Ultimo aggiornamento: 4 aprile 2023
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I bambini, al pari degli adulti, vivono oggi in un mondo in cui esistono varietà e quantità di cibi precedentemente impensabili. Per questo è diventato essenziale fare attenzione a cosa mangiano e a educarli fin dai primissimi anni di vita ad alimentarsi in maniera salutare.
Le scelte alimentari hanno infatti un impatto significativo sul rischio di sviluppare malattie croniche non trasmissibili, tra cui diversi tipi di tumori. Un ampio ventaglio di condizioni – dall’ipertensione al diabete di tipo 2, dall’obesità alla sindrome metabolica – è nell’insieme responsabile del 70 per cento circa delle cause di morte nei Paesi industrializzati. Oggi si sa che le radici di questi problemi di salute, oltre a essere il risultato di una combinazione di fattori genetici, fisiologici, ambientali e comportamentali, spesso risalgono al periodo che va dal prima del concepimento ai primi mesi o anni di vita. I risultati di numerose ricerche hanno infatti mostrato che ciò che accade in questo periodo, quantificabile in circa mille giorni, può influenzare la predisposizione allo sviluppo di varie malattie di bambini e adulti: da quelle cardiovascolari ad alcune psichiatriche, fino anche a diverse forme di cancro.
Per proteggere i bambini, quasi tutta la prevenzione ruota attorno all’adozione di abitudini e comportamenti salutari. I feti sono nutriti attraverso la dieta che le madri seguono durante la gravidanza, e l’esposizione a determinati sapori, anche particolari, durante la vita in utero può stimolare i bambini ad accettare maggiormente tali alimenti. Dopo il parto il latte materno prima e l’aggiunta dell’alimentazione complementare, poi, hanno un ruolo primario nel mantenimento di un buono stato di salute. Le sostanze assunte dalle madri passano infatti nel latte, determinando così nei piccoli allattati al seno l’esposizione a un ampio spettro di gusti e sapori. In tal modo si facilita il gradimento, al momento del divezzamento, di alimenti come le verdure che, a causa dei loro sapori a volte amari, possono essere tra i più difficili da far accettare ai piccoli. Successivamente i bambini sono influenzati dalle abitudini alimentari della mamma, del papà e, più in generale, di chi si occupa di loro a tavola. I genitori ‒ assieme ai nonni, alla babysitter, se coinvolti nella preparazione e nella somministrazione delle prime pappe ‒ costituiscono il primo riferimento educativo e comportamentale.
Il latte materno è l’unico alimento che l’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di offrire a neonati e lattanti nei sei mesi successivi al parto. L’allattamento al seno ha come obiettivo fornire ai bambini tutto ciò di cui hanno bisogno, nelle forme più digeribili e assimilabili. Sia il latte materno sia quello in formula (a cui ricorrere soltanto in mancanza del primo) sono ricchi di grassi, in una proporzione che non si ritrova più nella dieta di bambini più grandi e nemmeno degli adulti. La ragione è semplice: i grassi sono i costituenti principali del sistema nervoso centrale che completa la sua maturazione nelle prime fasi della vita extrauterina. Questa è forse la ragione principale per cui per un neonato non c’è alimento migliore del latte materno, all’interno del quale si trovano tutti i nutrienti essenziali per la crescita. Ma sono molteplici i benefici per i bambini: da un’adeguata formazione del microbiota a uno sviluppo cerebrale e del sistema immunitario nella norma. Inoltre assicura apporti proporzionati delle macromolecole essenziali. Altrettanto rilevante è la funzione preventiva. I risultati di diversi studi hanno mostrato che sovrappeso, obesità, diabete e aterosclerosi si registrano in età adulta con maggior frequenza tra coloro che non sono stati allattati al seno nei primi mesi di vita. L’effetto protettivo, in questo caso, potrebbe essere da attribuire, tra le altre cose, alla leptina. Si tratta di un ormone prodotto principalmente dal tessuto adiposo che, agendo sul cervello, diminuisce l’appetito e inibisce la sintesi di un’altra sostanza, la grelina, che al contrario stimola la fame. La leptina è stata rilevata nel latte materno ed è oggi considerata una delle possibili chiavi con cui prevenire l’insorgenza di diversi fattori di rischio per malattie metaboliche, cardio e cerebrovascolari.
Nel latte materno i carboidrati (zuccheri) costituiscono circa il 56 per cento della sua composizione, i grassi il 36 per cento e le proteine l’8 per cento, per un apporto energetico pari a circa 70 chilocalorie per cento grammi. Ma il latte materno non ha mai la stessa composizione e consistenza durante la poppata, e la sua formula unica e inimitabile si modifica nel tempo, adattandosi alle necessità di crescita dei neonati.
Con quale frequenza occorre allattare un neonato? L’intervallo di tempo con cui i bambini richiedono di essere nutriti è variabile. Esiste un numero medio di poppate che vengono “somministrate” nel corso del giorno e della notte, ma anche per questo parametro le differenze individuali sono notevoli. La maggior parte dei neonati, per esempio, riceve tra le 8 e le 10 poppate al giorno. Ci sono però anche quelli che si nutrono con 14-16 poppate nell’arco di 24 ore. Ciascuna poppata dura mediamente da 20 a 60 minuti, ma può variare anche parecchio in ciascuna coppia mamma-bambino, e nella stessa coppia nell’arco della giornata. La priorità, in questo caso, è cogliere nel neonato i segnali di fame, ovvero del bisogno di nutrirsi, e offrirgli la possibilità di saziarsi. I bambini mostrano di avere fame in diversi modi: sollevando le palpebre, portando la lingua fuori dalla bocca e le mani alle labbra, girando la testa da un lato all’altro (alla ricerca del seno), emettendo suoni e vocalizzi.
L’allattamento al seno è benefico anche per la salute delle mamme. Dati ottenuti in diverse ricerche mostrano che avere nutrito al seno il proprio figlio sia un fattore protettivo contro il cancro della mammella (almeno se la mamma ha meno di 35 anni). Lo stesso vale, anche se in misura minore, per il tumore dell’ovaio. Un effetto protettivo analogo protegge le mamme che hanno allattato dal rischio di diabete di tipo 2 (e dunque di diverse forme di cancro) e dell’osteoporosi (quest’ultima nella terza età). Tra i benefici determinati dall’allattamento al seno, c’è inoltre per la mamma il recupero della forma fisica dopo la gravidanza e l’instaurarsi di una migliore relazione affettiva con i figli. Infine, grazie a una fine regolazione ormonale, nella maggior parte dei casi un allattamento al seno regolare inibisce l’ovulazione, e dunque contribuisce a distanziare le nascite.
Quando il latte materno non è disponibile, o se la mamma è in cura con farmaci incompatibili con l’allattamento, il latte offerto gratuitamente dalle donatrici attraverso le banche del latte (38 in Italia) può essere considerato un’alternativa percorribile. Il trattamento termico, necessario a inattivare batteri e virus, ne altera parzialmente le proprietà biologiche e nutrizionali, ma questo alimento è la prima scelta nutrizionale da adottare in mancanza del latte prodotto dalla mamma del neonato. Rispetto alla alimentazione con formule, nei bambini nati prima del termine il latte umano riduce l’incidenza di enterocolite necrotizzante, la malattia gastrointestinale a più alta mortalità in età neonatale. Inoltre migliora la tolleranza alimentare, contribuisce alla riduzione delle sepsi e di altre infezioni e previene lo sviluppo di ipertensione arteriosa e insulino-resistenza in età adulta. In caso di un eccessivo calo di peso alla nascita, e per i rari casi in cui neonati a termine non possono alimentarsi al seno per brevi periodi, il latte materno estratto dal seno della mamma o di una donatrice è da considerare quale prima forma di integrazione.
Il latte artificiale è latte di mucca trattato in modo da somigliare il più possibile quello umano. È ugualmente digeribile e con un contenuto in minerali e vitamine adeguato ai fabbisogni dei primi mesi di vita del bambino. Dovrebbe essere impiegato solo se manca il latte materno, se la mamma ha una malattia per cui è sconsigliato l’allattamento, o per rispetto della volontà materna.
Il latte in polvere deve per legge ricalcare le proporzioni dei nutrienti presenti nel latte materno e determinate in base al fabbisogno dei neonati. Non sempre è tuttavia possibile “copiare” esattamente la natura. Nonostante i notevoli sforzi e tentativi dell’industria alimentare, il latte artificiale non è ancora uguale a quello materno, in particolare per quanto riguarda l’apporto di caseina. Il latte della mamma contiene inoltre lattoferrina e immunoglobuline che sono assenti nei latti artificiali.
Tre sono i tipi di latte artificiale maggiormente utilizzati: quello adattato, più ricco in sieroproteine, da consumare entro i sei mesi di vita del bambino; quello di proseguimento, utile tra il sesto e il dodicesimo mese; e quello di crescita, da un anno in poi, il più simile al latte vaccino in commercio. Oltre a queste formule esiste anche il latte idrolizzato, in cui le proteine si trovano sotto forma di amminoacidi per essere digerite e assorbite più facilmente (questo prodotto è indicato nei neonati in cui è stata riscontrata una predisposizione alla dermatite atopica).
Il latte d’asina, infine, è vicino nelle caratteristiche a quello materno ma è utile solo nel caso in cui i poppanti risultino allergici alle proteine vaccine. Se una mamma ha una insufficiente quantità di latte e il neonato presenta un notevole calo ponderale, sarà opportuno dare un’aggiunta di latte artificiale, ma normalmente si tratta di una minoranza di casi.
Nel primo anno di vita i bambini non dovrebbero mai consumare bevande vegetali, indipendentemente dalla fonte, al posto del latte. Quelle più diffuse sono a base di soia, di riso, di mandorla e di avena. Il loro profilo nutrizionale è molto diverso soprattutto da quello del latte materno, ma anche di quello vaccino. Anche per questo, a seguito di una sentenza della Corte di giustizia europea, da quasi tre anni non è più possibile usare la dicitura “latte” per tutti i derivati di origine vegetale. Una quota crescente di famiglie oggi ricorre a bevande a base di riso, soia e avena perché attratti dalle pubblicità e dalla volontà di favorire in un figlio un maggior consumo di alimenti di origine vegetale fin dalla più giovane età. Questi prodotti hanno però un contenuto proteico di molto inferiore a quello del latte vaccino, così come di diversi micronutrienti: il calcio, il ferro, le vitamine B12 e D. Queste carenze, a seconda della loro entità, rischiano di esporre i bambini nel primo anno di vita a ritardi di crescita, ridotto aumento del peso corporeo, anemia e formazione di calcoli renali (con malattie quasi dimenticate quali lo scorbuto e il rachitismo che possono presentarsi in caso di deficit particolarmente gravi). Fino ad almeno 5 anni, un bambino non dovrebbe bere bevande diverse dall’acqua per dissetarsi.
Il divezzamento è il processo di graduale sostituzione del latte, quale alimento esclusivo delle prime fasi di vita, con altri liquidi e solidi. Nei primi sei mesi, infatti, il latte materno (o quello donato o la formula artificiale) copre interamente il fabbisogno nutrizionale dei bambini. Fino ai dodici mesi di vita continua a fornire la principale quota di calorie per la crescita, mentre il resto è garantito da altri alimenti, detti in gergo cibi complementari. Il divezzamento può dunque essere il momento di incontro tra il patrimonio gustativo genetico del bambino (dopo l’esperienza fetale e al seno) con le preferenze alimentari degli adulti. Questo incontro è fondamentale, in quanto è dimostrato che i comportamenti alimentari acquisiti nei primissimi anni di vita vengono mantenuti anche nell’età adulta. Un aspetto che sottolinea quanto sia importante investire in questo periodo per migliorare la qualità di vita degli adulti di domani. Per gestire al meglio l’alternanza tra latte e primi alimenti, basta affidarsi ai segnali che ogni bambino invia, mostrando più o meno interesse per i diversi cibi proposti. Soprattutto nei primi mesi dopo l’avvio dell’alimentazione complementare, i lattanti possono alternare assaggi di cibi presenti a tavola con brevi poppate. In questo modo, con il passare del tempo, riusciranno a soddisfare i propri bisogni nutrizionali con gli alimenti proposti, diminuendo di conseguenza il numero delle poppate.
Qual è il momento più adatto per dare avvio all’alimentazione complementare? Anche in questo caso, c’è un’ampia variabilità. Ci sono bambini che sono pronti già tra i 4 e i 5 mesi. La maggior parte, si avvicina all’alimentazione complementare a partire dai 6 mesi. Una quota residua, infine, attende il raggiungimento dei 9-10 mesi. Sono i bambini stessi a “chiedere” in un certo senso di ampliare la propria dieta, mostrando interesse nei confronti di ciò che mangiano i genitori. Quanto alla capacità di poter introdurre alimenti diversi dal latte, dipende da due fattori: la maturazione dell’apparato digerente e lo sviluppo di alcune competenze neuromotorie (capacità di stare seduti, di “controllare” la testa, di afferrare il cibo con le mani o il cucchiaio, di masticare senza denti). Quasi tutti i bambini maturano la capacità di digerire e metabolizzare pressoché qualsiasi alimento attorno ai 4 mesi. Le capacità neuromotorie richiedono, invece, qualche mese in più. Ecco perché, come consiglio generale, si raccomanda di introdurre l’alimentazione complementare a partire dal sesto mese di vita.
Una volta raggiunto questo traguardo, da quali alimenti è opportuno iniziare? In passato ai genitori veniva suggerito di introdurre per prima la frutta, puntando sulla sua capacità di “sedurre” i bambini attraverso il sapore dolce. Oggi invece si ritiene che non ci sia una “scaletta” da seguire, valida per tutti. Le farine, con le creme di cereali passate al setaccio, costituiscono la base dell'alimentazione "salata" dei bambini piccoli. Si inizia in genere con la farina di riso, poi mais, orzo o tapioca, per evitare il possibile effetto allergizzante del glutine contenuto nel grano, che viene per questo introdotto intorno al decimo mese di vita. Potrebbe essere consigliabile privilegiare le farine integrali, non addizionate di zuccheri, sale e vitamine. La seconda categoria di alimenti che viene aggiunta comprende frutta e verdura. Quasi tutte le verdure, in crema, sono utilizzabili fin dalle prime fasi di divezzamento, anche come condimento delle creme a base di cereali. Le uniche che vengono inserite gradualmente nella dieta dei bambini intorno all’anno di vita sono le crucifere (cavoli e simili), i carciofi, l’aglio e la cipolla, dato che possono favorire la formazione di gas nell’intestino. In generale il consumo di verdure è fondamentale per garantire ai bambini un apporto adeguato di vitamine e minerali. Lo stesso vale per la frutta, che in età infantile va consumata soltanto fresca e frullata (non sotto forma di succhi o composte di frutta). In genere il primo frutto che viene dato a un bambino è la mela, a seguire la pera e, così via, tutti gli altri frutti seguendo la stagionalità. Come nel caso delle verdure, però, esistono delle eccezioni. La somministrazione di agrumi, pesche e fragole viene sconsigliata nel primo anno di vita, alla luce delle loro proprietà allergizzanti.
Importante è naturalmente anche l’apporto di proteine, attraverso i legumi, il pesce e la carne. Quest’ultima, se un tempo costituiva la base dell'alimentazione dei più piccoli, oggi ha un ruolo ridimensionato. La carne infatti, specie quella rossa, va consumata con molta moderazione fin dai primi anni di vita. Si consiglia piuttosto di privilegiare le carni bianche (pollo, tacchino, coniglio) e quella di vitello. Per lo stesso motivo oggi si tende a moderare anche il consumo dei latticini nell’alimentazione infantile, anche se rimangono molto importanti per l’apporto di calcio, dato che a questa età i bambini dovrebbero ingerirne tra 400 e 700 milligrammi al giorno. Il calcio si può assumere anche con i vegetali (bietole, spinaci, broccoli, cavoli, verze), i semi (sesamo, lino, chia: eventualmente da aggiungere alle pappe dopo averli ridotti in farina) e l’acqua minerale, con una dieta finemente regolata e sotto controllo medico. Quanto al pesce e alle uova, possono essere inserite nell’alimentazione dei bambini tra il decimo e il dodicesimo mese di vita (prima il tuorlo e poi anche l’albume, ben cotto). Pressoché analoghe sono le indicazioni per l’introduzione dei legumi nella dieta, come condimento per le creme a base di cereali. Da evitare del tutto, invece, salumi e insaccati. L'unico grasso ammesso nella cucina dei più piccoli è l'olio extravergine d'oliva, mentre il sale si può evitare.
In conclusione, per preparare pasti adeguati per i nostri bambini, basta ricordare tre semplici consigli: evitare lo zucchero aggiunto e iniziare il divezzamento con cibi naturalmente dolci, come le creme di frutta fresca e di verdure (per esempio le carote); passare poi a creme di cereali integrali ben setacciate per eliminare le fibre troppo aggressive per l’intestino dei bambini; e inserire gradualmente le creme di proteine da fonti vegetali (come i legumi) o dal pesce, ma non da crostacei e molluschi.
Fabio Di Todaro