Ultimo aggiornamento: 22 novembre 2024
Oggi 16 maggio 2024 è stato presentato il rapporto annuale prodotto da FAVO, la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia. I fari sono puntati sull’istituzione delle reti regionali e dedicate ai tumori rari.
In una fase storica caratterizzata da un’innovazione senza precedenti, l’approccio ai pazienti oncologici necessita di azioni decise da parte delle istituzioni: dalla concreta attuazione del Piano oncologico nazionale all’attivazione delle reti su tutto il territorio nazionale; dalla gestione di ogni singola forma di cancro attraverso il rispettivo percorso diagnostico-terapeutico assistenziale (PDTA), alla valorizzazione del personale sanitario; fino al completamento dell’attivazione e alla piena operatività di una rete di centri dedicata alla gestione dei tumori rari. Sono queste le sfide da affrontare per migliorare l’assistenza ai malati di cancro, secondo la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO). Nel “16° rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici” appena presentato, si dice anche che l’oncologia è “un laboratorio di idee da mettere in atto per migliorare l’assistenza sanitaria in tutti i campi” e per proteggere un Servizio sanitario nazionale mai apparso così fragile come in questo momento.
Ogni anno il documento riporta i miglioramenti avvenuti e le criticità ancora da risolvere nell’ambito dell’assistenza ai pazienti oncologici nel nostro Paese e le criticità ancora da risolvere. Tra le priorità vi è innanzitutto “l’attuazione del Piano oncologico nazionale” attraverso un’azione su almeno tre principi: equità, accesso e appropriatezza nella strategia di controllo dei tumori.
Secondo gli autori, per procedere è necessario che “una governance centrale guidi nella pratica l’attuazione del Piano, lo monitori e ne valuti i risultati”. Tale governance è prevista, ma non ha ancora visto la luce. Partendo da queste priorità, la cabina di regia dovrebbe garantirne l’esecuzione e il coordinamento. Per raggiungere gli obiettivi, secondo la FAVO, sarà determinante il coordinamento tra le istituzioni e il coinvolgimento attivo del mondo professionale, delle società scientifiche e delle associazioni dei pazienti.
Per Francesco De Lorenzo, presidente della FAVO e a capo della Coalizione europea dei pazienti oncologici (ECPC), non c’è altra via da seguire per evitare che la sanità pubblica raggiunga un punto di non ritorno. “Il rischio di disuguaglianze è ancora più elevato per i malati di tumore. Il cancro determina un fabbisogno di assistenza diretto e indiretto complesso e multidisciplinare, che può proiettarsi dopo la guarigione clinica. Questa, da sola, non garantisce il ritorno alla vita com’era prima della malattia.” Nelle parole dell’ex Ministro della salute c’è anche un riferimento all’importanza dell’entrata in vigore della legge sull’oblio oncologico, in attesa degli ultimi decreti attuativi e deliberazioni.
Secondo la FAVO, la prima priorità da soddisfare, come da indicazione del Piano oncologico nazionale 2023-2027, è l’attivazione e il monitoraggio delle reti oncologiche regionali sull’intero territorio nazionale. Il parere della comunità scientifica è unanime: è necessaria una capillare ripartizione dei compiti tra i centri per garantire equità di accesso alle cure, continuità assistenziale, ricerca clinica diffusa ed erogazione di servizi di prevenzione. Lo scenario attuale italiano invece è ancora a macchia di leopardo.
Da una parte, citando i dati del rapporto dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) sull’attuazione delle reti oncologiche, ci sono Regioni in regola con i propri obiettivi. È il caso della Toscana, dell’Emilia-Romagna, di Piemonte e Valle d’Aosta (che su questo aspetto lavorano congiuntamente), del Veneto e della Liguria.
Al polo opposto si collocano invece diverse realtà che “vanno supportate per la definizione e la crescita di un modello assistenziale strutturato secondo una rete”: dalla Calabria al Molise, dalla Sardegna all’Umbria, fino alla Basilicata e all’Abruzzo. In queste Regioni si registrano infatti risultati negativi per quanto riguarda la mobilità, l’indice di fuga e lo scarso soddisfacimento della domanda dei pazienti residenti. Si tratta della conseguenza del fatto che, finora, i processi di base della rete sono inefficaci in queste Regioni.
Nel mezzo ci sono Regioni in cui il modello assistenziale spesso funziona per la produttività di singoli centri, che non lavorano però in modo integrato in un sistema di rete: il riferimento è alla Lombardia, al Friuli-Venezia Giulia e al Lazio. Infine, Regioni come Campania, Puglia, Sicilia, Marche e le Province autonome di Trento e Bolzano, “essendo partite da una riorganizzazione della rete, stanno mostrando un crescente impatto favorevole sugli esiti”.
Asse portante dell’assistenza a livello locale è considerata l’istituzione dei PDTA. Andrebbero caratterizzati i profili dei professionisti sanitari da coinvolgere e definiti i percorsi di integrazione tra sanità ospedaliera e territoriale, cruciali per garantire un’assistenza piena, dalla diagnostica precoce alla gestione del fine vita. Bisognerà quindi valutare quanti sono i professionisti necessari, a livello nazionale prima e nei singoli contesti locali poi, e tenere conto delle “nuove competenze necessarie in un mondo della sanità sempre più specialistica, multiprofessionale, robotizzata”.
Quarta e ultima risposta da garantire in maniera diffusa è l’istituzione di una rete nazionale dedicata ai tumori rari (neoplasie ematologiche e solide dell’adulto e tumori pediatrici) che miri a fare in modo che patologie poco frequenti vengano gestite soltanto dai centri con maggiore esperienza e a razionalizzare il fenomeno di migrazione sanitaria.
“Tutti questi passaggi”, concludono gli autori del rapporto della FAVO, “potranno essere espletati soltanto attraverso l’istituzione di un coordinamento nazionale e di una cabina di regia centrale, per dare impulso e monitorare la piena attuazione del Piano oncologico nazionale”.
Redazione