La marijuana può essere utile ai pazienti con tumore?

Forse sì, vi sono diversi studi che dimostrano proprietà antidolorifiche e antinausea dei cannabinoidi, molecole contenute nella Cannabis sativa, pianta da cui si ricava la marijuana. Non vi sono invece evidenze di un’attività antitumorale efficace.

Ultimo aggiornamento: 12 luglio 2023

Tempo di lettura: 8 minuti

In sintesi

  • Col termine marijuana si intende un preparato di una pianta tropicale, la Cannabis sativa, fatto di foglie e infiorescenze (in farmacopea però si usano solo queste ultime).
  • La marijuana contiene due sostanze attive che appartengono alla classe dei cannabinoidi: il tetraidrocannabinolo (THC) e il cannabidiolo (CBD).
  • I medici possono prescrivere ai malati preparazioni magistrali di Cannabis che vengono allestite dal farmacista.
  • Gli studi esistenti dimostrano l’utilità della marijuana nel controllo del dolore, specie neuropatico, e della nausea. Inoltre il fumo di marijuana aumenta l’appetito nei pazienti in chemioterapia.
  • Esperimenti in cellule in coltura e in animali di laboratorio mostrano alcuni effetti antitumorali dei cannabinoidi, ma non ci sono ancora conferme negli esseri umani.

Marijuana e cannabinoidi

Col termine marijuana si intende comunemente un preparato di foglie e infiorescenze (in farmacopea però si usano solo queste ultime) della Cannabis sativa, una pianta tropicale le cui componenti attive sono il tetraidrocannabinolo (THC) e il cannabidiolo (CBD).

Il THC ha effetti psicoattivi e induce dipendenza, sebbene in misura minore rispetto ad altre sostanze come le amfetamine, la cocaina e la nicotina. In quanto sostanza d’abuso, la commercializzazione libera è vietata e la marijuana è iscritta dal 2013 nel registro II B del testo unico 309/1990 che disciplina l’uso delle sostanze stupefacenti e psicotrope. I derivati della Cannabis per uso terapeutico sono stati “derubricati” da sostanze stupefacenti a sostanze farmacologiche prescrivibili, almeno in teoria, da qualsiasi medico su normale ricettario. Nonostante ciò, la procedura per ottenerli non è semplice e richiede circa un paio di mesi, per accedere a tre mesi di fornitura.

Il CBD, il composto non psicoattivo presente nella Cannabis, oggi si può trovare nelle erboristerie, nei negozi specializzati in prodotti della Cannabis e sotto forma di liquidi per le sigarette elettroniche. Non crea dipendenza e sonnolenza, e per questa ragione è liberamente commerciabile. Il CBD è stato molto studiato nelle malattie neurologiche come l’epilessia e ha un blando effetto antidepressivo. Per quel che riguarda il cancro, la maggior parte degli studi sono stati condotti in laboratorio con cellule in coltura. Come riassume una revisione sistematica pubblicata di recente sulla rivista Cannabis and Cannabinoid Research, la lieve attività citostatica (di rallentamento della crescita cellulare) del CBD è ancora tutta da dimostrare nell’organismo umano. Inoltre non sembra avere effetti diretti sulla nausea o sulla percezione del dolore.

I cannabinoidi endogeni

Il cervello umano produce sostanze, chiamate endocannabinoidi, simili a quelle contenute nella marijuana. È proprio studiando queste sostanze che si sono chiariti i meccanismi alla base dei possibili effetti terapeutici e anche, in parte, degli effetti collaterali del THC.

I principali endocannabinoidi endogeni sono l’anandamide e il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG). Agiscono principalmente su un recettore, chiamato CB1, diffusissimo nel cervello, soprattutto nella corteccia cerebrale. Ciò spiega gli effetti più comuni del fumare marijuana, fra cui l’euforia, la diminuzione dell’ansia e dello stress e un’aumentata interazione sociale, tutte funzioni localizzate nella corteccia frontale.

Il 2-AG, in particolare, è un inibitore dell’eccitazione delle cellule nervose che agisce regolando la trasmissione neuronale nella corteccia cerebrale. L’anandamide, invece, agisce anche a distanza dal luogo in cui viene prodotta ed è sostanzialmente un regolatore dello stress. Inoltre sappiamo, da sperimentazioni svolte sia in animali di laboratorio sia negli esseri umani, che se si blocca il recettore per gli endocannabinoidi diminuisce il peso corporeo e cambia il metabolismo.

È quindi grazie agli studi sul sistema che coinvolge i cannabinoidi endogeni che è possibile, entro certi limiti, estrapolare le basi fisiologiche dell’azione del composto attivo THC della marijuana. In particolare gli effetti riguardano l’azione antidolorifica, per via della regolazione degli stimoli elettrici a livello dei neuroni, e la capacità di far tornare l’appetito a pazienti con nausea o con gravi patologie in fase terminale. Gli studi con il composto attivo della marijuana negli esseri umani sono limitati per motivi etici.

L'uso medico

Esistono diverse forme di THC: la più attiva dal punto di vista farmacologico è il delta-9-THC, considerato dalla Food and Drug Administration statunitense come uno “strumento efficace per contrastare i disturbi legati al cancro e gli effetti collaterali delle chemioterapie”. In realtà l’uso medico della Cannabis risale a oltre 3.000 anni fa. In Occidente è stata introdotta nell’Ottocento come antidolorifico, antispastico e antiepilettico.

Il THC può essere assunto per via orale o per inalazione (attraverso il fumo di marijuana o spray). Se la Cannabis viene ingerita, il THC, che è comunque una sostanza tossica, viene trasformato nel fegato in metaboliti, i cui effetti psicoattivi sono diversi e più marcati rispetto alla semplice inalazione. Per evitare tali tossicità ed effetti, la somministrazione di Cannabis naturale a fini terapeutici viene effettuata preferibilmente attraverso il fumo o per inalazione e meno frequentemente per via orale.

Negli Stati Uniti sono disponibili forme farmaceutiche di Cannabis per somministrazione orale, mentre una ditta olandese produce Cannabis terapeutica da fumare (cioè con un contenuto di THC controllato e titolato). Nel 2016 il nostro Paese, grazie alla collaborazione tra il Ministero della salute e il Ministero della difesa, ha avviato una produzione nazionale di Cannabis per uso medico presso lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze (SCFM). Per incrementare la produzione nazionale è stata recentemente avviata la procedura per la selezione di aziende candidate alla coltivazione di piante di Cannabis per conto dello SCFM.

L’American Cancer Society si è espressa a favore della semplificazione delle procedure per prescrivere derivati della Cannabis ai malati oncologici, compresa la marijuana per uso terapeutico.

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Gli studi

Sono stati condotti alcuni studi sugli effetti della marijuana inalata (attraverso fumo o vaporizzazioni) nel trattamento del dolore neuropatico (provocato da lesioni dei nervi, a volte legate a infiltrazioni tumorali). Oltre a lenire il dolore acuto, chi consuma marijuana terapeutica fa un minore uso di antidolorifici. Uno studio nei malati di AIDS ha dimostrato che il fumo di marijuana induce la fame, un effetto che è stato confermato anche in studi con pazienti oncologici che assumevano la forma farmaceutica del delta-9-THC.

Alcune sperimentazioni sono state condotte con buoni risultati negli Stati Uniti con due formulazioni farmacologiche di delta-9-THC per somministrazione orale nella nausea da chemioterapia. I due farmaci, che rispondono al nome generico di dronabinolo e nabinolone, sono registrati in Europa ma non Italia, anche se possono essere importati su richiesta di un medico attraverso gli uffici delle ASL o allestiti dal farmacista come preparazione galenica.

Esiste anche un farmaco sviluppato da un’azienda britannica, nell’ambito di un progetto di ricerca pubblica per lo sviluppo di cure derivate dalla Cannabis: si chiama nabiximols ed è sotto forma di spray inalabile. Contiene una miscela calibrata di delta-9-THC e di cannabidiolo ed è venduto anche in Italia con il nome commerciale Sativex. Può essere prescritto per il trattamento della spasticità da moderata a grave alle persone con sclerosi multipla che non hanno risposto adeguatamente ad altri farmaci antispastici.

Gli studi sul fumo di marijuana naturale nel trattamento della nausea sono invece pochi e difficilmente interpretabili, perché le affermazioni di efficacia sono aneddotiche e basate sull’esperienza soggettiva di alcuni pazienti.

Gli effetti antitumorali

È bene chiarire che gli studi i cui risultati hanno dimostrato un effetto antitumorale dei cannabinoidi sono ancora allo stadio preclinico e che non esistono dimostrazioni negli esseri umani.

Dati ottenuti in esperimenti con topi e ratti hanno dimostrato che i cannabinoidi possono inibire la crescita tumorale inducendo l’apoptosi, ovvero la morte programmata delle cellule maligne. Inoltre sono stati dimostrati effetti antiangiogenici, cioè di blocco dello sviluppo dei vasi sanguigni che favoriscono la crescita tumorale.

I risultati di un esperimento con colture di carcinoma epatocellulare (cancro del fegato) hanno dimostrato un effetto antitumorale del delta-9-THC. Da un altro studio nei topi sono emersi dati che mostrano che i cannabinoidi possono avere un effetto antinfiammatorio sul colon e quindi potrebbero ridurre il rischio di cancro in quest’organo. Tuttavia i ben noti effetti collaterali di tipo cognitivo rendono questa molecola inadatta all’uso in prevenzione.

Come molti altri composti, anche i cannabinoidi non sono privi di tossicità ed effetti collaterali, tra i quali giramenti di testa, svenimenti e cambiamenti di umore. In alcuni soggetti predisposti, il THC può anche peggiorare la depressione o il disturbo bipolare, oppure favorire la comparsa di psicosi e allucinazioni.

Considerato che alcuni utilizzatori si trovano in condizioni di salute critiche, la qualità dei prodotti è di cruciale importanza. La marijuana per uso terapeutico ha una qualità più alta, garantita da controlli rigorosi, di quella destinata all’uso ricreazionale. A titolo esemplificativo, in uno studio condotto in Olanda, dieci campioni su dieci di Cannabis acquistata in strada superavano i limiti di contaminazione microbiologica consentiti per i prodotti destinati all’inalazione. Per evitare di esporsi a rischi i pazienti dovrebbero utilizzare Cannabis e prodotti a base di cannabinoidi di grado farmaceutico.

Accedere a questi prodotti attraverso i canali ufficiali fa anche sì che il medico sia a conoscenza dell’uso da parte dei pazienti. Alcuni studi preclinici hanno suggerito che i cannabinoidi possono interferire con le molecole che trasportano i farmaci dentro le cellule e con gli enzimi che li metabolizzano. Va detto che le concentrazioni usate in quegli studi erano più alte di quelle attese nel sangue dopo l’uso di Cannabis e che non ci sono prove cliniche certe di un’interazione tra farmaci, antitumorali e non, e Cannabis. Tuttavia questa possibilità non può essere completamente esclusa. In particolare i cannabinoidi, essendo dotati di attività immunomodulanti, potrebbero interferire con l’immunoterapia. I risultati di due studi hanno mostrato una ridotta risposta o sopravvivenza in pazienti che facevano uso di Cannabis ed erano allo stesso tempo trattati con farmaci immunoterapici (inibitori dei checkpoint immunologici). I dati in proposito sono ancora pochi, ma suggeriscono di usare cautela nel combinare l’immunoterapia e la Cannabis medicinale. In generale è sempre importante informare i medici curanti di tutti farmaci e le sostanze che si assumono.

In conclusione

I cannabinoidi sembrano avere effetti positivi su alcuni sintomi di cui soffrono i pazienti con tumore. Nel complesso gli esperti tendono a essere non sfavorevoli al suo utilizzo per le proprietà antidolorifiche, antinfiammatorie e antinausea, dimostrate tuttavia quasi solo in studi con animali di laboratorio. Esprimono però cautela sui possibili effetti tossici e cognitivi, anche data la scarsità di evidenze e sperimentazioni cliniche negli esseri umani, che impedisce di arrivare a conclusioni attendibili per l’uso nella nostra specie.

Per saperne di più

  • Agenzia Zoe