Ultimo aggiornamento: 29 agosto 2023
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Le lesioni precancerose sono un insieme di alterazioni dei tessuti che possono precedere e favorire lo sviluppo di un cancro. Si tratta di cellule “trasformate”, ossia che hanno iniziato ad accumulare mutazioni nel proprio materiale genetico, pur senza aver ancora acquisito completamente le caratteristiche tipiche di un cancro. Tra queste vi sono soprattutto la capacità di invadere i tessuti circostanti e di dare metastasi a distanza. Ogni tessuto del nostro organismo ha le proprie caratteristiche, le lesioni precancerose variano a seconda dell’organo e del tessuto interessato e non in tutti i casi è possibile individuarle precocemente e intervenire per fermare la trasformazione tumorale.
Per alcuni tipi di lesioni precancerose, per esempio per quelle dell’apparato riproduttivo femminile, questo è invece possibile, con appositi esami, che permettono di identificarle precocemente, in modo da intervenire in modo tempestivo prima che possano evolvere in un cancro. In questo articolo analizziamo proprio le lesioni che possono evolvere in tumori dell’apparato riproduttivo femminile, che comprendono quelli della vulva e della vagina e quelli della parte terminale dell’utero, cioè la cervice uterina.
Per quanto riguarda i tumori che interessano la vulva e la vagina, il tipo di cancro più frequente è il carcinoma squamoso. In genere la lesione precancerosa che porta allo sviluppo di questo tumore è la neoplasia intraepiteliale vulvare o vaginale. Questa lesione è associata a un cambiamento nell’epitelio squamoso della vulva o della vagina, nella maggior parte dei casi legata all’infezione da papillomavirus umano (HPV), ed è indicata spesso come VIN (vulval o vaginal intraepithelial neoplasia). Sebbene questo sia un nome ancora molto usato anche nella letteratura medico-scientifica, vale la pena specificare che, nel 2014, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha adottato il termine lesione squamosa intraepiteliale (SIL, squamous intraepithelian lesion), di cui sono riconosciute due categorie di rischio. Le lesioni “a basso grado” e quelle “ad alto grado” indicano, rispettivamente, una minore e una maggiore alterazione delle cellule e, di conseguenza, una minore o maggiore probabilità che tali lesioni si sviluppino in un cancro. Esiste anche un tipo di lesione della vulva, denominata differentiated VIN (dVIN) e distinta dalle altre perché non è associata a infezione da HPV, ma si sviluppa nel contesto di particolari dermatosi come il lichen sclerosus, un disturbo che interessa l’area dell’ano e dei genitali. Come le SIL ad alto rischio, anche le dVIN presentano un elevato rischio di progressione verso forme invasive, peraltro spesso anche più rapido. Esiste inoltre un raro disturbo, la malattia di Paget vulvare, caratterizzata proprio dalla presenza di lesioni tipiche che possono evolvere in cancro.
Le SIL si possono generare pure da cellule dell’epitelio squamoso della cervice uterina, ed evolvere quindi in un tumore alla cervice. SIL di questo tipo sono chiamate anche neoplasie intraepiteliali cervicali (cervical intraepithelial neoplasia, CIN) e si distinguono in tre categorie di gravità (CIN 1, CIN 2 e CIN 3), ciascuna delle quali corrispondenti a un maggior rischio di sviluppo del cancro: le CIN 3 coincidono di fatto con un carcinoma in situ, ossia un cancro che non è ancora diventato invasivo.
Esiste un altro tipo di epitelio della cervice uterina, quello detto ghiandolare o colonnare, che riveste la porzione superiore della cervice e contiene ghiandole che secernono muco. Quando le cellule di questo epitelio risultano alterate da una lesione precancerosa, si parla di cellule ghiandolari atipiche o, nel caso sia già presente un tumore maligno non ancora invasivo, di adenocarcinoma in situ (AIS). Un sottotipo dell’adenocarcinoma in situ è la lesione precancerosa detta lesione intraepiteliale stratificata producente mucina (in inglese stratified mucin-producing intraepithelial lesion o SMILE), più rara e di solito associata alla presenza di AIS o SIL ad alto rischio.
Spesso le lesioni precancerose dei tumori vulvo-vaginali e della cervice non causano sintomi, e in questi casi vengono rilevate solo nel corso di test eseguiti per altre ragioni. Questo vale in particolare per le lesioni precancerose del collo dell’utero. Tuttavia, le lesioni precancerose della vulva e della vagina possono in alcuni casi causare pruriti, fastidio o dolore durante i rapporti sessuali, sensazione di bruciore o anche forte formicolio alla vulva durante la minzione. A volte possono verificarsi inoltre alterazioni della pelle nell’area interessata, che appare arrossata o sbiancata, oppure più spessa del normale. Per questo motivo è importante effettuare periodicamente visite ginecologiche di controllo, anche in assenza di sintomi allarmanti.
La visita ginecologica con esecuzione del PAP-test è l’esame che, per primo, può rivelare la presenza di cellule anomale e la necessità di ulteriori indagini per identificare le lesioni precancerose della cervice uterina. Qualora vengano rilevate lesioni a rischio o sospette, come quelle descritte precedentemente, i principali esami impiegati per una diagnosi definitiva delle lesioni precancerose di vulva, vagina e utero sono la colposcopia, che permette di avere un ingrandimento dei tessuti e distinguerne eventuali alterazioni, e la biopsia, con prelievo di un campione di tessuto per l’esame microscopico e molecolare.
Se gli esami risultano positivi, è possibile poi rimuovere le lesioni precancerose chirurgicamente o, nel caso di lesioni alla vulva, con trattamenti topici, tra cui farmaci a uso cutaneo che agiscono sulla risposta immunitaria, come l’imiquimod, o antitumorali.
Gli sforzi della ricerca per quanto riguarda i tumori alla vulva, alla vagina e alla cervice uterina negli ultimi anni si sono concentrati in gran parte sulla prevenzione e la diagnosi precoce. Lo sviluppo di vaccini in grado di evitare le infezioni da HPV, e di conseguenza l’evoluzione verso lesioni precancerose, ha offerto per la prima volta la possibilità di intervenire nei soggetti sani con una vera e propria attività di prevenzione primaria. Sono oggi disponibili diversi vaccini per la prevenzione delle infezioni da HPV causate dai ceppi virali a rischio oncogeno più elevato (6, 11, 16, 18, 31, 33, 45, 52 e 58). Per quanto riguarda invece la diagnosi precoce, due sono gli esami offerti anche nell’ambio degli screening di popolazione in determinate fasce di età. Il PAP test consente di individuare eventuali lesioni precancerose già formate, mentre l’HPV-DNA test permette di rilevare la presenza di materiale genetico di virus HPV nei campioni analizzati. In caso di esito positivo di uno di questi esami o di entrambi, è possibile intervenire prima che le eventuali lesioni evolvano in forme maligne. Per rendere più efficienti e rapidi gli esami di screening, alcuni studi si stanno concentrando anche sull’uso dell’intelligenza artificiale, impiegando tecnologie in grado di riconoscere automaticamente le cellule alterate, raggiungendo un’affidabilità pari almeno a quella umana. Grazie alle campagne di vaccinazione e di screening, nel mondo i tassi di incidenza del tumore della cervice uterina sono da tempo costantemente in calo di circa il 2 per cento all’anno. Anche la mortalità per questo tumore mostra una tendenza alla diminuzione, dovuto alla diagnosi precoce delle lesioni mediante gli esami di screening e, quindi, alla possibilità di iniziare prima i trattamenti. Il 19 maggio 2018, il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha lanciato un appello globale per l’eliminazione del cancro cervicale. Ghebreyesus ha in particolare sottolineato che “attraverso interventi economici e basati sulle evidenze scientifiche, tra cui la vaccinazione delle ragazze contro il papillomavirus umano, gli esami di screening, il trattamento delle lesioni precancerose e il miglioramento dell’accesso alla diagnosi e al trattamento dei tumori invasivi, possiamo eliminare il cancro cervicale come problema di salute pubblica e renderlo una malattia del passato”.
La ricerca lavora comunque anche molto sullo studio della carcinogenesi di questo tipo di tumori, ossia sui processi che portano alla loro formazione. Questa ha permesso di evidenziare le caratteristiche delle lesioni precancerose e di distinguere e categorizzarle sempre meglio, così da riconoscere quelle che hanno un maggiore o minore rischio di evolvere in cancro. Diversi studi, inoltre, contribuiscono a valutare i trattamenti impiegati per le lesioni precancerose, per determinarne l’efficacia e le risposte a lungo termine.
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Anna Romano