Ultimo aggiornamento: 12 maggio 2025
Ricordiamo il legame tra il sale nella dieta e i tumori in occasione della Settimana mondiale per la riduzione del consumo di sale.
Tra il 12 e il 18 maggio si svolge la Settimana mondiale di sensibilizzazione per la riduzione del consumo alimentare di sale, con il duplice obiettivo di ricordare i danni per la salute dovuti all’eccesso di sale e di favorire politiche che aiutino a ridurne il consumo. Introdurre meno sale nella propria dieta, per esempio insaporendo i cibi con erbe aromatiche o spezie, contribuisce infatti a prevenire diversi disturbi, tra cui anche alcuni tipi di tumore. L’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di assumere al massimo 5 grammi (circa un cucchiaino) di sale al giorno, che corrispondono a circa 2 grammi di sodio.
Nel 2024 è stato ulteriormente confermato il nesso di causa ed effetto fra il consumo eccessivo di sale e il rischio di sviluppare un cancro allo stomaco, grazie a uno studio svolto nella popolazione europea. La ricerca, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo, hanno mostrato che le persone che dichiarano di aggiungere “sempre” sale ai propri pasti hanno un rischio relativo di sviluppare un tumore gastrico superiore di circa il 41% rispetto a chi non lo aggiunge “mai o quasi mai”. Ma perché?
I meccanismi non sono del tutto chiari, ma le ipotesi più accreditate sono che il sale potrebbe danneggiare il rivestimento dello stomaco e creare così un ambiente più favorevole alla proliferazione dell’Helicobacter pylori, un batterio noto per le proprietà cancerogene che è ospitato proprio sulla parete dello stomaco. Un’altra ipotesi è che il sale potenzi l’effetto di altre sostanze cancerogene, come i nitrati.
L’impatto diretto del sale sull’insorgenza del cancro è tuttavia ancora da approfondire, per comprendere più a fondo come questa sostanza agisca in senso cancerogeno. Invece, è chiaro che la quantità di sale alimentare consumata è un’importante determinante, per esempio, dei livelli di pressione sanguigna, dell’ipertensione e del rischio cardiovascolare complessivo. Sappiamo anche che la salute cardiovascolare è associata al cancro: come è stato evidenziato da diverse ricerche, la mortalità per patologie cardiovascolari è molto più alta tra le persone che hanno affrontato una diagnosi di cancro rispetto alla popolazione generale.
Secondo alcuni dati, la diagnosi di tumore comporta un aumento medio del 42% circa del rischio relativo di sviluppare malattie cardiovascolari tra i pazienti rispetto a chi non ha invece ricevuto una diagnosi di tumore. Il cancro, infatti, aumenta di per sé il rischio di eventi tromboembolici, a cui si sommano gli effetti avversi delle terapie oncologiche. Molti farmaci oncologici oggi in uso sono cardiotossici, il che significa che possono procurare direttamente danni al muscolo cardiaco, compromettendone la contrattilità e l’elasticità e predisponendo ad aritmie. Alcuni composti possono interagire con le placche aterosclerotiche, incrementando il rischio di eventi ischemici, come l’infarto, a causa di un ridotto afflusso di sangue a un organo. Queste evidenze sottolineano la necessità di promuovere un approccio cardio-oncologico con la creazione di gruppi multidisciplinari per la gestione integrata dei pazienti.
L’Organizzazione mondiale della sanità ha rilevato che la maggior parte delle popolazioni consuma molto più sale di quanto raccomandato. In numerosi Paesi ad alto reddito, circa il 75% del sale nella dieta proviene da alimenti trasformati e pasti preparati fuori casa, mentre nei Paesi a più basso e medio reddito la maggior parte del consumo di sodio deriva dal sale aggiunto a casa durante la cottura e a tavola o da condimenti come la salsa di pesce e la salsa di soia.
In Italia disponiamo dei dati sul periodo 2022-2023 della Sorveglianza PASSI, dell’Istituto superiore di sanità (ISS). Tali dati mostrano che solo il 56% circa degli intervistati nel sondaggio dell’ISS dichiara di fare attenzione al consumo di sale, soprattutto tra le donne (60%, contro il 51% negli uomini) e le persone in età più avanzata (64% fra i 50-69enni, contro il 43% tra i 18-34enni). D’altronde, dal sondaggio emerge anche che circa tre quarti della popolazione generale non ha mai ricevuto dal medico l’indicazione di limitare la quantità di sale nella dieta, un’indicazione che è stata data invece al 55% degli intervistati con malattie per cui il sale è un fattore di rischio. Più alta, ma comunque migliorabile, è la consapevolezza tra chi convive con malattie croniche: solo il 66% di chi ha almeno una patologia controlla l’assunzione di sale e il 74% di chi soffre di insufficienza renale o ipertensione.
Anche se il sale va limitato, è da preferirsi quello iodato, poiché lo iodio è importante per il corretto funzionamento dell’organismo, in particolare della tiroide e del sistema nervoso. Assumerlo è fondamentale soprattutto per le donne incinte, perché si possono avere problemi di salute sia nella mamma nel corso della gravidanza, sia nel bambino, durante la prima infanzia. Dal 2005 esiste addirittura una legge (n. 55 del 21 marzo) la quale impone che il sale iodato sia disponibile in tutti i negozi alimentari, mentre quello non iodato solo su richiesta. Nonostante ciò, solo 6 persone su 10 in Italia lo usano abitualmente, mentre il 40% circa consuma sale non iodato, più facilmente reperibile online.
Cristina Da Rold