L’eccesso di peso, oltre una determinata soglia, costituisce il secondo fattore di rischio modificabile, dopo il fumo di sigaretta, per l’insorgenza di almeno 16 tipi di tumori e numerose altre malattie. Il primo ottobre 2025 il Senato ha approvato in via definitiva una proposta di legge che riconosce l'obesità come malattia cronica. L’Italia è il primo Paese la mondo ad approvare una legge sull’obesità. Questo comporterà dei cambiamenti nella presa in carico delle persone con questa condizione da parte del Servizio sanitario nazionale. Tuttavia, le applicazioni concrete della nuova legge dipenderanno dall'approvazione del Piano Nazionale Cronicità e dall'aggiornamento dei LEA (Livelli essenziali di assistenza), che potranno includere anche prestazioni e trattamenti rivolti a pazienti con obesità.
Il sovrappeso e l’obesità sono condizioni caratterizzate da un aumento della massa corporea dovuto a uno squilibrio tra le fonti di energia introdotte e il loro consumo. La causa risiede principalmente in stili di vita poco salutari, in particolare abitudini alimentari malsane e sedentarietà. Sia il sovrappeso sia la sedentarietà sono associati a una maggiore incidenza di malattie come il diabete di tipo 2, l’ipertensione, problemi cardiovascolari e respiratori e tumori. Il parametro più utilizzato per misurare l’entità del problema è l’indice di massa corporea, spesso abbreviato con l’acronimo inglese BMI. Il BMI si calcola dividendo il peso in kg per l’altezza in m al quadrato (kg/m2). Facciamo un esempio: un adulto che pesa 65 kg ed è alto 1,70 m ha un indice di massa corporea pari a 65/1,7=22,5. Un BMI ottimale è compreso tra 18,5 e 24,9. Le persone con un BMI tra 25 a 29,9 sono invece considerate in sovrappeso, mentre sono ritenuti obesi gli individui con un valore di BMI compreso tra 30 e 34,9 (obesi di classe 1), 35 e 39,9 (obesi di classe 2) o superiore a 40 (obesi di classe 3).
La prevalenza dell’obesità è in costante e preoccupante aumento non soltanto nei Paesi ad alto reddito, ma anche in quelli a basso e medio reddito. Nessuna nazione è riuscita finora a invertire la tendenza in atto, sebbene si stiano registrando alcuni segnali positivi di cambiamento derivanti principalmente da un appiattimento della prevalenza dell’obesità infantile. Gli individui in sovrappeso appartengono più di frequente a gruppi socialmente vulnerabili: bassi livelli sociali, economici e culturali limitano le possibilità di ricevere un’educazione di qualità. Ciò crea a sua volta difficoltà per le persone di distinguere le informazioni corrette sulla salute da altre errate e confondenti. Tutto questo ha un impatto sulla capacità di ricevere e comprendere le raccomandazioni sui corretti stili di vita da seguire per mantenersi in salute. Possibilità economiche limitate non permettono, infine, di seguire e mantenere tali propositi, anche quando siano ben compresi. Anche i luoghi in cui le persone più svantaggiate abitano possono ostacolare la possibilità di seguire abitudini sane, sia per l’offerta limitata degli alimenti, sia perché i cibi più economici hanno spesso una minore qualità nutrizionale e una elevata densità energetica.
Oggi sappiamo che il peso corporeo di un individuo è determinato da interazioni multiple e molto complesse tra fattori genetici, comportamentali e ambientali. Se alla genetica da sola può essere ascritta soltanto una piccola quota dei casi di obesità, ben più rilevante è il contributo degli effetti dell’ambiente su alcuni geni di suscettibilità, di cui sono oltre 40 quelli conosciuti. Questi ultimi rappresentano un terreno fertile per lo sviluppo di questa condizione, a fronte di comportamenti poco salutari. Anche in questo caso, in cima alla lista si trovano una dieta ricca di alimenti ipercalorici e l’inattività fisica.
L’aumento della diffusione dell’obesità è stato anche favorito dai processi di modernizzazione e di transizione economica che hanno portato a una progressiva industrializzazione di aree precedentemente rurali e a scambi commerciali su scala globale. Tali cambiamenti hanno determinato notevoli miglioramenti degli standard di vita, ma anche alcune conseguenze negative. L’industria alimentare ha infatti modificato la qualità degli alimenti abitualmente consumati. La stagionalità è stata superata, le porzioni degli alimenti sono diventate sempre più abbondanti e la disponibilità di cibi ipercalorici supera di gran lunga il fabbisogno. Inoltre, la diffusione sempre più pervasiva dei trasporti motorizzati, degli elettrodomestici e dei macchinari per il lavoro hanno favorito una vita sempre più sedentaria. Tutti questi fattori, combinati con aspetti genetici e altri determinanti ambientali, come per esempio l’educazione e gli esempi familiari, rappresentano alcune cause importanti dell’incremento dell’obesità nel mondo.
L’uso di farmaci per trattare alcune malattie può contribuire a un importante aumento di peso, ma si stima che meno di un quinto dei casi di obesità sia da ascrivere a una ragione di questo tipo. Tra i farmaci che possono aumentare il rischio di obesità, i più comuni sono l’insulina, le sulfaniluree e i tiazolidindioni (sempre per la cura del diabete), gli antipsicotici di seconda generazione (utilizzati per curare la schizofrenia, il disturbo bipolare, le psicosi e alcune forme di depressione), gli antidepressivi e gli anticonvulsivanti (fenitoina e valproato), i beta bloccanti e alcuni contraccettivi ormonali.
Tra le malattie che aumentano il rischio di obesità, vi sono alcune sindromi genetiche rare, l’ipotiroidismo, la sindrome di Cushing, il deficit dell’ormone della crescita, alcuni disturbi dell’alimentazione (per esempio il disturbo da alimentazione incontrollata e la sindrome da alimentazione notturna) e alcuni problemi psichiatrici. alcuni agenti infettivi potrebbero favorire lo sviluppo di obesità. Si tratta di un fenomeno noto come “infectobesity”. A questo proposito è stato osservato che il microbiota intestinale ha caratteristiche diverse nelle persone normopeso rispetto a quelle obese, e questo può influenzare la capacità di assorbimento dei nutrienti. Ciò che tuttavia non è ancora chiaro è se tali differenze siano la causa o la conseguenza dell’obesità. Inoltre, è stata osservata un’associazione tra alcune infezioni virali e obesità sia negli esseri umani sia in numerose altre specie animali. Anche questa correlazione è però ancora da approfondire per stabilire con precisione gli eventuali nessi di causa ed effetto.
Per curare i problemi di obesità è consigliabile rivolgersi preferibilmente a un medico nutrizionista, un endocrinologo e uno psicologo esperto di disturbi dell’alimentazione. Gli specialisti possono cercare di stabilire le cause più probabili dell’aumento di peso e valutare le strategie più efficaci per affrontare il problema. Il primo passo per chi non ha mai provato a perdere il peso in eccesso consiste, in un primo momento, in una modifica del proprio stile di vita, in particolare cambiando la propria alimentazione e facendo più attività fisica. Nei casi più gravi, quando questi accorgimenti non bastano, ci sono altre possibili strade da percorrere, tra cui alcune terapie farmacologiche e la chirurgia bariatrica.
Negli ultimi anni l’obesità può essere trattata con farmaci agonisti del recettore GLP-1, come per esempio la semaglutide, e più recentemente con combinazioni di agonisti dei recettori GLP-1 e composti che agiscono sul recettore del peptide insulino-tropico glucosio-dipendente (GIP), come la tirzepatide. Si tratta di farmaci originariamente sviluppati per trattare il diabete di tipo 2 che si sono dimostrati efficaci anche nel trattamento dell’obesità. La semaglutide, in particolare, nota con il nome commerciale Ozempic, può ridurre il peso corporeo fino al 15%. In Italia questo farmaco è attualmente rimborsabile in presenza di alcune condizioni cliniche specifiche, ma in seguito all’approvazione della legge che ha riconosciuto l'obesità come malattia cronica queste indicazioni potrebbero cambiare. In studi clinici, la tirzepatide, conosciuta con il nome commerciale Zepbound per la perdita di peso, ha mostrato un’efficacia superiore alla semaglutide, con riduzioni di peso fino al 20%. Tuttavia, il farmaco è stato al momento approvato solo negli Stati Uniti. Queste terapie rappresentano un’importante novità per i pazienti con obesità moderata o severa, specialmente in presenza di comorbidità come il diabete di tipo 2. Oltre alla loro efficacia nel favorire la perdita di peso, queste terapie sono state studiate negli ultimi anni anche per gli eventuali effetti sul rischio oncologico. In uno studio osservazionale, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2025 sulla rivista JAMA Oncology, gli autori hanno analizzato un ampio gruppo di adulti con obesità trattati con questi farmaci. Hanno così rilevato che in queste persone non si è registrato un aumento del rischio di sviluppare tumori solidi. È invece emersa una possibile riduzione dell’incidenza di alcuni tumori associati all’eccesso di peso, tra cui quelli del colon-retto, del fegato e della mammella in donne dopo la menopausa. Si tratta di risultati confortanti e promettenti. Tuttavia, gli autori stessi hanno sottolineato la necessità di ulteriori valutazioni e conferme da studi clinici controllati, anche per considerare eventuali effetti a lungo termine oggi non rilevabili, dato il poco tempo trascorso da quando questi farmaci sono in commercio. In ogni caso, l’uso di questi farmaci in pazienti con una predisposizione genetica a neoplasie endocrine rare richiede una valutazione attenta da parte di uno specialista.
Il ricorso a un intervento chirurgico viene solitamente offerto a chi ha già visto fallire uno dei precedenti approcci o a chi si presenta dallo specialista con un’obesità già molto grave. Le opportunità chirurgiche sono diverse e la scelta si basa sulle caratteristiche di ciascun paziente. Alcune procedure – come il bendaggio gastrico e l’inserimento del palloncino intragastrico – sono reversibili, altre invece sono definitive e agiscono anche sul sistema ormonale. È il caso della gastrectomia verticale, del bypass gastrico e della diversione biliopancreatica. Si parla quindi sempre più spesso di chirurgia del metabolismo, anche perché tra i vantaggi di questi interventi c’è la possibilità di migliorare le condizioni dei pazienti che soffrono anche di diabete di tipo 2. Un vantaggio di non poco conto, che consente ad alcuni di questi pazienti di fare a meno dei farmaci per tenere sotto controllo la glicemia.
I risultati di numerosi studi hanno mostrato un’associazione tra obesità, incidenza e mortalità per diverse forme di cancro. Grazie agli studi condotti anche da ricercatori sostenuti da Fondazione AIRC, sappiamo che sono almeno 12 i tipi di tumore attualmente associati all’obesità: a quelli che colpiscono parti dell’apparato digerente – esofago, stomaco, colon-retto, fegato, pancreas e colecisti – vanno aggiunti i tumori femminili del seno, dell’utero e dell’ovaio, e, in misura meno significativa, quelli della tiroide, del rene e della prostata. Una correlazione meno forte tra obesità e tumori è emersa anche riguardo al mieloma multiplo, alla leucemia promielocitica acuta e al meningioma.
Oltre a convivere con un maggior rischio di ammalarsi, le persone obese sviluppano più di frequente tumori particolarmente aggressivi e difficili da curare, e hanno significative probabilità di dover affrontare la recidiva di un precedente tumore o di andare incontro a complicanze durante le cure. Tali problemi sono dovuti in parte al fatto che in questi pazienti è più difficile dosare i trattamenti, a causa dell’alterata distribuzione dei farmaci nel grasso corporeo.
Gli scienziati hanno finora riconosciuto che il grasso in eccesso incrementa la produzione di ormoni della crescita e sessuali, oltre all’infiammazione: tre condizioni che sono da tempo associate a una maggiore probabilità che le cellule aumentino il numero di cicli riproduttivi fino a perderne il controllo, portando alla formazione di cellule tumorali. Tra i tumori associati all’obesità, quelli che possono colpire gli organi dell’apparato digerente sono più spesso la conseguenza di uno stato infiammatorio prolungato. Anche perché è soprattutto la presenza di grasso addominale e viscerale – quello, cioè, non palpabile poiché situato in profondità, intorno agli organi centrali del corpo – a rappresentare un fattore di rischio. Ecco perché si dice che la circonferenza della vita è con ogni probabilità un parametro più attendibile rispetto al peso corporeo e al BMI. Quanto agli estrogeni, sintetizzati anche direttamente dal tessuto adiposo, una loro presenza eccessiva nell’organismo accresce le probabilità di ammalarsi di cancro, in particolare del seno, dell'utero e dell'ovaio. L’obesità, inoltre, rende più difficile per i tessuti assorbire gli zuccheri. Il pancreas finisce così per incrementare la produzione di insulina, senza che questa riesca però a ridurre sensibilmente il livello di zuccheri nel sangue. La conseguenza è un aumentato rischio di diabete, che può a sua volta favorire l’insorgenza di alcuni tipi di cancro, come quelli che colpiscono il colon e il rene. Inoltre, l’insulina favorisce la produzione di un fattore di crescita, chiamato IGF-I, che stimola la proliferazione di molte cellule in generale e in particolare di quelle cancerose.
Mantenere il peso nella norma è con ogni probabilità una delle strategie più efficaci per ridurre uno dei rischi modificabili di cancro. È importante restare normopeso per l’intera durata della vita per almeno due ragioni. In primo luogo, chi è in sovrappeso o obeso in giovane età ha maggiori probabilità di esserlo per tutta la vita. In secondo luogo, i tumori sono malattie tipiche dell'invecchiamento e quindi meglio si arriva ad affrontare l’ultima tappa della vita e minore sarà il rischio di dover fare i conti con una malattia oncologica.
Per mantenere il peso nella norma, partendo dalla tavola, è importante:
Lo schema alimentare da prediligere è la dieta mediterranea. Allo stesso modo è importante non dimenticarsi dell’attività fisica. Per chi ha già un peso nella norma, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) raccomanda di effettuare almeno 150 minuti di attività fisica moderata (prevalentemente aerobica) alla settimana. Tale tempo va raddoppiato se una persona ha necessità di dimagrire. Le indicazioni si trovano anche nel Codice europeo stilato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione.
L’obesità infantile, una condizione abbastanza rara fino a 4 decenni fa, oggi riguarda quasi 1 bambino su 10 anche in Italia. L’eccesso di peso corporeo fin da bambini rischia di perdurare per tutta la vita e, di conseguenza, di esporre le persone a un rischio maggiore di ammalarsi di cancro e di numerose altre malattie. Non esiste, invece, alcuna correlazione tra l’obesità infantile e la probabilità di sviluppare un tumore pediatrico. Si ritiene infatti che queste malattie, che ogni anno in Italia colpiscono poco più di 2.200 tra bambini e adolescenti, siano dovute perlopiù a fattori genetici o comunque non modificabili, piuttosto che all’influenza degli stili di vita. Di conseguenza, l’obiettivo di favorire il mantenimento di un adeguato peso corporeo nei più piccoli non ha tanto a che fare con il rischio di ammalarsi di cancro nel corso dell’età infantile o dell’adolescenza. Ciò non toglie che esso sia un obiettivo di prevenzione oncologica comunque molto importante per prevenire l’insorgere di tumori negli adulti di domani.
Negli ultimi anni è emerso che anche chi è già malato di cancro deve fare molta attenzione alla dieta. Durante le terapie oncologiche, la priorità è in genere di evitare uno stato di malnutrizione, che può rendere meno efficaci le terapie. Per le persone in sovrappeso o obese è invece importante raggiungere un adeguato peso corporeo per ridurre il rischio di recidive, oltre che la mortalità complessiva per cancro. Per questo motivo anche ai pazienti oncologici, in particolare a quelli che hanno tumori dell’apparato digerente o legati agli ormoni, tra cui il tumore del seno, si raccomanda di seguire alcune prescrizioni dietetiche. In linea generale, con le dovute differenze legate alle condizioni individuali, rimangono valide le raccomandazioni diffuse a scopo preventivo dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC). Se le condizioni fisiche lo consentono, i pazienti oncologici dovrebbero poter svolgere attività fisica.
Fare attività fisica durante le terapie riduce il rischio di recidiva e di mortalità e contribuisce a migliorare la gestione di eventuali effetti collaterali dovuti alle terapie, come l’affaticamento, il dolore e la nausea. La correlazione è stata provata soprattutto per alcuni dei tumori più diffusi, come quelli che colpiscono il seno, la prostata, il polmone e il colon-retto. Nell’insieme, in Italia, queste malattie rappresentano almeno il 50% circa delle diagnosi di cancro. Per trarre benefici ed evitare gli infortuni, gli esercizi da svolgere durante le terapie devono essere di tipo aerobico e mirati ad aumentare la resistenza. Le discipline maggiormente raccomandate sono la corsa, il ciclismo e il nuoto. Questo non vuol dire, però, che siano alla portata di tutti, né che altre risultino sconsigliate a priori. L’importante è evitare il fai-da-te e, se possibile, chiedere indicazioni agli specialisti.
Autore originale: Fabio Di Todaro
Revisione di Raffaella Gatta in data 21/10/2025
Fabio Di Todaro
Articolo pubblicato il:
21 ottobre 2025