Ultimo aggiornamento: 21 novembre 2024
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Per chi ha avuto un tumore, la fase di follow-up (le visite e i controlli da fare dopo le cure) è estremamente delicata, per diversi motivi. Una persona che ha superato un cancro deve continuare a misurarsi con lo stress di approfondimenti ed esami, con il timore che la malattia possa tornare e con l’incertezza sui possibili effetti secondari delle cure. Questi ultimi aspetti sono particolarmente delicati in caso di pazienti pediatrici, che in genere hanno un’aspettativa di vita molto maggiore rispetto agli adulti e quindi più tempo per convivere con possibili problemi.
Negli ultimi decenni molti tumori pediatrici sono diventati tra le malattie oncologiche più curabili e guaribili. Inoltre, conosciamo molti degli effetti secondari a lungo termine delle cure somministrate in questa fascia d’età. È però ancora importante effettuare studi per comprendere sempre meglio questi effetti, in particolare quando sono provocati dalle terapie più recenti, come le CAR-T, su cui c’è ancora molto da scoprire. Solo infatti seguendo i pazienti per molti anni sarà possibile conoscere gli effetti tardivi di questi trattamenti. Alcuni progetti per comprendere gli effetti delle cure sono in corso e alcuni hanno già prodotto alcuni risultati preliminari. Indagini come queste sono molto importanti perché la conoscenza degli effetti delle terapie e dei relativi fattori di rischio aiuta medici e pazienti ad affrontare meglio il percorso dopo la guarigione.
Oggi, negli Stati Uniti e in Europa, a 5 anni dalla diagnosi è vivo l’80-85 per cento dei bambini colpiti da tumori pediatrici. Si tratta di una percentuale ben maggiore rispetto a quelle dei Paesi più poveri, dove le stime sono del 20 per cento circa. I valori sono tuttavia medi, dal momento che alcuni tipi di tumore, tra cui leucemie, linfomi e retinoblastomi, sono più curabili di altri, come per esempio i tumori cerebrali. I progressi sia delle cure, sia dei trattamenti per gli effetti collaterali sono in ogni caso in continua crescita.
Nell’ambito del progetto Cancer Risk in Childhood Cancer Survivors (CRICCS), l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha avviato uno studio per capire quante sono le persone guarite da un tumore pediatrico in Europa. I dati, pubblicati nel 2024 sulla rivista EJC Paediatric Oncology, dicono che la prevalenza di queste malattie nel mondo è compresa tra 450 e 1.240 persone per milione di abitanti. Nell’Unione europea si tratta di circa 200.000-550.000 individui.
Per quanto riguarda l’aspettativa di vita, studi recenti hanno mostrato un incoraggiante aumento progressivo. Tuttavia, secondo alcune stime chi si è ammalato di tumore da piccolo potrebbe avere una aspettativa di vita più breve di 9 anni in media rispetto a chi non ha avuto la malattia.
Come stanno oggi queste persone? Con quali problemi di salute potrebbero avere a che fare? Cosa potrebbe rendere più facile la loro vita?
Secondo il National Cancer Institute, dal 60 al 90 per cento dei pazienti sopravvissuti a un tumore può sviluppare una malattia cronica. Inoltre, non esiste una finestra temporale dalla guarigione oltre la quale il rischio di soffrire di qualche problema di salute scompare. Al contrario, più passa il tempo più questo rischio aumenta, a causa dell’invecchiamento e delle patologie croniche associate.
Questi problemi di salute possono dipendere da diversi fattori. In primo luogo, alcune condizioni genetiche che predispongono ai tumori potrebbero contribuire a una fragilità della persona anche negli anni a seguire. In secondo luogo, i trattamenti possono dare effetti collaterali a lungo termine che possono rendere i pazienti più fragili anche dopo la guarigione dal tumore.
La lista di complicazioni legate all’effetto delle cure oncologiche ricevute in età pediatrica è lunga, e comprende problemi più o meno gravi, come disturbi psicologici, tumori secondari, problemi cardiovascolari ed endocrini, riduzione o perdita dell’udito, problemi di fertilità, ritardi nella crescita, problemi odontoiatrici, neuropatie, danni ai polmoni e difficoltà respiratorie.
La comparsa di uno o più effetti legati alle cure e la loro gravità è come un puzzle: dipende da diversi fattori che si sommano, dalla storia medica dei pazienti e della famiglia, dagli stili di vita e dallo stato socioeconomico. È noto infatti che tra i determinanti della salute vanno considerati anche fattori quali l’istruzione e le condizioni economiche, che possono influenzare gli stili di vita, le possibilità di ammalarsi e quelle di cura, soprattutto fuori dall’Europa.
Ogni intervento terapeutico, sia esso un farmaco, un trattamento con radiazioni, una terapia cellulare o un trattamento chirurgico, ha degli effetti collaterali, sul breve e sul lungo termine. La ragione principale di tali effetti è che le terapie antitumorali non agiscono esclusivamente sulle cellule tumorali, nemmeno nel caso delle terapie più precise e mirate, come quelle a bersaglio molecolare. Questo fa sì che gli effetti delle cure possano ripercuotersi anche su organi e tessuti lontani dalla sede della malattia o del trattamento.
I meccanismi con cui le terapie possono causare effetti collaterali sono diversi. Alcuni sono legati ai danni al DNA indotti da alcuni trattamenti, come le radiazioni o alcuni agenti chemioterapici, che possono aumentare il rischio di tumori secondari. In altri casi, i farmaci inducono stress ossidativo nelle cellule, o alterazioni vascolari, ormonali, immunitarie, della funzionalità neurologica o ormonale, del metabolismo cellulare, così come dell’architettura di cellule e tessuti. Tutti questi fattori possono concorrere in maniera più o meno diretta a provocare effetti avversi, anche a distanza di anni da quando si sono ricevuti i trattamenti. L’intensità dei disturbi dipende strettamente dalla sede interessata dalle terapie e dalle dosi ricevute. L’ottimizzazione delle terapie ha contribuito a ridurre alcuni di questi problemi, per esempio l’incidenza di tumori secondari è diminuita con la progressiva riduzione dell’uso o dell’intensità delle radiazioni.
Proprio ai tumori secondari è dedicato il progetto Cancer Risk in Childhood Cancer Survivors (CRICCS), l’iniziativa della IARC mirata a chiarire la reale incidenza di nuovi tumori in chi è stato un piccolo paziente oncologico. Oggi, ricordano dalla IARC, i dati disponibili stimano un’incidenza del 10 per cento circa di tumori secondari a 30 anni dalla diagnosi del primo cancro. Solo però con l’analisi approfondita dei dati provenienti dai registri di malattia sarà possibile avere qualche informazione in più. La speranza è di riuscire a mettere insieme quante più informazioni possibili sul rischio di tumori secondari, indagando per esempio anche le prevalenze per sesso o età e le associazioni con il tipo di trattamento ricevuto. Lo scopo è di comprendere meglio l’epidemiologia dei tumori secondari, così da ottimizzare sempre di più le strategie di prevenzione.
L’idea di raccogliere dati per contribuire a elaborare strategie di prevenzione sempre più mirate ed efficaci ha animato altri progetti sugli effetti delle cure oncologiche in età pediatrica. Tra questi vi sono il Childhood Cancer Survivor Study (CCSS) negli Stati Uniti e la rete Pancare in Europa. I dati raccolti grazie a questi studi sono serviti agli esperti per stilare una lista di tutte le possibili complicazioni e della loro frequenza, oltre a raccomandazioni di prevenzione e controlli da eseguire. Tali indicazioni sono liberamente consultabili, in inglese o in italiano.
Questi studi, così come le altre osservazioni e sperimentazioni sul tema, proseguono, producendo nuove evidenze. L’Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica (AIEOP), tra gli altri, ha allestito un gruppo di lavoro proprio per comprendere meglio gli effetti tardivi dei trattamenti.
Il progetto Pancare ha portato a elaborare raccomandazioni per la sorveglianza di possibili effetti legati ai trattamenti anticancro, a breve (fino a 5 anni dopo la diagnosi) e a lungo termine, anche grazie alla collaborazione degli ex pazienti. Il filo conduttore delle raccomandazioni è il bisogno per tutte le persone che hanno avuto un tumore in età pediatrica di un adeguato monitoraggio anche a distanza di anni dalla guarigione, considerando anche abitudini, comportamenti e fattori di rischio ereditari.
Questo non significa che, durante il follow-up, occorra effettuare continui esami, che spesso non sono necessari e che possono generare stress e apprensione nei pazienti e nei loro familiari. Per molte delle conseguenze delle cure, come i disturbi gastrointestinali o gli eventuali problemi ai denti che possono insorgere in seguito a radioterapia o chemioterapia, le raccomandazioni elaborate dagli esperti sottolineano l’importanza della consapevolezza. Sapere che questi disturbi potrebbero insorgere in seguito ai trattamenti è necessario affinché i pazienti prestino sempre attenzione all’eventuale comparsa di sintomi per rivolgersi agli specialisti quando necessario, e i medici siano informati adeguatamente sugli aspetti su cui focalizzarsi.
Il discorso è invece diverso per altri possibili effetti collaterali, per cui sono raccomandate visite e in alcuni casi esami specifici, in relazione al tipo di tumore avuto e ai trattamenti ricevuti. È il caso, per esempio, del monitoraggio di eventuali problemi cardiaci, per i quali sono raccomandate visite cardiologiche, elettrocardiogrammi ed ecocardiogrammi, screening per i fattori di rischio cardiovascolare a intervalli definiti di tempo. Questo è particolarmente importante per chi ha ricevuto radioterapia oltre determinate dosi e durate e chemioterapia con antracicline. Analogamente si raccomandano valutazioni della crescita, accompagnate da analisi ormonali, per identificare eventuali problemi a carico dell’asse ipotalamo-ipofisario.
A influire sulla cadenza dei controlli, quando necessari, non è solo il tipo di tumore o di cure a cui ci si è sottoposti, ma anche l’età in cui è insorta la malattia. In genere i controlli sono più frequenti nel caso di bambini e ragazzi più piccoli.
Alcune valutazioni sono invece raccomandate per tutti i pazienti: a ogni controllo durante i follow-up ma anche nelle visite dal proprio medico, sarebbe auspicabile per esempio che fossero approfondite le eventuali difficoltà psicologiche di cui possono soffrire tutti i pazienti che hanno superato un tumore.
Per facilitare l’adesione ai controlli e in generale intercettare precocemente eventuali effetti tardivi legate alle terapie, nel 2011 è stato sviluppato, con fondi europei, il cosiddetto passaporto di guarigione (dall’inglese, survivorship passport). Si tratta in sostanza di un documento, cartaceo e digitale, facilmente condivisibile e traducibile in tutte le lingue europee, che raccoglie la storia della malattia del paziente, le cure ricevute, le eventuali altre malattie e raccomandazioni personalizzate sui controlli che dovrà effettuare, basate su linee guida internazionali. Questo strumento consente di garantire un follow-up personalizzato per i pazienti ovunque vadano.
Il passaporto viene attualmente consegnato nei centri che aderiscono all’Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica (AIEOP). Dal lancio del progetto, nel 2019, a inizio 2024, i passaporti consegnati risultano essere oltre 3.500. Non è però possibile riceverlo in tutti i centri. A ostacolare la diffusione nella pratica del passaporto ci sono fattori diversi, quali problemi legali e il timore che un documento simile possa in realtà rendere più difficile per i pazienti gestire il carico emotivo del follow-up. Anche la mancanza di risorse di personale rappresenta un ostacolo significativo alla sua diffusione.
Con il progetto PanCareSurPass, sostenuto dall’Unione Europea, si punta a superare alcuni degli ostacoli che rendono ancora difficile la diffusione del passaporto. Al momento esperti di diversi Paesi sono al lavoro per sviluppare una nuova versione, più accessibile, più facilmente condivisibile e trasferibile nello spazio sanitario europeo, grazie a un sistema semi-automatico di caricamento dei dati. Le fasi di test di questa nuova versione del passaporto sono in corso in 6 Paesi europei, Italia inclusa.
Sempre nel nostro Paese, presso i centri aderenti alla rete AIEOP è in fase di attivazione il protocollo ROT-SurPass: un sistema che prevede una scheda di follow-up che può essere aggiornata dal centro curante in occasione delle visite, permettendo di ottenere informazioni sulla prevalenza e sull’incidenza delle patologie croniche.
Autore originale: Roberta Villa
Revisione di Anna Lisa Bonfranceschi in data 21/11/2024
Roberta Villa