Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020
Lo studio della relazione tra l’insieme dei microbi che colonizzano il nostro corpo, il microbiota, e il cancro è un campo di ricerca molto attivo: si punta a potenziare l’efficacia e ridurre la tossicità delle terapie oncologiche.
Noi non siamo soli. Conviviamo con decine di migliaia di miliardi di microbi. Per indicare con una sola parola tutti i microrganismi (batteri, virus, funghi e protozoi) che vivono nel corpo si usa il termine microbiota (microbioma si riferisce invece al patrimonio genetico di questi microbi). Il microbiota di gran lunga più numeroso, e più conosciuto, è quello intestinale, ma possediamo anche un microbiota cutaneo, un microbiota linguale e così via. Alterazioni nel microbiota, anche chiamate disbiosi, sono variazioni nella composizione che sono state collegate allo sviluppo di alcune patologie umane, tra cui il cancro. Alcuni studi hanno anche dimostrato che il microbiota può modificare le risposte alle terapie antitumorali e persino la suscettibilità agli effetti collaterali di queste terapie.
I risultati di tre studi indipendenti pubblicati sulla prestigiosa rivista Science hanno provato che la presenza del microbiota intestinale è essenziale per la risposta all’immunoterapia con gli inibitori dei checkpoint immunologici (ICI). I dati suggeriscono che la mancata risposta alla terapia da parte di alcuni pazienti potrebbe essere attribuibile proprio a una composizione anomala del microbiota intestinale.
I ricercatori guardano perciò al microbiota come a un elemento su cui agire, idealmente per ridurre il rischio di tumori, o più concretamente per potenziare la risposta alle terapie oncologiche.
Un altro articolo appena pubblicato sulla rivista medica Lancet Oncology riporta ben 38 studi clinici progettati per valutare alcune strategie con cui è possibile agire sul microbiota nel cancro. Solo tre di questi studi sono focalizzati sull’immunoterapia con gli ICI.
Otto studi mirano a ridurre il rischio di malattia acuta da rigetto (Graft Versus Host Disease, GVHD), una grave complicanza dei trapianti di midollo osseo usati per curare i pazienti con leucemie e linfomi. Si basano sull’osservazione che una perdita di diversità del microbiota, in particolare la perdita di alcuni batteri che mantengono l’integrità dell’intestino, si associa al GVHD e aumenta la mortalità da trapianto.
Nove studi clinici puntano a potenziare l’efficacia o a ridurre gli effetti collaterali (diarrea) della chemioterapia e delle terapie a bersaglio molecolare, e altri nove hanno lo stesso obiettivo, ma si occupano dell’efficacia e dalla tollerabilità della radioterapia.
In alcune ricerche si è valutata la possibilità di intervenire sul microbiota per influenzare le risposte infiammatorie nei pazienti sottoposti a resezione chirurgica del tumore. Infine, due studi si propongono di analizzare la relazione tra alimentazione e microbiota intestinale nei pazienti obesi sopravvissuti a un tumore del colon-retto.
Come si fa a modificare il microbiota? Le tecniche di cui disponiamo non sono ancora del tutto efficaci: si può agire con la dieta, attraverso l’uso di probiotici e prebiotici (sostanze che facilitano la crescita dei batteri “buoni”), oppure col trapianto di feci. Nel trapianto fecale i batteri prelevati dalle feci di un soggetto donatore sono trasferiti con una colonscopia o endoscopia nell’intestino del paziente. Questa procedura è risultata efficace nel trattamento dei pazienti con infezioni da Clostridium difficile, un batterio che provoca gravi coliti potenzialmente fatali: con il trapianto, il microbiota in cui ha preso il sopravvento il batterio dannoso viene sostituito dal microbiota di un donatore sano.
Negli studi già citati sui checkpoint immunologici, il trapianto di feci da pazienti che avevano risposto bene alla terapia era in grado di “trasmettere” la capacità di rispondere ai pazienti in cui vi erano invece delle resistenze. In uno studio più recente, il trapianto di feci da donatori sani ha permesso ai pazienti trattati con ICI di guarire dalla colite indotta da questi farmaci.
Il vantaggio del trapianto di feci è che si può modificare il microbiota dei pazienti senza doverne determinare l’esatta composizione e senza conoscere quali sono i batteri che favoriscono la risposta positiva. Infatti sono ancora poche le informazioni sulle attività delle singole specie di microbi, su quali sono “buone” e quali “cattive” e sulla composizione del microbiota ottimale per ottenere la risposta alle cure. In sostanza non esiste un flaconcino di probiotici con cui curare il cancro, ma gli scienziati stanno cominciando a sviluppare strategie per favorire la collaborazione tra le difese immunitarie e i microbi che abitano il nostro organismo per ottenere cure più efficaci.
Agenzia ZOE