi.

Un contributo fondamentale alla ricerca di nuove strategie terapeutiche arriverà verosimilmente dalle profilazioni del genoma e del trascrittoma, che stanno acquisendo un ruolo determinante. Permettono infatti di identificare le alterazioni sia nei geni sia nella loro trascrizione, che si sviluppano in maniera esclusiva all’interno delle cellule tumorali nel loro percorso di “trasformazione” e che sono importanti per la sopravvivenza di tali cellule. Una volta raggiunto l’obiettivo, sarà forse possibile mettere a punto farmaci che inibiscano queste mutazioni, impedendo così alle cellule tumorali di sopravvivere. In ambito pediatrico questa strada è stata seguita finora da molti ricercatori che si occupano di trovare nuove cure per i tumori pediatrici e in particolare per il neuroblastoma, i sarcomi e i tumori cerebrali.

Lo studio molecolare dei tumori sta portando anche a risultati interessanti per comprendere il ruolo di alcune proteine chiave nel sostenere la proliferazione anomala che è caratteristica delle cellule tumorali. Di recente è stato scoperto, per esempio, un ruolo centrale della proteina AMBRA1 in diversi tipi di tumore, incluse alcune neoplasie cerebrali dell’età pediatrica. Questi risultati sono particolarmente importanti poiché disponiamo di farmaci in grado di colpire queste alterazioni e di inibire la proliferazione cellulare tumorale.

Molta attenzione è rivolta anche allo studio del microambiente tumorale, dunque di tutto ciò che circonda la cellula cancerosa. Sia il microambiente immunitario sia quello vascolare o stromale sono fondamentali per sostenere la crescita del tumore, per cui agendo su di essi si può contrastare significativamente la proliferazione tumorale.

Le ricerche sostenute da AIRC

La ricerca ha fatto grandi passi avanti nella diagnosi e nella cura delle neoplasie dei bambini e dei ragazzi, ma molto resta ancora da fare. Per questo AIRC da anni sostiene diversi progetti di ricerca nell’ambito dei tumori infantili. Ecco i risultati di alcuni di questi progetti.

A maggio 2023 il gruppo di ricerca coordinato da Franco Locatelli dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma ha sperimentato un inedito trattamento con cellule CAR-T che ha portato a risultati promettenti per la cura dei casi più gravi di neuroblastoma. Con il sostegno di AIRC, la terapia è stata sperimentata in 27 bambini e giovani dagli 1 ai 25 anni con forme gravi di neuroblastoma, resistenti alle cure tradizionali o dopo ricadute. Il sistema ha superato le varie fasi di sperimentazione, in cui sono state valutate prima la sicurezza e la tollerabilità del trattamento, senza che fossero rilevati effetti collaterali, e quindi l’efficacia. I risultati hanno dimostrato che con questa terapia il 60 per cento circa dei pazienti era vivo dopo 3 anni e il 36 per cento circa senza traccia della malattia. In circa 8 pazienti si è osservata anche una remissione completa del tumore. È la prima volta nel mondo che uno studio sulle CAR-T contro un tumore solido raggiunge risultati così incoraggianti, peraltro su una casistica piuttosto ampia, tenuto conto della rarità della malattia.

La chemioterapia è efficace per la maggior parte dei pazienti con leucemia linfoblastica acuta di tipo T (LLA-T), ma circa 1 bambino su 10 e 6 adulti su 10 con questo tipo di tumore vanno incontro a ricaduta. Grazie al sostegno di AIRC, il gruppo di ricerca coordinato da Isabella Screpanti e Antonio Campese, presso l’Università “La Sapienza” di Roma, ha individuato nell’interleuchina 6 (IL-6) un potenziale bersaglio molecolare per questo tipo di cancro. Secondo i loro risultati, inibire l’IL-6 potrebbe portare a una diminuzione delle cellule immuno-soppressive mieloidi, inducendo un effetto antitumorale. Si tratta infatti di cellule che, in presenza di un tumore, promuovono la crescita della neoplasia, bloccando la risposta immunitaria. Sono inoltre presenti a livelli molto alti nella maggior parte dei pazienti con LLA-T con alterazioni della via di segnalazione di Notch. Se i risultati dello studio verranno confermati e validati, in futuro le terapie con inibitori di IL-6 potrebbero diventare un’opzione terapeutica per i pazienti con LLA di tipo T, caratterizzati dalle alterazioni della via di Notch e refrattari ad altre cure.

Un nuovo bersaglio per terapie più mirate contro il neuroblastoma è stato individuato grazie a uno studio coordinato da Fabio Pastorino dell’IRCCS Istituto Gaslini di Genova, i cui risultati sono stati pubblicati nel giugno 2021 sulla rivista Journal of Experimental & Clinical Cancer Research. La nucleolina è una proteina fisiologicamente presente in tutte le cellule dell’organismo e in particolare all’interno del nucleo, la struttura che accoglie il materiale genetico. Era già noto che nell’adulto, in presenza di tumori o infezioni virali, si verificassero cambiamenti nella quantità o nella localizzazione cellulare di questa proteina. Fabio Pastorino e il suo gruppo hanno riscontrato che anche nel neuroblastoma sono presenti delle alterazioni di questa proteina. Esperimenti condotti con vari tipi di cellule in coltura e con animali di laboratorio hanno infatti rivelato la presenza della nucleolina sulla superficie delle cellule tumorali e anche su quella di cellule presenti nel microambiente che circonda il tumore stesso. Si tratta di una scoperta significativa, perché rivela che la nucleolina potrebbe essere utilizzata nel neuroblastoma sia come nuovo marcatore diagnostico e prognostico, sia come possibile bersaglio a cui mirare meglio con i farmaci.

Il medulloblastoma è un tumore del cervelletto e rappresenta la forma più comune di tumore cerebrale infantile. Un gruppo di ricerca internazionale coordinato da Luca Tiberi dell’Università di Trento ha individuato il tipo di cellule nervose da cui il medulloblastoma sembra avere origine. La scoperta, i cui risultati sono stati pubblicati a giugno 2021 sulla rivista Science Advances, rappresenta il punto di partenza per il possibile sviluppo, in futuro, di terapie mirate. Gli esperimenti sono stati condotti sia con topi di laboratorio sia con organoidi di medulloblastoma messi a punto proprio dal gruppo di ricerca di Tiberi. Queste ultime sono colture tridimensionali di cellule nervose che riproducono alcune caratteristiche del tumore più fedelmente di quanto possano fare colture tradizionali a un singolo strato di cellule.

  • Camilla Fiz

    Scrive e svolge attività di ricerca nell’ambito della comunicazione della scienza. Proviene da una formazione in comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste, in biotecnologie molecolari all’Università degli studi di Torino e in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi della stessa città. Oggi è PhD student in Science, Technology, Innovation and Media studies presso l’Università di Padova e collabora con diversi enti esterni. Il suo sito: https://camillafiz.wordpress.com/
  • Articolo pubblicato il:

    20 ottobre 2023