Ultimo aggiornamento: 18 luglio 2024
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In questo articolo risponderemo alle domande:
Nel nostro Paese circa 6 persone su 10 sono vive dopo 5 anni da una diagnosi di cancro. Si tratta di valori medi per tutti i tipi di cancro: per alcuni sono più bassi, mentre per altri possono essere anche molto più alti. Per esempio, per i tumori della tiroide la sopravvivenza a 5 anni arriva al 92 per cento per gli uomini e al 96 per cento per le donne; per i tumori del testicolo, invece, tocca il 93 per cento. Sono infatti sempre più numerose le persone che riescono a superare la malattia o a convivere anche per molti anni con un tumore che, in tali casi, è stato possibile assimilare a una malattia cronica.
Questi individui sono definiti dagli anglofoni “cancer survivor”, letteralmente sopravvissuti al cancro, un’espressione che nella nostra lingua può suonare strana e che andrebbe però interpretata in modo positivo.
Le definizioni di “sopravvissuto al cancro” nel mondo variano. Per l’American Cancer Society “cancer survivor” si riferisce a chiunque abbia ricevuto una diagnosi di tumore, indipendentemente dalla fase della malattia. Tuttavia, come riporta l’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) nelle “Linee guida lungoviventi”, pubblicate nel 2021, oggi “nella maggior parte dei Paesi europei vengono considerati ‘sopravvissuti’ al cancro quei pazienti ancora in vita dopo 3 o 5 anni dalla diagnosi o dalla fine del trattamento e che si trovano in una condizione di remissione completa di malattia”. L’uso del termine “sopravvissuto al cancro” è peraltro dibattuto: in alcuni Paesi si è proposto di sostituirlo con “persona che ha avuto il cancro”.
In ogni caso, in qualunque modo li si definisca, gli individui in vita dopo una diagnosi di tumore sono sempre più numerosi, e questa è una buona notizia. Solo nel nostro Paese la stima più recente è di poco meno di 4 milioni. Un numero che verosimilmente crescerà, sia per via dell’invecchiamento della popolazione, che determinerà un aumento dei casi di cancro, sia per lo sviluppo di metodi di diagnosi precoce e di trattamenti sempre più efficaci, che permetteranno un allungamento della sopravvivenza media dei pazienti oncologici.
Ricevere una diagnosi di tumore cambia la vita. Ma dal momento che il tumore, in molti casi, non è più una malattia incurabile, è possibile pensare al cambiamento dovuto al cancro come “temporaneo”, o comunque come una modifica significativa della propria vita alla quale ci si può però adattare.
A causa dei trattamenti o della malattia è possibile che dal punto di vista fisico si vada incontro a problemi quali dolore e stanchezza, o che alcune attività diventino più complicate da svolgere. Magari si sopportano dolori importanti, si fatica a camminare, si è persa la mobilità di un arto o si hanno difficoltà nei rapporti sessuali, giusto per fare alcuni esempi. La diagnosi di tumore può avere conseguenze importanti anche dal punto di vista emotivo e psicologico. La paura che la malattia ritorni accompagna spesso chi ormai ha terminato le terapie, così come il timore per la salute dei propri cari. Possono inoltre sorgere dubbi sul fatto che sia possibile o opportuno pensare a una gravidanza, in caso di malattia in giovane età.
In tutti questi casi, il passo più importante è cercare aiuto da parte di un professionista, che sia il proprio medico di base, l’oncologo, uno psiconcologo o un altro specialista che conosca e sappia affrontare le tante sfaccettature del periodo che segue una diagnosi oncologica.
Sono molte le associazioni e i centri di ricerca che mettono a disposizione informazioni su come vivere al meglio dopo la diagnosi. I Centers for Disease Control and Prevention statunitensi (CDCs), per esempio, hanno creato alcune guide per aiutare i pazienti a gestire i diversi aspetti della salute fisica, emotiva e sessuale.
Tra i consigli validi per tutti i pazienti vi sono le raccomandazioni a seguire una dieta varia ed equilibrata, ricca di frutta e verdura. Inoltre, tutti sono invitati a praticare attività fisica regolarmente, in base alle proprie capacità e condizioni di salute, e a fare il possibile per garantirsi una buona qualità del sonno. Un ruolo centrale hanno anche i programmi di riabilitazione che coinvolgono molti altri aspetti della vita dei pazienti (o ex-pazienti) e delle loro famiglie.
I fisioterapisti possono aiutare a ridurre il dolore fisico e recuperare la mobilità, mentre i terapisti occupazionali forniscono consigli su come gestire alcune attività quotidiane, dal vestirsi e lavarsi, al lavoro e allo studio. Gli psicologi e altri terapisti sono importanti per gestire al meglio gli effetti collaterali delle terapie (per esempio i problemi cognitivi che si presentano dopo alcuni trattamenti), ma anche per aumentare il benessere e ridurre stress, ansia e depressione. Magari – perché no? – attraverso piacevoli attività come l’arte, la musica o la danza.
Delle circa 4 milioni di persone che vivono in Italia dopo una diagnosi di tumore, 1 milione potrebbero essere considerate a tutti gli effetti guarite. Sono persone che hanno superato la malattia, che non stanno più seguendo alcun trattamento e che hanno un’aspettativa di vita pari a quella della popolazione generale che non ha mai ricevuto una diagnosi di tumore.
Riconoscere a tali persone lo status di guarite è importante non solo per gli aspetti psicologici, ma perché ciò porta con sé anche importanti ricadute pratiche. Sentirsi guariti permette infatti di vivere la vita con maggiore serenità, ma anche di evitare una serie di ostacoli burocratici e discriminazioni che ancora oggi sono purtroppo comuni. Non è raro che chi ha ricevuto una diagnosi di tumore nel corso della propria vita si veda negare un mutuo o abbia difficoltà a stipulare una polizza assicurativa, anche se questo sta cambiando.
Sull’esempio di quanto già avvenuto in alcuni Stati europei, in Italia hanno preso il via diverse iniziative per garantire ai guariti dal cancro il “diritto all’oblio”, ovvero la possibilità di lasciarsi alle spalle la malattia anche nelle pratiche amministrative e burocratiche della vita di tutti i giorni. In Francia è stabilito per legge che le persone con precedente diagnosi di tumore non sono tenute a informare agenzie di prestito o assicuratori su tale diagnosi una volta trascorsi 10 anni dal termine delle terapie (5 anni nel caso di tumori diagnosticati prima della maggiore età).
La campagna “Io non sono il mio tumore”, condotta in Italia da Fondazione AIOM, è stata pensata proprio per aumentare la consapevolezza su questo tema anche nel nostro Paese e per promuovere una legge sul diritto all’oblio. Grazie anche alle 108.000 firme raccolte nella campagna, il testo di legge sul diritto all’oblio, approvato dalla Camera dei Deputati nel luglio 2023, ha ricevuto il via libera senza modifiche anche dal Senato qualche mese dopo, nel dicembre 2023. “La legge approvata anche al Senato prevede il divieto di richiedere informazioni su una pregressa patologia oncologica dopo 10 anni dal termine dei trattamenti in assenza di recidiva di malattia in questo periodo. Per i pazienti in cui la diagnosi sia antecedente ai 21 anni, questo limite è ridotto a 5 anni. La legge non tutela solo nei rapporti con banche e assicurazioni ma anche nei concorsi, qualora sia richiesta un’idoneità fisica, e nell’ambito delle procedure di adozione. È, pertanto, una legge più avanzata rispetto a quanto stabilito in altri Stati che hanno già adottato norme su questo tema” ha spiegato in un comunicato il presidente AIOM Francesco Perrone.
Testo originale pubblicato in data 4 luglio 2022
Testo aggiornato pubblicato in data 18 luglio 2024
Agenzia ZOE