Ultimo aggiornamento: 2 dicembre 2021
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In questo articolo risponderemo alle domande:
Gli esperti ormai sanno che il sesso dei pazienti può comportare delle differenze nello sviluppo di un tumore, nella risposta alle terapie e nella mortalità. Si tratta quindi di una variabile a cui è importante prestare la giusta attenzione sia nella fase di cura sia nell’impostazione delle ricerche.
Prima di affrontare le differenze tra uomini e donne in oncologia può essere utile chiarire cosa si intende con i termini “sesso” e “genere”, che sono spesso utilizzati come sinonimi, anche se non sono del tutto sovrapponibili.
Con il termine sesso ci si riferisce alle differenze di tipo biologico tra maschi e femmine. Tali differenze comprendono i cromosomi, gli organi sessuali, i profili ormonali endogeni e molto altro. Il genere indica invece i ruoli e i comportamenti sociali, legati al sesso, che si verificano in un contesto storico e culturale e variano nelle società e nel tempo. Gli individui agiscono in molti modi diversi, anche a seconda delle aspettative di genere della società e dell’epoca in cui vivono. La salute di ciascun individuo è determinata e influenzata sia dagli aspetti biologici del sesso di appartenenza, sia dall'espressione di genere, due aspetti che sono in continua interazione tra loro.
Solo per citare la prima e più banale delle differenze tra i sessi, la specie umana è caratterizzata da 23 coppie di cromosomi, presenti in tutte le cellule tranne quelle sessuali, che hanno una singola copia di ciascun cromosoma. Oltre a 22 coppie di cromosomi identici sia nelle femmine sia nei maschi, le femmine hanno una coppia di cromosomi X (XX), mentre i maschi hanno un cromosoma X e uno Y (XY). Questa differenza, apparentemente piccola, ha un impatto enorme sull’organismo, che va dalle differenze sessuali primarie e secondarie alla regolazione della risposta immunitaria e molto altro.
Nel contesto del sesso e del genere si inseriscono anche gli individui transgender, ovvero tutte quelle persone che, semplificando al massimo un tema estremamente complesso e delicato, non si riconoscono in termini di identità nel sesso o nel genere che è stato assegnato loro alla nascita. Dal punto di vista della salute, queste persone possono andare incontro a una serie di problemi specifici che possono riguardare il rischio di cancro, la diagnosi e le terapie. Tali problemi possono essere per esempio legati alle terapie ormonali cui alcuni si sottopongono in caso di transizione di genere. Oppure possono avere a che fare con temi più sociosanitari, per esempio per il fatto di effettuare screening per tumori tipici del sesso biologico e non del genere di identificazione. In questa sede non affronteremo questi argomenti, che tuttavia vanno tenuti in considerazione anche negli studi e nelle valutazioni cliniche.
Alcuni tumori possono colpire solo persone di sesso maschile o femminile, per ragioni puramente anatomiche. Si tratta, per esempio, del tumore della prostata, esclusivo del sesso maschile, e di quello dell’ovaio, che può colpire soltanto persone di sesso femminile. Altri tipi di cancro, invece, colpiscono e a volte uccidono diversamente maschi e femmine per ragioni che hanno a che fare con comportamenti e abitudini. Un caso molto noto nel nostro Paese è quello del tumore del polmone, in calo nei maschi ma in aumento nelle femmine.
Un articolo di revisione sul tema, pubblicato nel 2020, ricorda che i numeri del cancro variano in base a età e origine etnica, ma che in generale nei maschi sia l’incidenza sia la mortalità sono più elevate che nelle femmine per diversi tipi di tumore, inclusi quelli di vescica, rene, colon-retto, fegato, esofago, testa-collo, cervello, cute e sangue.
Cambiano anche le risposte alle cure: sempre nello stesso articolo, gli autori ricordano che le femmine rispondono meglio degli uomini alle terapie in uso per alcuni tipi di tumore (per esempio linfoma, sarcoma, glioblastoma, tumore del polmone e del colon-retto) e vivono più a lungo dopo il trattamento.
Altre ricerche si sono concentrate invece sull’efficacia dell'immunoterapia e hanno rilevato che le femmine in genere rispondono meno bene a questo tipo di cure rispetto ai maschi, anche se i risultati sono molto variabili in base al tipo di immunoterapia e di tumore da cui i pazienti sono affetti. Gli studi sono ancora in corso perché, a fronte di dati che mostrano un migliore risultato nelle femmine, altri, tra i quali quelli di uno studio condotto all’Istituto nazionale dei tumori di Milano, mostrano, sempre nelle femmine, un aumento degli effetti collaterali.
Studiare l’origine di queste differenze è un compito decisamente arduo perché le variabili in gioco sono davvero molte. In alcuni casi, alla base ci sono comportamenti ed esposizioni a fattori di rischio che possono variare a seconda del sesso o del genere degli individui presi in esame. Per esempio, alcune professioni che espongono al contatto con sostanze chimiche particolarmente pericolose sono storicamente praticate più spesso dagli uomini che dalle donne. Inoltre alcune abitudini e comportamenti, come il consumo di alcol o il fumo, possono essere più o meno diffusi tra gli individui di un determinato sesso o genere in un determinato periodo storico e soggette all’influenza delle trasformazioni sociali. Anche le possibilità di accesso a diagnosi e terapie possono essere in alcuni casi diverse tra uomini e donne.
Le differenze biologiche tra i sessi, alcune note da tempo, altre ancora in fase di studio, possono contribuire al rischio di ammalarsi di tumore e alla prognosi di ciascun caso di cancro. Gli ormoni sono senza dubbio uno dei fattori che più di altri distinguono gli uomini dalle donne e anni di ricerche hanno messo chiaramente in luce il ruolo di diversi ormoni (gli estrogeni sono tra i più noti) sul rischio di progressione di molti tipi di tumore e sull’efficacia di alcune terapie.
Ma non è tutto: uomini e donne sono diversi anche in termini di sistema immunitario e questo influenza non solo le risposte all’immunoterapia, ma anche la progressione del tumore e la sua capacità di “sfuggire” agli attacchi che arrivano dai farmaci.
Infine, ma non certo meno importanti, ci sono altre differenze molecolari, genetiche ed epigenetiche, sulle quali si concentrano le più recenti ricerche di medicina di precisione. Molti processi biologici legati al cancro e alla risposta alle terapie funzionano in maniera diversa nelle cellule maschili rispetto a quelle femminili. È stato per esempio dimostrato che i biomarcatori dello stress ossidativo sono presenti a livelli più alti nei maschi che nelle femmine della stessa età, e le donne sembrano essere meno sensibili a questo tipo di stress cellulare rispetto agli uomini. Inoltre, il sistema immunitario femminile sembra essere più efficiente in diverse specie, inclusi gli esseri umani. Più si scende nei dettagli, più lo scenario si complica. Solo per citare un esempio, è stato dimostrato da oltre un decennio che i profili genomici di persone con tumore del polmone non a piccole cellule presentano grandi differenze tra individui di sesso diverso nelle vie di segnalazione. Ciò suggerisce che i biomarcatori di prognosi potrebbero essere diversi tra uomini e donne.
La crescente letteratura scientifica a conferma delle diversità nella risposta alle terapie antitumorali tra individui di diverso sesso, e negli esiti oncologici, ha messo in luce una lacuna importante della medicina di precisione, così spesso citata nella moderna oncologia. Personalizzare le cure sulla base delle caratteristiche cliniche e molecolari dei pazienti è fondamentale, ma non basta: bisogna anche tenere conto del sesso e delle influenze che questo esercita sulla genetica e l’epigenetica di ciascuna persona.
Serve quindi un cambio di atteggiamento nella progettazione degli studi, da quelli di base a quelli più clinici, non solo includendo la popolazione femminile nelle ricerche ma anche (e soprattutto) prestando attenzione a ciò che accomuna o differenzia uomini e donne.
Nel 2014 i National Institutes of Health (NIH) statunitensi hanno stabilito che le ricerche sostenute con fondi federali dovessero tenere conto delle diversità tra i sessi e considerare queste variabili biologiche in tutti gli studi preclinici, prestando così attenzione non solo al sesso degli animali di laboratorio, ma anche a quello degli individui cui appartengono le utilizzate in coltura.
In Italia, nel 2019 è stato firmato il decreto per l’adozione del Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere, previsto dall’articolo 3 della legge 3/2018, che si propone di favorire “divulgazione, formazione e indicazione di pratiche sanitarie, che, nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura, tengano conto delle differenze derivanti dal genere, al fine di garantire la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale (SSN) in modo omogeneo sul territorio”.
Qualche passo avanti è stato quindi compiuto, ma la strada da percorrere è ancora lunga e richiede di “mettere in agenda anche il genere”, come già affermava nel 2010 un articolo pubblicato sulla rivista Nature.
Agenzia Zoe