Ultimo aggiornamento: 22 novembre 2024
Uno dei più prestigiosi riconoscimenti medico-scientifici dedicato nel 2024 a tre scoperte con importanti implicazioni per l’oncologia.
Qualcuno li chiama i Nobel americani, qualcun altro l’anticamera dei Nobel: i premi Lasker sono senza dubbio il più prestigioso riconoscimento per la ricerca biomedica prima di approdare a Stoccolma. E spesso chi se li aggiudica fa poi il bis con l’ambito premio svedese.
È stato il caso di Katalin Karikó e Drew Weissman, per la scoperta della tecnologia a mRNA che ha permesso di mettere a punto i vaccini contro SARS-CoV-2; di Albert Sabin, per il vaccino per via orale contro la poliomielite; di Francis Crick, James Watson e Maurice Wilkins, per la scoperta della struttura a doppia elica del DNA; della nostra Rita Levi Montalcini e di Stanley Cohen, per la scoperta del fattore di crescita nervoso, solo per citarne alcuni. In ben 86 casi i vincitori del premio Lasker hanno ricevuto anche il Nobel.
Il premio è stato istituito nel 1945 da Albert e Mary Lasker, una coppia di filantropi visionari. Albert è stato uno dei padri della moderna pubblicità, mentre Mary, dopo avere lavorato per un po’ in una galleria d’arte, è diventata una delle pioniere della raccolta di fondi per la ricerca contro il cancro, nonché un’attivista a favore delle politiche di salute pubblica.
Quest’anno si sono aggiudicati i Lasker Zhijian “James” Chen per la ricerca di base; Joel Habener, Svetlana Mojsov e Lotte Bjerre Knudsen per la ricerca clinica; Quarraisha Abdool Karim e Salim S. Abdool Karim per il servizio pubblico. Nessuno di loro si occupa direttamente di cancro. Eppure, il loro lavoro ha profonde implicazioni per l’oncologia.
Zhijian “James” Chen è un biochimico e professore alla University of Texas Southwestern Medical Center, a Dallas, negli Stati Uniti. Da anni studia i meccanismi molecolari alla base della risposta immunitaria contro le minacce esterne, tra cui le infezioni. In particolare, Chen ha scoperto un enzima, chiamato cGAS, che avverte la presenza di DNA in posti inappropriati e dà un segnale di “allarme” che attiva la risposta immunitaria. Normalmente, il DNA si trova nel nucleo della cellula o nei mitocondri. Quando frammenti di questa molecola si trovano al di fuori di queste localizzazioni, in genere c’è qualcosa che non va. Alterazioni al genoma, come quelli tipici del cancro, possono aver fatto fuoriuscire dal nucleo frammenti di DNA. Oppure, il DNA “vagante” potrebbe appartenere a un agente patogeno . In entrambi i casi, il meccanismo attivato dall’enzima cGAS porta l’organismo a tentare di contrastare l’anomalia. Si tratta di una scoperta di grande importanza che potrebbe avere ricadute cliniche, dato che alterazioni di questo meccanismo possono contribuire alle malattie autoimmuni. Alcune aziende farmaceutiche sono già al lavoro su prodotti in grado di potenziare l’azione di cGAS per riconoscere più efficacemente le tracce del DNA tumorale e attivare una più efficace risposta immunitaria.
Joel Habener (Massachusetts General Hospital di Boston), Svetlana Mojsov (Rockefeller University di New York) e Lotte Bjerre Knudsen (Novo Nordisk), con ruoli diversi, hanno tracciato la strada per la messa a punto di nuovi farmaci contro il diabete e l’obesità. Habener, un endocrinologo, negli anni Settanta ha identificato il glucagon-like peptide-1 (GLP-1) nel corso di studi in cui cercava terapie più efficaci per il diabete. Come suggerisce il nome in inglese, GLP-1 è una molecola simile al glucagone, un ormone prodotto dall’intestino che stimola la secrezione di insulina. La funzione di GLP-1 era però ancora misteriosa. Mojsov è riuscita a mettere a punto un processo innovativo per produrre in laboratorio questa sostanza, consentendo lo studio del suo ruolo biologico. Insieme ad Habener, Mojsov ha scoperto che GLP1-1 stimolava nei pazienti il rilascio di insulina e abbassava la glicemia. Valori elevati di glicemia sono una caratteristica tipica di persone diabetiche o a rischio di sviluppare questa malattia. Infine, Knudsen ha intuito il potenziale terapeutico della sostanza, guidandone lo sviluppo farmacologico. Queste molecole, nel tempo, si sono dimostrate efficaci non solo contro il diabete, ma anche per ridurre l’appetito e il peso corporeo e contrastare quindi l’obesità. Con un impatto anche sulla prevenzione del cancro, poiché sia il diabete sia l’obesità sono noti fattori di rischio per numerosi tumori: quelli del fegato, del pancreas, del colon-retto, dell’endometrio, del seno, della vescica, dell’esofago, del rene e della cistifellea.
Quarraisha e Salim S. Abdool Karim sono ricercatori del Centre for the AIDS Program of Research di Durban, in Sudafrica. La loro storia medica e scientifica è legata all’epidemia di AIDS in Sudafrica, il Paese che per molto tempo ha avuto il più alto tasso al mondo di nuovi casi di infezione da HIV e che ancora oggi ha la più alta percentuale di persone sieropositive. Dopo una lunga esperienza negli Stati Uniti, alla Columbia University di New York i coniugi Abdool Karim hanno compiuto una scelta controcorrente: alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso hanno deciso di continuare la loro ricerca sull’HIV in Sudafrica. Qui si sono concentrati non solo sugli aspetti medici e scientifici dell’infezione, ma anche sull’influenza di fattori sociali e culturali. Hanno indagato, per esempio, in che modo le diseguaglianze economiche e di genere hanno spesso reso le giovani donne vittime inconsapevoli del contagio da HIV. Proprio cercando di ideare soluzioni per proteggere le donne, Quarraisha e Salim S. Abdool Karim sono stati i precursori di quella che è oggi nota come Prep o profilassi pre-esposizione. Si tratta di una strategia che prevede l’assunzione di farmaci antiretrovirali nelle persone sane a rischio di contrarre il virus. Il loro lavoro sta contribuendo a cambiare lo scenario dell’HIV, un’infezione che tra le sue conseguenze include anche un notevole aumento del rischio di sviluppare diversi tipi di tumore. Infatti l’HIV distrugge le difese immunitarie, rendendole incapaci di contrastare infezioni ed eliminare precocemente cellule cancerose.
Antonino Michienzi