Una delle cause principali del fallimento di un trattamento antitumorale è lo sviluppo di resistenze agli effetti dei farmaci da parte delle cellule. La ricerca se ne sta occupando, cercando di capire i processi alla base del fenomeno per rendere le cure più efficaci.
Una delle cause principali del fallimento di un trattamento antitumorale è lo sviluppo di resistenze agli effetti dei farmaci da parte delle cellule.
Questo avviene perché le cellule che compongono una massa tumorale non sono tutte uguali. Una delle caratteristiche del cancro è la cosiddetta instabilità genetica: le mutazioni del DNA avvengono con una rapidità non comune e fanno sì che le cellule del tumore non siano mai geneticamente identiche.
Quando la massa viene esposta all'azione di un farmaco antitumorale, le cellule sensibili ai suoi effetti muoiono, ma alcune, tra cui le staminali tumorali, hanno di per sé o hanno acquisito nel tempo caratteristiche genetiche diverse e sono quindi in grado di resistere alla terapia. Saranno queste ultime a continuare a moltiplicarsi e a fare in modo che in breve tempo tutto il tumore diventi resistente alla cura.
Per questa ragione le chemioterapie sono costituite quasi sempre da cocktail di farmaci: dove il primo fallisce, può agire il secondo. È difficile, infatti, che una cellula acquisisca contemporaneamente la resistenza a più sostanze.
Alcuni farmaci antitumorali sono progettati per bloccare l'azione di particolari enzimi che controllano la crescita e la divisione cellulare.
Per proteggersi da questa azione, la cellula tumorale è in grado di agire sul gene che produce gli enzimi bersaglio della terapia e di aumentarne la quantità mediante il meccanismo dell'amplificazione genica. In pratica se il farmaco è la freccia e l'enzima il bersaglio, il numero dei bersagli aumenta a dismisura mentre quello delle frecce (ovvero la quantità di farmaco che si può somministrare) resta inalterato. Col tempo, quindi, la terapia perde efficacia.
La ricerca punta a trovare sostanze in grado di interferire con l'amplificazione genica per mantenere l'efficacia della cura.
Inoltre, grazie alle mutazioni genetiche, la cellula tumorale può modificare il bersaglio di un farmaco. Se il bersaglio è la serratura su cui deve agire la chiave-farmaco, ogni sua alterazione non permette più alla chiave di entrare, il farmaco disegnato per interagire con un bersaglio ben preciso non riesce più a riconoscerlo come tale e la cura risulta inefficace.
È anche possibile che un farmaco perda il suo bersaglio ed è una delle conseguenze della rapidità con cui si manifestano le mutazioni genetiche nelle cellule tumorali. Un esempio tipico è quello del tumore della mammella, che può essere curato con un farmaco attivo contro gli ormoni estrogeni, il tamoxifene.
Alcune cellule all'interno del tumore possono mutare e diventare "indipendenti" dall'ormone, cioè non avere più bisogno degli ormoni per crescere. Il fatto che il farmaco interferisca con gli estrogeni, quindi, non le disturba più. Le cellule mutate riusciranno a sopravvivere alla cura e a replicarsi, e quindi in breve tempo tutto il tumore non sarà più aggredibile con il tamoxifene.
Sì, questo può accadere. Il fenomeno si chiama multiresistenza ai farmaci (in inglese multidrug resistance, o MDR). Le cause possono essere molteplici, ma una delle più note è l'amplificazione (cioè l'aumento dell'attività) di un gene noto come MDR1, che conferisce alla cellula una particolare resistenza.
La ricerca scientifica sta mettendo a punto terapie in grado di interferire con l'azione nefasta del gene MDR1, che produce una proteina capace di bloccare l'ingresso del farmaco chemioterapico nella cellula (quindi di proteggerla dalla sua azione).
Investire sulla ricerca che si occupa di capire quali sono i processi attraverso i quali le cellule cancerogene riescono a sopravvivere alle terapie vuol dire rendere le cure più efficaci. Per questo AIRC sostiene diversi gruppi di ricerca che cercano soluzioni a questo problema.
Quando il tumore al colon è in fase avanzata, per esempio, le terapie mirate contro il bersaglio molecolare EGFR possono ancora controllare la malattia. Questo, però, accade solo se alcuni geni delle cellule, come quello chiamato K-RAS, non sono alterati. Purtroppo nel corso delle cure, quasi immancabilmente questi geni vanno incontro a mutazioni, che finiscono col rendere inefficaci i trattamenti.
Vari gruppi sostenuti da AIRC stanno quindi cercando di contrastare lo sviluppo di questa particolare forma di resistenza, che riguarda anche altre forme di cancro. Per esempio, Alberto Bardelli, dell'Istituto per la ricerca e la cura del cancro di Torino, in collaborazione con il gruppo di Salvatore Siena all'Ospedale Niguarda di Milano, ha messo a punto un nuovo metodo per scoprire in tempo quando il cancro del colon incomincia a imparare a difendersi dai farmaci a bersaglio molecolare, e prevenire così lo sviluppo di nuove e pericolose metastasi. L'esame ha preso il nome di "biopsia liquida" e si basa su un semplice prelievo del sangue, che quindi può essere facilmente ripetuto e consente un monitoraggio regolare: un notevole passo avanti che consente di individuare precocemente la resistenza al farmaco e anticipare una nuova linea terapeutica.
Gli stessi ricercatori hanno anche dimostrato che, all'insorgenza del fenomeno, un'interruzione temporanea delle cure può ripristinare la loro efficacia. Un altro lavoro dello stesso gruppo pubblicato sull'importante rivista Science Translational Medicine, ha esaminato i meccanismi alla base di tale resistenza, spiegando che si potrebbe evitare aggiungendo un secondo medicinale alla terapia. Si tratta di un inibitore di MEK, un segnale che spinge la cellula a proliferare, fondamentale nel processo con cui il tumore sviluppa resistenza alle terapie.
Anche il laboratorio di ricerca traslazionale di Fortunato Ciardiello, presso la Seconda Università di Napoli, studia i meccanismi molecolari alla base dello sviluppo della resistenza nei confronti degli stessi farmaci studiati a Torino.
In particolare questo gruppo si sta concentrando sul segnale MEK, che spinge la cellula a proliferare, e ha dimostrato che bloccandolo è possibile vincere la resistenza al trattamento farmacologico. Questa strategia non funziona solo per il cancro al colon, infatti combinando farmaci diversi si può ottenere un effetto antitumorale anche in altri tipi di tumori. Studi clinici sono già in corso e i primi risultati positivi sono stati pubblicati su prestigiose riviste scientifiche, come Lancet Oncology. Si tratta di studi di fase 2, che dovrebbero essere estesi a breve a un numero maggiore di pazienti.
Anche le scoperte di Francesco Bertolini, dell'Istituto europeo di oncologia di Milano, sono già in fase di sperimentazione clinica.
Il suo gruppo di lavoro ha studiato come le cellule tumorali si difendono dai farmaci che impediscono la formazione di nuovi vasi sanguigni, fondamentali per portare ossigeno e nutrienti al tumore. Bertolini con il suo team ha dimostrato che alcuni anticorpi riconoscono e sequestrano una molecola presente nei vasi sanguigni che alimentano il tumore e bloccano così la crescita tumorale. I risultati dei primi studi clinici si stanno rivelando molto incoraggianti.
La resistenza insorge spesso anche nei confronti della chemioterapia tradizionale. Molte cellule tumorali, per esempio, hanno sulla membrana una sorta di pompa di sentina, detta glicoproteina P, che ributta fuori i farmaci rendendoli inefficaci. Chiara Riganti, dell'Università di Torino, con altri colleghi italiani e israeliani, ha scoperto un meccanismo che favorisce il fenomeno, e sta studiando come poterlo bloccare.
Paolo Corradini, all'Istituto tumori di Milano, sta studiando, grazie a un finanziamento AIRC, le caratteristiche della resistenza ai farmaci nel linfoma a cellule T. La ricerca si concentra sulle caratteristiche molecolari dell'insorgenza di farmacoresistenza, con l'obiettivo di identificare nuove combinazioni di farmaci. In questo modo sarà possibile trattare i pazienti affetti dalle forme più complesse di questo tumore del sangue.
Altri gruppi finanziati da AIRC si stanno concentrando sulla ricerca delle resistenze che insorgono nella cura del tumore al seno o del melanoma. In quest'ultimo campo, in particolare, il team di Andrea Anichini, dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, ha dimostrato in laboratorio che l'azione antitumorale di alcune molecole aumenta quando sono utilizzate insieme, al punto da uccidere anche le cellule di melanoma che avevano sviluppato una resistenza.
Agenzia Zadig
Articolo pubblicato il:
1 luglio 2016