Tumore della prostata

Il cancro della prostata è uno dei tumori più diffusi nella popolazione maschile, ma i dati relativi alla sopravvivenza sono incoraggianti

Ultimo aggiornamento: 22 novembre 2021

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Cos'è

Il tumore della prostata ha origine dalle cellule presenti all'interno di una ghiandola, la prostata, che cominciano a crescere in maniera incontrollata. La prostata è presente solo negli uomini, è posizionata di fronte al retto e produce una parte del liquido seminale rilasciato durante l'eiaculazione. In condizioni normali ha le dimensioni di una noce, ma con il passare degli anni o a causa di alcune patologie può ingrossarsi fino a dare disturbi soprattutto di tipo urinario.

Questa ghiandola è molto sensibile all'azione degli ormoni, in particolare di quelli maschili, come il testosterone, che ne influenzano la crescita.

La parola all'esperto

L'urologo Francesco Montorsi parla del tumore della prostata e dei progressi della ricerca su questa malattia.

Quanto è diffuso

In Italia il cancro della prostata è il tumore più diffuso nella popolazione maschile e rappresenta il 18,5 per cento di tutti i tumori diagnosticati nell'uomo: le stime relative all'anno 2020 parlano di 36.074 nuovi casi l’anno a livello nazionale. Nonostante l’incidenza elevata, il rischio che la malattia abbia un esito infausto è basso, soprattutto se si interviene in tempo e, rispetto al 2015, nel 2020 è stata stimata una riduzione dei tassi di mortalità del (-15,6 per cento).

Lo dimostrano anche i dati relativi al numero di persone ancora vive dopo cinque anni dalla diagnosi ‒ in media il 92 per cento ‒ una percentuale tra le più alte in caso di tumore, soprattutto se si tiene conto dell'avanzata età media dei pazienti.

L'incidenza, cioè il numero di nuovi casi registrati in un dato periodo di tempo, è cresciuta nell’ultimo decennio in concomitanza con la maggiore diffusione di esami che, seppure non sempre conclusivi, hanno comunque aiutato la diagnosi precoce come il test PSA (antigene prostatico specifico, in inglese prostate specific antigene).

Chi è a rischio

Uno dei principali fattori di rischio per il tumore della prostata è l’età: le possibilità di ammalarsi sono scarse prima dei 40 anni, ma aumentano sensibilmente dopo i 50 anni e circa due tumori su tre sono diagnosticati in persone con più di 65 anni.

Quando si parla di tumore della prostata un altro fattore non trascurabile è senza dubbio la familiarità: il rischio di ammalarsi è pari al doppio per chi ha un parente consanguineo (padre, fratello eccetera) con la malattia rispetto a chi non ha nessun caso in famiglia.

Anche la presenza di mutazioni in alcuni geni come BRCA1 e BRCA2, già coinvolti nell'insorgenza di tumori di seno e ovaio, o della Sindrome di Lynch (tumore del colon non poliposico ereditario; HNPCC) possono aumentare il rischio di cancro alla prostata.

Non meno importanti sono i fattori di rischio legati allo stile di vita: dieta ricca di grassi saturi, obesità, mancanza di esercizio fisico sono solo alcune delle caratteristiche e delle abitudini poco salubri, sempre più diffuse nel mondo occidentale, che possono favorire lo sviluppo e la crescita del tumore della prostata.

Tipologie

Nella prostata sono presenti diversi tipi di cellule, ciascuna delle quali può trasformarsi e diventare cancerosa; quasi tutti i tumori prostatici diagnosticati originano dalle cellule della ghiandola e sono di conseguenza chiamati adenocarcinomi (come tutti i tumori che hanno origine dalle cellule di una ghiandola).

Oltre all'adenocarcinoma, nella prostata si possono trovare in rari casi anche sarcomi, carcinomi a piccole cellule e carcinomi a cellule di transizione.

Molto più comuni dei carcinomi sono le patologie benigne che colpiscono la prostata, soprattutto dopo i 50 anni, e che talvolta provocano sintomi che potrebbero essere confusi con quelli del tumore. Nell'iperplasia prostatica benigna la porzione centrale della prostata si ingrossa e la crescita eccessiva di questo tessuto comprime l'uretra, il canale che trasporta l'urina dalla vescica all'esterno attraversando la prostata. Questa compressione crea problemi nel passaggio dell'urina.

Sintomi

Nelle fasi iniziali il tumore della prostata è asintomatico. Viene diagnosticato in seguito alla visita urologica, che comporta in genere esplorazione rettale e controllo del PSA con un prelievo del sangue.

Quando la massa tumorale cresce, dà origine a sintomi urinari: difficoltà a urinare (in particolare a iniziare) o bisogno di urinare spesso, dolore quando si urina, sangue nelle urine o nello sperma, sensazione di non riuscire a urinare in modo completo.

Spesso i sintomi urinari possono essere legati a problemi prostatici di tipo benigno come l'ipertrofia: in ogni caso è utile rivolgersi al proprio medico o allo specialista urologo che sarà in grado di decidere se sono necessari ulteriori esami di approfondimento.

Prevenzione

Non esiste una prevenzione primaria specifica per il tumore della prostata anche se sono note alcune utili regole comportamentali che si possono seguire facilmente nella vita di tutti i giorni: aumentare il consumo di frutta, verdura, cereali integrali e ridurre quello di carne rossa, soprattutto se grassa o troppo cotta e di cibi ricchi di grassi saturi.

È buona regola, inoltre, mantenere il peso nella norma e tenersi in forma facendo attività fisica: è sufficiente mezz'ora al giorno, anche solo di camminata a passo sostenuto.

La prevenzione secondaria consiste nel rivolgersi al medico ed eventualmente nel sottoporsi ogni anno a una visita urologica, se si ha familiarità per la malattia o se sono presenti fastidi urinari.

Diagnosi

Il numero di diagnosi di tumore della prostata è aumentato progressivamente da quando, negli anni Novanta, l'esame per la misurazione del PSA è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) americana. Sul suo reale valore ai fini della diagnosi di un tumore, però, il dibattito è aperto in quanto spesso i valori sono alterati per la presenza di una iperplasia benigna o di una infezione. Per questa ragione negli ultimi anni si è osservata una riduzione dell'uso di tale test. In particolare, la misurazione sierica del PSA va valutata attentamente in base all'età del paziente, la familiarità, l'esposizione a eventuali fattori di rischio e la storia clinica.

I sintomi urinari del tumore della prostata compaiono solo nelle fasi più avanzate della malattia e comunque possono indicare anche la presenza di patologie diverse dal tumore. È quindi molto importante che la diagnosi sia eseguita da un medico specialista che prenda in considerazione diversi fattori prima di decidere come procedere.

Nella valutazione dello stato della prostata, il medico può decidere di procedere con il test del PSA e l'esplorazione rettale, che si esegue nell'ambulatorio del medico di base o dell'urologo, e permette a volte di identificare al tatto la presenza di eventuali noduli a livello della prostata.

L'unico esame in grado di identificare con certezza la presenza di cellule tumorali nel tessuto prostatico è la biopsia prostatica. La risonanza magnetica multiparametrica è diventata fondamentale per decidere se e come sottoporre il paziente a tale biopsia, che viene eseguita in anestesia locale, ambulatorialmente o in day hospital, e dura pochi minuti. Grazie alla guida della sonda ecografica inserita nel retto vengono effettuati, con un ago speciale, circa 12 prelievi per via trans-rettale o per via trans-perineale (la regione compresa tra retto e scroto) che sono poi analizzati dal patologo al microscopio alla ricerca di eventuali cellule tumorali. La biopsia prostatica può essere anche eseguita in maniera mirata sotto la guida della risonanza magnetica multiparametrica effettuata in precedenza.

Evoluzione

Il tumore della prostata viene classificato in base al grado, che indica l'aggressività della malattia, e allo stadio, che ne indica invece la diffusione.

Per meglio definire quest’ultima si può procedere con esami di diagnostica per immagini come la TC (tomografia computerizzata) o la risonanza magnetica. La scintigrafia ossea è invece utile per verificare la presenza di eventuali metastasi allo scheletro.

Il patologo che analizza il tessuto prelevato con la biopsia assegna al tumore il cosiddetto grado di Gleason, cioè un numero compreso tra 1 e 5 che indica quanto l'aspetto delle ghiandole tumorali sia simile o diverso da quello delle ghiandole normali: più simili sono, più basso sarà il grado di Gleason.

Per definire il grado di Gleason si sommano il primo e il secondo punteggio più comuni assegnati ai campioni prelevati con la biopsia: se per esempio la maggior parte dei campioni ha un punteggio di 3, seguito (per numero di campioni) da quelli con punteggio 4, il grado di Gleason sarà 7 (3+4).

I tumori con grado di Gleason minore o uguale a 6 sono considerati di basso grado, quelli con 7 di grado intermedio, mentre quelli tra 8 e 10 di alto grado. Questi ultimi hanno un maggior rischio di progredire e diffondersi in altri organi.

Più recentemente è stato introdotto un nuovo sistema di classificazione, il quale stratifica la neoplasia prostatica in cinque gradi in base al potenziale maligno e all'aggressività.

Per definire invece lo stadio al tumore si utilizza in genere il sistema TNM dove T indica la dimensione del tumore, N lo stato dei linfonodi (N: 0 se non intaccati, 1 se intaccati) e M la presenza di metastasi (M: 0 se assenti, 1 se presenti).

Per una caratterizzazione completa dello stadio della malattia, a questi tre parametri si associano anche il grado di Gleason e il livello di PSA alla diagnosi.

La correlazione di questi parametri (TMN, Gleason, PSA) consente di attribuire alla malattia tre diverse classi di rischio: basso, intermedio e alto.

In genere nel caso di un basso rischio (cioè di una malattia che difficilmente si diffonderà e darà luogo a metastasi) si può anche decidere di non procedere alla rimozione chirurgica della ghiandola, ma di limitarsi a monitorare l'eventuale evoluzione della patologia.

Come si cura

Oggi sono disponibili molti tipi di trattamento per il tumore della prostata ciascuno dei quali presenta benefici ed effetti collaterali specifici. Solo un'attenta analisi delle caratteristiche del paziente (età, aspettativa di vita, eccetera) e della malattia (tipo, livello di rischio) permetterà allo specialista urologo di consigliare la strategia più adatta e personalizzata e di concordare la terapia anche in base alle preferenze di chi si deve sottoporre alle cure.

In alcuni casi, soprattutto per pazienti anziani o con altre malattie gravi, si può scegliere di non attuare alcun tipo di terapia e "aspettare": è quello che gli anglosassoni chiamano watchful waiting, una "vigile attesa" che non prevede trattamenti sino alla comparsa di sintomi.

In pazienti che presentino caratteristiche della malattia a basso rischio esistono opzioni terapeutiche che consentono di posticipare il trattamento nel momento in cui la malattia diventi "clinicamente significativa", effettuando inizialmente solo controlli abbastanza frequenti (PSA, esame rettale, biopsia) che permettono di controllare l'evoluzione della malattia e verificare eventuali cambiamenti che meritano un intervento (“sorveglianza attiva”).

Quando si parla di terapia attiva, invece, la scelta spesso ricade sulla chirurgia radicale. La prostatectomia radicale – la rimozione dell'intera ghiandola prostatica e dei linfonodi della regione vicina al tumore – viene considerata un intervento curativo, se la malattia risulta confinata nella prostata. Grazie ai notevoli miglioramenti degli strumenti chirurgici, oggi l'intervento di rimozione della prostata può essere effettuato in modo classico (prostatectomia radicale retro-pubica aperta) o per via robotica.

In Italia i robot adatti a praticare l'intervento sono sempre più diffusi su tutto il territorio nazionale e studi recenti hanno dimostrato che gli esiti dell'intervento robotico e di quello classico si equivalgono nel tempo. Per i tumori in stadi avanzati, il bisturi da solo spesso non riesce a curare la malattia e vi è quindi la necessità di associare trattamenti come la radioterapia o la ormonoterapia.

Per la cura della neoplasia prostatica, nei trattamenti considerati standard, è stato dimostrato che anche la radioterapia a fasci esterni è efficace nei tumori di basso rischio, con risultati simili a quelli della prostatectomia radicale.

Un'altra tecnica radioterapica che sembra offrire risultati simili alle precedenti nelle malattie di basso rischio è la brachiterapia, che consiste nell'inserire nella prostata piccoli "semi" che rilasciano radiazioni. Quando il tumore della prostata si trova in stadio metastatico, a differenza di quanto accade in altri tumori, la chemioterapia non è il trattamento di prima scelta e si preferisce invece la terapia ormonale, nota come terapia di deprivazione androgenica. Questa ha lo scopo di ridurre il livello di testosterone – ormone maschile che stimola la crescita delle cellule del tumore della prostata – ma porta con sé effetti collaterali come calo o annullamento del desiderio sessuale, impotenza, vampate, aumento di peso, osteoporosi, perdita di massa muscolare e stanchezza.

Per i pazienti con carcinoma prostatico in stadio avanzato sensibile alla castrazione (ovvero resistente all’eliminazione degli ormoni maschili attraverso la chirurgia o la terapia ormonale), molte nuove terapie sono all’orizzonte. Queste consistono nell’uso di nuovi agenti ormonali, che si associano all’ormonoterapia di vecchia generazione. Alcune di queste soluzioni terapeutiche saranno disponibili anche in Italia come nuove soluzioni standard di trattamento a breve termine. Già disponibile è invece la chemioterapia, anch’essa associata all’uso dell’ormonoterapia di vecchia generazione. Questa consiste in particolare in un singolo farmaco chiamato docetaxel, in infusione endovenosa. Questa soluzione di trattamento è particolarmente adatta ai pazienti cha hanno un elevato carico di metastasi a distanza.

Per i pazienti con carcinoma della prostata resistente a castrazione e con metastasi a livello delle ossa si può utilizzare la cosiddetta terapia radiometabolica. Questo approccio si basa sulla capacità di alcuni radiofarmaci, come il radio-223, di posizionarsi in aree dove si verifica un elevato “ricambio” (turnover) osseo e di portare in queste sedi particelle ad alta energia che riescono a distruggere le cellule tumorali.

Numerose le terapie che si sono dimostrate efficaci nell’ambito degli studi clinici: tra queste le terapie a bersaglio molecolare come, per esempio, gli inibitori di PARP, che possono essere utilizzati in particolare in uomini che presentano mutazioni nei geni BRCA, gli stessi coinvolti nel tumore di seno e ovaio e la nuova terapia radiometabolica con 177Lu-PSMA-617. L’immunoterapia invece deve ancora dimostrare una chiara efficacia in queste neoplasie; recenti studi indicano che, specie nell’ambito di combinazioni terapeutiche, anche questa terapia potrà rappresentare un’ulteriore arma di trattamento nel prossimo futuro per pazienti con tumore resistente alle terapie convenzionali.

Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.

  • Agenzia Zoe