Le persone LGBTQ+ sono più colpite dal cancro. Perché e cosa possiamo fare?

Ultimo aggiornamento: 16 maggio 2025

Le persone LGBTQ+ sono più colpite dal cancro. Perché e cosa possiamo fare?

Il genere e l’orientamento sessuale influiscono sul rischio di sviluppare un tumore, sull’accesso agli screening e sulle possibilità di ricevere le cure più adeguate.

Negli ultimi anni le società scientifiche, statunitensi in primis, hanno iniziato a studiare il rischio di cancro diversificando non più solo tra uomini e donne, ma anche per genere e orientamento sessuale. Ci si è resi conto che le persone che si identificano come lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali o non conformi al genere (LGBTQIA+) affrontano spesso discriminazioni e stress da minoranza, che potrebbero contribuire a un aumento del rischio sia dello sviluppo di un tumore sia della mortalità per cancro.

Per esempio, negli Stati Uniti le diagnosi di tumori al seno e alla cervice sono molto più elevate tra le donne che si definiscono lesbiche o bisessuali rispetto a chi si dichiara eterosessuale. I dati di una ricerca, pubblicati nel 2024, hanno per esempio mostrato che tra chi ha affrontato una diagnosi di cancro le persone LGBTQ+ segnalano una maggiore prevalenza di condizioni di salute croniche, disabilità e altre limitazioni rispetto alle persone che si definiscono eterosessuali.

Fattori di rischio

Le ragioni di questo rischio aumentato sono di vario tipo, a seconda della situazione specifica. Lo ha evidenziato, per esempio, l’American Cancer Society in un articolo pubblicato a maggio 2024. Questo evidenzia, nel complesso, che esiste una maggiore prevalenza di comportamenti non salutari come il tabagismo, un’alimentazione poco salutare e un maggiore consumo di alcolici. Inoltre, è emerso che le persone della comunità LGBTQI+ partecipano meno alle campagne di screening oncologici e di vaccinazione, spesso a causa del timore di essere discriminati, dal momento che in alcuni casi sono previste visite che riguardano gli organi genitali e la sfera sessuale.

È bene comunque imparare a differenziare le esigenze individuali, senza generalizzare incasellando le persone in un’unica categoria, per quanto vasta. Le persone transgender, per esempio, hanno un rischio particolare di alcune forme di tumore che potrebbe essere connesso alla somministrazione di terapie ormonali. Si tratta tuttavia di un’ipotesi da confermare, poiché al momento vi è una carenza di studi longitudinali sugli effetti a lungo termine dei trattamenti ormonali per l’affermazione di genere, in cui si tenga conto anche di eventuali patologie.

Primo consiglio: lavorare sullo stile di vita

I dati dell’American Cancer Society evidenziano una maggiore diffusione dell’abitudine al fumo tra adulti lesbiche, gay e bisessuali rispetto agli eterosessuali, con una differenza particolarmente marcata tra le donne che si definiscono bisessuali. Per esempio, il 34% circa delle donne bisessuali tra i 40 e i 49 anni e il 24% di quelle sopra i 50 anni fuma, contro il 12% e l’11% circa delle loro coetanee eterosessuali.

Anche l’eccesso di peso corporeo è un altro fattore preoccupante, con un tasso di prevalenza del 68% circa tra le donne che si definiscono lesbiche o bisessuali, rispetto al 61% tra le donne eterosessuali. Inoltre, il 35% delle donne bisessuali e il 30-31% delle persone transgender statunitensi dichiarano di non svolgere alcuna attività fisica nel tempo libero, contro il 21-25% dei soggetti cisgender.

Per quanto riguarda il consumo di alcol, il dato più preoccupante riguarda ancora una volta le donne che si dichiarano bisessuali: il 14% consuma oltre 7 bevande alcoliche alla settimana, più del doppio rispetto alle donne eterosessuali (6%).

Secondo consiglio: aderire agli screening oncologici e informarsi sul vaccino contro l’HPV

Negli Stati Uniti la popolazione LGBTQ+ mostra tassi di adesione agli screening oncologici e alle vaccinazioni inferiori a quelli dei soggetti eterosessuali e cisgender. Tali dati provengono in parte da uno studio condotto su 5.167 donne cisgender di Chicago, pubblicato nel 2024 sulla rivista JAMA, che hanno mostrato che meno donne lesbiche o bisessuali (71%) erano aggiornate sullo screening per la diagnosi precoce del cancro alla cervice rispetto alle donne eterosessuali (77%). Per l’Italia non disponiamo di dati nazionali completi su questi temi. Tuttavia, negli ultimi anni sono stati pubblicati alcuni sondaggi. Uno di questi è stato condotto dall’Istituto superiore di sanità (ISS) in collaborazione con l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR) tra il 2020 e il 2021, su 961 individui transgender adulti in Italia. I dati raccolti con il sondaggio hanno evidenziato un basso accesso agli screening oncologici da parte di questa popolazione.

La mancanza di una registrazione completa nei documenti clinici, che includa sia il sesso assegnato alla nascita sia l’identità di genere, può portare all’esclusione di persone transgender da screening importanti per la diagnosi precoce di tumori specifici per il sesso assegnato alla nascita, specialmente dopo la rettifica dei documenti anagrafici. Tra questi vi sono in particolare lo screening per il tumore della cervice uterina per uomini transgender e gli esami per la diagnosi del tumore alla prostata per donne transgender.

Dal punto di vista della ricerca, l’assenza di tali dati impedisce di condurre studi longitudinali sulla salute della popolazione transgender. Anche per questo a oggi è impossibile tracciare il percorso delle persone dopo il cambio di genere a livello anagrafico e analizzare l’impatto di trattamenti o fattori di rischio specifici. Secondo dati riportati dall’ISS, solo il 20% dei cosiddetti “assegnati femmine alla nascita” (AFAB) esegue il Pap test, contro il 47% della popolazione generale.

Ricordiamo inoltre che il vaccino contro l’HPV, anche somministrato in età adulta, può prevenire il tumore della cervice in quanto protegge dall’infezione da parte di ceppi di Papillomavirus umano ad alto rischio con i quali ancora non si è entrati in contatto.

Se sei un operatore sanitario, informati

Sempre stando alla rilevazione di ISS e UNAR, il 56,5% circa fra gli AFAB e 29% fra gli AMAB (“assegnati maschi alla nascita”) ha riportato esperienze di discriminazione durante visite mediche, lamentando, tra gli operatori sanitari, una mancanza di conoscenza sulla salute transgender, una terminologia inappropriata e un’ignoranza dei bisogni specifici. Inoltre, più del 90% delle persone intervistate non aveva ricevuto informazioni in merito agli screening, anche se nel 2023 sono state pubblicate le linee di indirizzo per la comunicazione del personale sanitario con i/le pazienti LGBT+.

Simili risultati sono emersi da una ricerca dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) del 2022, secondo cui il 73,1% circa della popolazione transgender non partecipa agli screening, il 67,9% accede tardivamente ai centri oncologici, il 57% non si fida dei professionisti sanitari, il 44,6% si autoesclude dalle cure e il 22,6% non riceve trattamenti appropriati.

Negli ultimi anni AIOM ha intensificato il proprio impegno su alcuni problemi specifici della comunità LGBTQIA+. Nel 2022, in occasione della decima edizione degli AIOM Oncology Ethics Days, si sono riuniti esperti di vari settori, rappresentanti istituzionali, professionisti sanitari, attivisti LGBTQIA+, pazienti e loro portavoce, per produrre le Raccomandazioni di Assisi di AIOM, con l’obiettivo di lavorare sulle differenze di genere in oncologia e sulla presa in carico delle persone transgender e di genere diverso.

Referenze

  • Cristina Da Rold

    Cristina Da Rold (Belluno, 1988) è data-journalist dal 2012. Si occupa di sanità con approccio data-driven, principalmente su Infodata – Il Sole 24 Ore Le Scienze. Scrive prevalentemente di disuguaglianze sociali, epidemiologia e nuove tecnologie in medicina. Consulente e formatrice nell’ambito della comunicazione sanitaria digitale, dal 2015 è consulente per la comunicazione/social media presso l’Ufficio italiano dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal 2021 anche presso la Fondazione Pezcoller per la ricerca sul cancro di Trento. Nel 2015 ha pubblicato il libro “Sotto controllo. La salute ai tempi dell’e-health”(Il Pensiero Scientifico Editore). È docente presso il Master in comunicazione della scienza e della salute dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e presso il Master in comunicazione della scienza dell’Università di Parma.