Le persone transgender devono prestare particolare attenzione agli screening oncologici

Le persone transgender possono andare incontro a problemi di salute specifici, in particolare per quel che riguarda i tumori. Tali problemi sono spesso sottovalutati o non sufficientemente considerati.

Ultimo aggiornamento: 7 settembre 2022

Tempo di lettura: 8 minuti

In questo articolo risponderemo alle domande:

  1. Le persone transgender hanno un maggior rischio di sviluppare tumori?
  2. Ci sono esami specifici per la diagnosi precoce ai quali è consigliabile che si sottopongano?
  3. Quali sono gli ostacoli alla partecipazione ai programmi di screening per questa popolazione?
  4. Sono disponibili dati relativi alla salute delle persone transgender in Italia?

 

Le persone transgender possono andare incontro a problemi di salute specifici, in particolare per quel che riguarda i tumori. Tali problemi sono spesso sottovalutati o non sufficientemente considerati. Gli esami per la diagnosi precoce usati nella popolazione generale possono non essere specifici per la loro condizione. La comunità LGBT+, di cui fa parte anche chi non si riconosce nel genere assegnato alla nascita, si batte da tempo per promuovere percorsi di prevenzione e salute dei propri membri, in particolare per quel che riguarda la prevenzione oncologica.

Sesso, genere e molto altro ancora

“Transgender” è un termine usato per indicare persone la cui identità di genere non corrisponde al sesso determinato alla nascita. I termini “sesso” e “genere” sono spesso usati come sinonimi, ma hanno significati distinti. Come abbiamo già descritto in un articolo dedicato alla diversa risposta alle terapie tra uomini e donne, il termine “sesso” indica tutte le differenze biologiche tra maschi e femmine: dai cromosomi, agli organi e ai caratteri sessuali, passando per i livelli ormonali. Il “genere” indica invece i ruoli e i comportamenti sociali, legati al sesso, che possono assumere sfumature diverse a seconda delle società e delle epoche storiche.

Il sito dell’Istituto superiore di sanità (ISS) a questo proposito riporta: “Una persona si definisce cisgender quando ha un’identità di genere in linea con il sesso biologico: per esempio, una persona che si sente donna e che è nata con caratteristiche fisiche femminili. Invece una persona transgender generalmente presenta un’identità di genere diversa dalle caratteristiche del sesso biologico”.

In alcuni casi, ma non sempre, le persone transgender decidono di intervenire con trattamenti ormonali e a volte anche interventi chirurgici per allineare il proprio aspetto fisico alla propria identità di genere.

Come cambia il rischio oncologico

I dati sul rischio di sviluppare un tumore per le persone transgender sono a oggi limitati. La popolazione relativamente piccola non permette infatti di raggiungere una significatività statistica negli studi e l’ancora diffuso stigma sociale limita ulteriormente le possibilità di effettuare ricerche medico-sanitarie in questa popolazione.

Gli scarsi dati disponibili suggeriscono tuttavia che per questo gruppo vi sia un rischio più alto di ammalarsi di alcuni tipi di tumori, rispetto alla popolazione generale. Le ragioni sarebbero di tipo medico e biologico, legate in particolare alle terapie ormonali assunte da alcune persone transgender per facilitare la transizione di genere, che sono da tempo al centro dell’attenzione di alcuni esperti.

È noto infatti che gli ormoni hanno un ruolo di primo piano nello sviluppo di tumori molto comuni, come per esempio quello del seno o della prostata. Di conseguenza, assumerne notevoli quantità nel corso della transizione di genere potrebbe, almeno in linea teorica, aumentare il rischio oncologico. Come sottolineano gli autori di uno studio i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Translational Oncology and Urology, ci sono differenze tra le terapie ormonali assunte per facilitare la transizione di genere e quelle assunte, per esempio, per contrastare i sintomi della menopausa dalle donne cisgender, e considerate anch’esse un fattore di rischio oncologico.

La dose di ormoni necessaria alla transizione varia da persona a persona e in alcuni casi potrebbe generare livelli molto alti di alcuni ormoni, i quali possono a loro volta influenzare il rischio di sviluppare tumori ormono-sensibili.

Secondo quanto riportato nella settima edizione del report Standard of Care (SOCv 7), pubblicato dalla World Profession Association of Transgender Health (WPATH), i dati oggi disponibili non permettono di dire se gli ormoni femminilizzanti (assunti per la transizione da uomo a donna) aumentino il rischio di ammalarsi di tumore al seno, che comunque non è pari a zero per le donne trans. Allo stesso modo non ci sono dati sufficienti per dimostrare se vi sia un rischio maggiore di sviluppare tumore al seno o della cervice per chi assume ormoni mascolinizzanti, anche se tali ormoni potrebbero rendere più frequenti i risultati anomali al Pap test. Infine, anche per quanto riguarda l’effetto degli ormoni mascolinizzanti sul rischio di tumore dell’ovaio e dell’utero, i dati non sono conclusivi.

Oltre gli ormoni

La biologia da sola non basta a spiegare l’aumento dell’incidenza di tumori nella popolazione transgender. Gli aspetti culturali e psico-sociali hanno infatti un peso rilevante. L’aumento delle persone dichiaratamente transgender, legato anche a una maggiore consapevolezza dell’identità di genere, è stato accompagnato da una crescita di interesse per questi temi da parte della comunità oncologica internazionale, tanto che alla comunità LGBT+ e alle difficoltà di questa popolazione ad accedere a servizi sanitari e a terapie oncologiche è stata dedicata un’intera sessione plenaria del congresso della American Association for Cancer Research (AACR) del 2021.

Gli studi sul tema hanno messo in luce un notevole disagio da parte della popolazione transgender nel sottoporsi agli screening e più in generale alle visite di controllo per alcuni tipi di tumore. Tale disagio si traduce spesso in ritardi diagnostici che rendono più complesso il successivo processo di cura. Le difficoltà sono legate da un lato al fatto che gli individui che hanno avviato una transizione di genere tendono a vedere come una sorta di “passo indietro” il doversi sottoporre a controlli per tumori legati al proprio sesso di origine. Altri problemi risiedono spesso nell’atteggiamento dei medici e degli operatori sanitari, non sempre preparati ad affrontare dal punto di vista psicologico, medico e culturale persone e pazienti con queste caratteristiche. Anche per questo molte persone transgender dicono di sentirsi vittime di discriminazione nell’accesso ai servizi di prevenzione e cura.

Per esempio, una persona che ha effettuato la propria transizione da donna a uomo a livello sociale, potrebbe trovarsi a disagio o in difficoltà nel sottoporsi regolarmente a controlli.

Ma molto resta da fare. Le campagne di sensibilizzazione sulla salute della popolazione transgender dovrebbero, per esempio, essere rivolte non solo alla cittadinanza, ma anche al personale sanitario.

L’importanza degli screening oncologici

“Il Pap test a scopo preventivo viene eseguito soltanto dal 20 per cento delle persone transgender assegnate femmina alla nascita, rispetto al 79 per cento delle donne nella popolazione generale.” Questi i numeri riportati in un comunicato stampa dell’ISS del 7 giugno 2022, nel quale si descrivono i risultati preliminari dello “Studio sullo stato di salute della popolazione transgender adulta in Italia” guidato dall’ISS e portato avanti grazie alla collaborazione di diversi centri e associazioni nel territorio nazionale.

Questi numeri danno un’idea di come la popolazione transgender spesso non abbia piena consapevolezza dei rischi che corre e dell’importanza di sottoporsi a visite e screening specifici o abbia difficoltà ad accedere ai servizi di prevenzione.

Una persona transgender dovrebbe guardare ai controlli oncologici “su un doppio binario”. Per esempio, una donna transgender, quindi una persona nata uomo dal punto di vista biologico ma che si riconosce nel genere femminile, dovrebbe sottoporsi a esami per la diagnosi precoce di tumori tipici sia del sesso di origine (come quello della prostata) sia del genere in cui si riconosce (come il tumore del seno). Le raccomandazioni e i controlli suggeriti dal medico possono naturalmente variare da caso a caso: un controllo della prostata ha senso per le donne transgender che non si sono sottoposte a intervento chirurgico per rimuoverla, così come i controlli per il tumore del seno sono indicati soprattutto per chi ha effettuato la terapia ormonale di transizione.

Allo stesso modo, una persona nata femmina che si riconosce nel genere maschile, e che non si è sottoposta a intervento chirurgico di rimozione dell’apparato riproduttivo, dovrebbe continuare a svolgere controlli regolari dell’ovaio e della cervice uterina per verificare l’eventuale comparsa di tumori.

Le linee guida e le raccomandazioni studiate e diffuse finora, sui controlli da effettuare per la diagnosi precoce dei tumori, sono state sviluppate in base ai dati ottenuti in popolazioni prevalentemente “cis” o comunque indistinte. Di conseguenza non sono sempre sono applicabili alle persone transgender. Ecco perché è importante consultare il proprio medico per sapere quali controlli effettuare e con quale cadenza, senza aver timore di parlare apertamente della propria identità sessuale e di eventuali dubbi legati alla salute.

Salute e stile di vita delle persone transgender

A giugno 2022 l’Istituto superiore di sanità ha organizzato, con l’Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali (UNAR), presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, un convegno dedicato allo “Stato dell’arte e prospettive future nella promozione del benessere e della salute delle persone transgender”. Negli stessi giorni sono stati pubblicati i già citati risultati preliminari dello “Studio sullo stato di salute della popolazione transgender adulta in Italia” guidato dall’ISS e condotto grazie alla collaborazione di diversi centri e associazioni nel territorio nazionale. L’interesse per la salute delle persone transgender è quindi in aumento anche in Italia, ma resta senza dubbio ancora molta strada da percorrere per arrivare a una vera parità anche in ambito di prevenzione.

I dati aggiornati su abitudini e comportamenti, descritti in dettaglio nei dati preliminari dell’ISS, mostrano per esempio che le percentuali di persone transgender che svolgono attività fisica sono inferiori rispetto a quelle della popolazione generale. “Il 64 per cento delle persone transgender AMAB (donne transgender e persone non binarie assegnate maschio alla nascita) e il 58 per cento delle persone transgender AFAB (uomini transgender e persone non binarie assegnate femmina alla nascita) dichiara di non svolgere attività fisica, rispetto al 33 per cento e al 42 per cento degli uomini e delle donne nella popolazione generale (dati ISTAT)”, si legge nel documento. Anche l’abitudine al fumo e il cosiddetto “binge drinking” (ovvero il consumo di grandi quantità di alcol in poco tempo) sono più frequenti nella popolazione transgender. Tra le cause alla base di queste differenze rispetto alla popolazione generale hanno un ruolo di primo piano alcuni aspetti socio-culturali come la transfobia, ovvero l’insieme di pregiudizi discriminatori nei confronti delle persone transgender.

Come riportato dagli esperti dell’ISS, “il 34 per cento delle persone transgender AMAB e il 46 per cento delle persone transgender AFAB si è sentita discriminata in ragione della propria identità e/o espressione di genere nell'accesso o utilizzo dei servizi sanitari”.

La buona notizia è che, stando ai dati più recenti, in Italia c’è un forte interesse nei confronti del rapporto tra identità di genere e salute, da parte sia dei medici di medicina generale sia delle autorità sanitarie che stanno mettendo in campo, tra l’altro, progetti di formazione specifica per il personale sanitario.

  • Agenzia Zoe

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