Ultimo aggiornamento: 10 novembre 2025
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In questo articolo risponderemo alle domande:
Il microbiota, che un tempo veniva chiamato “flora batterica”, è l’insieme dei microrganismi ospitati da ciascun essere umano nel proprio organismo. Si tratta di diverse popolazioni microbiche, di cui si riceve la prima dotazione alla nascita e che subisce molte evoluzioni nel corso della vita. Non bisogna confondere il microbiota con il microbioma, un termine che indica invece tutto il patrimonio genetico dei microrganismi ospiti. La popolazione microbica che alberga in ciascuno di noi è variegata: si stima che il numero di specie diverse sia compreso tra 500 e 1000, con una conseguente varietà di tipi di cellule batteriche, virus, funghi e relativi geni. I microbi si possono trovare sulla pelle, nel cavo orale, nei polmoni, nei genitali e nel tratto gastrointestinale, in particolare nell’intestino.
Sono sempre più numerosi gli studi i cui risultati hanno collegato lo stato di salute del microbiota, in particolare di quello intestinale, all’insorgenza di patologie come il cancro, il diabete, le malattie infiammatorie intestinali e cardiorespiratorie, oltre ad alcuni problemi psichiatrici e neurologici, come depressione, morbo di Parkinson e di Alzheimer. I risultati di questi studi hanno portato alla nascita di programmi di ricerca internazionali, quali per esempio lo Human Microbiome Project statunitense e il MetaHIT europeo. Si tratta di programmi avviati nel 2007, oggi conclusi, che avevano l’obiettivo di scoprire le caratteristiche del microbiota umano per analizzarne il ruolo sia in persone sane sia in presenza di malattie.
Oggi, grazie allo sviluppo di tecniche di sequenziamento e alla bioinformatica è possibile approfondire i meccanismi che regolano l’equilibrio del microbiota per comprendere meglio come si sviluppano le patologie a esso correlate e trovare nuove terapie mirate ed efficaci per tutti i pazienti.
Fino a qualche anno fa si pensava che le cellule di questi microrganismi fossero circa 9 volte più numerose di quelle dell’organismo umano e che il peso totale del microbiota di un uomo di corporatura media fosse di circa 1,5 chilogrammi. In un articolo pubblicato sulla rivista Plos Biology nel 2016, queste stime sono state riviste un po’ al ribasso: il rapporto tra cellule del microbiota e cellule umane sembra essere quasi paritario, ma il microbiota resta comunque una componente sostanziale del nostro corpo.
Per quanto riguarda la composizione, si tratta perlopiù di batteri, ma non mancano virus, funghi e protozoi. Tra le specie presenti nell’intestino, numerose sono considerate “buone”, perché contribuiscono al benessere dell’intero organismo attraverso diversi meccanismi, come la produzione di vitamine ed enzimi utili all’assorbimento di nutrienti. Inoltre, anche in altri distretti, sembrano favorire i processi di riparazione dalle ferite e influire positivamente alla risposta ai farmaci. A volte agiscono attivando il sistema immunitario e proteggendo l’organismo da infezioni pericolose, grazie alla produzione di sostanze antimicrobiche. Per esempio, le specie dei Lactobacillus, presenti anche nel microbiota vaginale, possono , riducendo così le infezioni che possono dare vaginosi batterica. Più in generale, mantenere un microbiota vaginale sano ha un ruolo importante nella protezione dalle infezioni del tratto urinario, dalle candidosi e da altre infezioni sessualmente trasmissibili, e sembra inoltre essere un fattore associato alla fertilità. Sono però necessari ulteriori studi clinici su un numero maggiore di pazienti per comprendere meglio queste interazioni.
I microrganismi ospiti più studiati sono quelli dell’intestino. Il microbiota intestinale è oggi considerato cruciale per processi come il controllo di stati infiammatori e la regolazione del metabolismo, ovvero l’insieme delle reazioni biochimiche necessarie a produrre, gestire e consumare l’energia necessaria alla vita delle cellule. Dal punto di vista patologico, il microbiota intestinale quando perde il proprio equilibrio può essere coinvolto in malattie infiammatorie croniche, come il morbo di Crohn, la colite ulcerosa, e anche nell’insorgenza del diabete.
Poiché l’intestino è strettamente collegato al cervello tramite numerose centinaia di fibre nervose dedicate, il microbiota intestinale sembra avere un ruolo anche in , i cui meccanismi causali sono però ancora da chiarire.
I risultati di alcuni studi condotti con animali di laboratorio hanno mostrato che l’obesità in un topo gravido può avere effetti diretti sulla riduzione dei neuroni reattivi all’ossitocina, influenzando così la regolazione dello stress, con conseguenze sul comportamento sociale dell’animale. Più in generale tali effetti sembrano associati a un aumento del rischio di sviluppare disturbi neurologici nella prole, che possono essere assimilati a quelli depressivi e dello spettro autistico negli esseri umani. Si è osservato anche che l’esposizione allo stress comporta modifiche del microbiota intestinale in topi di laboratorio. Inoltre, un microbiota sano contribuisce al controllo delle proprietà di barriera dell’epitelio intestinale, evitando che le endotossine, rilasciate da alcuni batteri presenti nel tubo digerente, entrino nel flusso sanguigno. La rottura di tale barriera può innescare uno stato infiammatorio che può inviare segnali di allarme al cervello, con un possibile impatto sulla salute mentale.
Altri tipi di microbiota, residenti in altri distretti dell’organismo, possono influire sulla salute. Per esempio, il microbiota polmonare ha un ruolo nelle malattie respiratorie croniche, mentre quello orale può influire sulle malattie del cavo orale e su quelle epatiche croniche.
Il campo di ricerca che investiga il microbiota è molto giovane e per questo sono ancora numerosissime le domande aperte per quanto riguarda la sua composizione e le sue funzioni.
Ciascun essere umano ha un proprio microbiota intestinale, la cui composizione varia in base a molti fattori, quali per esempio il tipo di parto alla nascita (naturale o cesareo) e di allattamento ricevuto, il patrimonio genetico, la dieta, i luoghi in cui si è vissuti, le abitudini e i comportamenti, inclusa l’attività fisica. Se dunque i tipi di microbiota sono molti, è tuttavia possibile descrivere con qualche approssimazione le caratteristiche generali di un microbiota “sano”. Come si legge nella pagina dell’Istituto superiore di sanità dedicata al microbiota, i ricercatori misurano lo stato di salute della popolazione microbica dell’intestino valutando 3 fattori principali: il numero totale di microrganismi, la diversità delle specie presenti e la variazione delle loro concentrazioni. Le concentrazioni relative di specie microbiche possono infatti cambiare quando si ha un’infiammazione in corso, o un’infezione, che invia segnali d’allarme al sistema immunitario e al resto del corpo. Quando l’equilibrio del microbiota si modifica in maniera cronica, si assiste a quella che gli esperti chiamano disbiosi, un’alterazione dell’ecosistema microbico interno che può portare all’insorgenza di una malattia. È tuttavia ancora da chiarire se, per alcune patologie, la disbiosi, che sembra essere sempre specifica per ogni persona e malattia, sia una conseguenza o una causa della patologia stessa. La disbiosi può avere diverse origini:
Nel 2017 un gruppo di ricercatori dell’Imperial College di Londra ha dato il via all’International Cancer Microbiome Consortium, una collaborazione internazionale tra esperti, con l’obiettivo di approfondire il complesso legame tra microbiota e cancro e promuovere la ricerca sul microbiota in oncologia. Negli ultimi anni si sono infatti accumulati i risultati di molti studi meccanicistici, svolti sia in animali di laboratorio sia in campioni ottenuti da pazienti. I dati raccolti hanno mostrano che alcuni meccanismi biologici dei microrganismi possono avere un ruolo nell’insorgenza di alcuni tipi di cancro. Del resto, sappiamo da tempo che le infezioni con il papillomavirus (HPV) e con l’Helicobacter pylori possono favorire lo sviluppo di alcuni tipi di cancro. Nel 2019 il gruppo di ricercatori ha individuato una debole correlazione tra batteri simbionti commensali e lo sviluppo del cancro. Tuttavia, data la complessità del tema, serviranno ulteriori studi più approfonditi per confermare questi risultati.
Da una decina di anni è invece ben chiaro, come riportato in un articolo pubblicato sulla rivista Genome Medicine, che un microbiota sano può aiutare a potenziare l’effetto dell’immunoterapia.
In recenti articoli di revisione, pubblicati sulla rivista BMC Cancer, gli autori hanno fatto il punto della situazione, riportando i dati più aggiornati sul rapporto tra microbiota e cancro. In particolare, gli scienziati si sono concentrati sul ruolo fondamentale che il microbiota avrebbe nel proteggere dall’insorgenza della malattia, nella risposta alle terapie e nel controllo degli effetti collaterali dei trattamenti.
È stato più volte dimostrato che il microbiota intestinale svolge un ruolo importante nella risposta all’immunoterapia, ostacolando la capacità delle cellule tumorali di eludere i meccanismi di sorveglianza del sistema immunitario. Inoltre, la presenza di specifici organismi potrebbe essere usata come “sentinella” dello sviluppo della malattia. I Bacteroidetes, per esempio, potrebbero essere impiegati come biomarcatori in pazienti con melanoma, dato che la loro presenza può essere associata a una possibile riduzione dei tassi di risposta all’immunoterapia. Altre specie, come quelle appartenenti ai generi Faecalibacterium, Bifidobacterium e Ruminococcaceae, sembrano invece migliorare la risposta agli inibitori dei checkpoint immunitari impiegati nell’immunoterapia.
In una metanalisi condotta su studi con pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) e carcinoma a cellule renali (RCC), trattati con immunoterapia a base di anti-PD-1, gli autori hanno mostrato che chi non rispondeva al trattamento aveva ridotti livelli di uno specifico batterio, l’Akkermansia muciniphila.
In altri studi è emerso un ruolo del microbiota anche nella risposta alla chemioterapia e nel ridurre l’impatto degli effetti collaterali dei trattamenti, come la mucosite orale e l'infiammazione.
La centralità del microbiota, in particolare quello intestinale, nell’insorgenza di diverse patologie ha innescato l’interesse verso la sua possibile manipolazione quale strategia terapeutica. A oggi gli studi si stanno concentrando su:
In un articolo pubblicato nel 2022 sulla rivista Nature Medicine è emerso che il rapporto tra microbiota e risposta all’immunoterapia è molto più complesso di quanto si pensasse e non dipende solo dalla presenza o assenza di una o più specie batteriche. In particolare gli autori hanno notato che, in pazienti con melanoma, la presenza di tre tipi di batteri (Bifidobacterium pseudocatenulatum, Roseburia spp. e Akkermansia muciniphila) sembra associata a una migliore risposta all’immunoterapia. Tuttavia i ricercatori hanno anche notato che l’associazione tra microbiota e risposta alla terapia può coinvolgere specie diverse in gruppi di pazienti diversi.
Le tecniche sempre più avanzate di analisi del microbiota e delle sue funzioni potranno contribuire allo sviluppo di un’oncologia più precisa, basata sull’uso di microrganismi presenti nell’intestino o dei loro prodotti metabolici, per ottenere risultati sempre più efficaci e meno tossici dalle terapie oncologiche. Lo sviluppo dell’ingegneria genetica sarà dunque cruciale per riuscire a utilizzare i batteri in modo mirato, contribuendo a supera i limiti delle chemioterapie tradizionali, spesso poco selettive, e per rispondere in modo più preciso al microambiente tumorale. si potrebbe per esempio sfruttare la loro tossicità naturale per distruggere selettivamente le cellule tumorali.
Altre strategie innovative su cui si sta lavorando, che prevedono di manipolare il microbiota, comprendono l’uso di terapie anticorpali e batteriofagi in grado di eliminare in maniera mirata i microrganismi che favoriscono lo sviluppo o che interferiscono con le terapie standard dei tumori.
Autore originale: Agenzia Zoe
Revisione di Denise Cerrone in data 10/11/2025
Agenzia Zoe