Ultimo aggiornamento: 29 novembre 2024
Numerosi studi dimostrano che i microbi presenti nell’intestino influenzano l’efficacia delle cure nei tumori del sangue.
Sangue, intestino, cancro: che relazione c’è? Un medico risponderebbe che un sanguinamento nell’intestino è in qualche caso spia di un tumore intestinale. Ciò è senz’altro vero, e infatti il principale esame utilizzato per lo screening per il tumore del colon-retto si basa proprio sulla ricerca del sangue occulto. C’è però anche dell’altro. Studi condotti negli ultimi 10 anni hanno dimostrato che il microbiota intestinale, – l’insieme dei microorganismi (batteri, virus, funghi e altri) che colonizzano l’intestino, influenza il processo di formazione delle cellule del sangue (la cosiddetta ematopoiesi) e la successiva differenziazione dei globuli bianchi, e condiziona l’effetto delle cure nei pazienti con tumori ematologici. Tali effetti sembrano essere particolarmente rilevanti per il successo delle immunoterapie e del trapianto di cellule staminali ematopoietiche, e per la tossicità che queste cure comportano. I ricercatori sono al lavoro per capire se, alterando il microbiota, si possa migliorare l’efficacia dei trattamenti e ridurre gli eventi avversi.
Che il microbiota intestinale intervenga nel funzionamento del sistema ematopoietico è indirettamente dimostrato dal fatto che l’uso prolungato di antibiotici, farmaci che uccidono i batteri, può portare a una forte diminuzione del numero delle cellule del sangue. Ciò si può verificare quando alcune molecole o porzioni di microbi attraversano la cosiddetta barriera intestinale ed entrano in circolo, attivando le nostre difese. In particolare, da parte dei globuli bianchi, che a loro volta liberano molecole che segnalano la necessità di produrre nuove cellule del sangue, a partire dai progenitori di tali cellule contenuti nel midollo osseo.
Il ruolo del microbiota dell’intestino a favore del sistema immunitario non si ferma qui. La presenza di particolari prodotti di origine microbica influisce sulle caratteristiche e sulle funzioni dei globuli bianchi. Nell’insieme, questi indizi indicano che il microbiota intestinale non è uno spettatore passivo, ma esercita un ruolo rilevante sia sulle malattie del sangue, sia sulle terapie in cui sono cruciali le cellule del sistema immunitario.
Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (dall’inglese “hematopoietic stem cell transplantation”, HSCT) è largamente utilizzato per la cura di diverse neoplasie ematologiche e di altre malattie del sangue. La principale causa di insuccesso del trapianto in cui si utilizzano le cellule staminali di un donatore compatibile è la malattia da rigetto verso l’ospite (in inglese, graft-versus-host disease, GVHD), in cui le cellule trapiantate attaccano i tessuti e gli organi del ricevente.
È stato osservato che gli esiti dell’HSTC sono meno positivi nei pazienti che hanno una minor varietà e diversità di specie microbiche nell’intestino. Le forti dosi di chemioterapia e di radioterapia usate per creare le condizioni di “attecchimento” del trapianto, e gli antibiotici ad ampio spettro somministrati per proteggere i pazienti dalle infezioni, da un lato selezionano le specie microbiche resistenti a questi trattamenti, poiché vi sopravvivono, e dall’altro lato compromettono l’integrità della barriera intestinale, consentendo il passaggio dei microbi. Nell’insieme questi fenomeni creano condizioni di infiammazione e di possibilità di infezioni, che favoriscono la comparsa di GVDH e una conseguente diminuzione della sopravvivenza dei pazienti. I ricercatori hanno identificato alcune specie che aumentano il rischio di GVDH e altre che invece sembrano avere un effetto protettivo contro questa complicanza.
I risultati di alcuni studi suggeriscono che la risposta alla terapia con le cellule CAR-T sia più probabile se i pazienti con una malattia ematologica che vi si sottopongono possiedono un microbiota intestinale “favorevole”. L’uso di alcuni antibiotici, che uccidono indiscriminatamente batteri sia patogeni sia innocui o benefici, sembra essere associato a una sopravvivenza ridotta e a un aumentato rischio di tossicità a livello cerebrale.
I dati raccolti in alcune ricerche mostrano che il tipo di microbiota intestinale del paziente potrebbe influenzare anche la risposta all’immunoterapia con inibitori dei checkpoint immunitari. Per ora il fenomeno è stato osservato in pazienti con tumori solidi, ma è possibile che ciò si verifichi anche nei tumori ematologici. Serviranno tuttavia ancora molti studi per chiarire se c’è una relazione causa-effetto tra varianti di microbiota e la risposta alle terapie e quali meccanismi molecolari siano implicati. In tal caso, la conoscenza delle molecole coinvolte potrebbe permettere di sviluppare interventi a vantaggio dei pazienti.
Tra le azioni possibili vi è in primo luogo la protezione del microbiota, messo a dura prova dalla procedura di trapianto. Per fare questo si può pensare, per esempio, di somministrare dei probiotici e di adottare un regime alimentare adeguato, che favorisca la sopravvivenza e la proliferazione delle specie “amiche”. In particolare, sembra utile favorire la presenza e il benessere dei microbi che producono acidi grassi a catena corta (in inglese, short chain fatty acid, SCFA) che sembrano avere un’azione immunomodulante. I probiotici vanno tuttavia usati con molta cautela nei pazienti sottoposti a HSCT perché sono gravemente immunodepressi e il contatto con alcuni microrganismi potrebbe essere problematico.
In questi pazienti andrebbero poi impiegati antibiotici in grado di prevenire e curare le infezioni, non però ad ampio spettro ma con un’azione selettiva, che risparmi le specie batteriche associate a una maggior probabilità di successo del trapianto.
Infine, sono in corso numerosi studi clinici sull’uso in questi casi del trapianto di materiale fecale, che viene chiamato colloquialmente “trapianto di feci”. Il trattamento potrebbe infatti aiutare a “plasmare” la composizione del microbiota intestinale dei pazienti che devono sottoporsi a trapianto di cellule staminali. Tale composizione potrebbe in principio proteggerli dal rischio di andare incontro alla GVDH e ad altre complicanze. La speranza è che tutte queste ricerche portino a delineare la composizione ideale del microbiota intestinale e a mettere a punto protocolli clinici per raggiungerla e preservarla.
Fernandez Sanchez J., Maknojia A.A., King K.Y., 2024. Blood and guts: how the intestinal microbiome shapes hematopoiesis and treatment of hematologic disease. Blood. 2024 Apr 25;143(17):1689-1701. Doi: 10.1182/blood.2023021174.
Agenzia Zoe