Ultimo aggiornamento: 16 novembre 2020
Titolo originale dell'articolo: A cell-of-origin epigenetic tracer reveals clinically distinct subtypes of high-grade serous ovarian cancer
Titolo della rivista: Genome Medicine
Data di pubblicazione originale: 30 ottobre 2020
La forma più aggressiva di cancro ovarico non è un'unica malattia, ma due patologie distinte derivanti da cellule di tessuti diversi. La scoperta apre la strada a nuove linee di ricerca e potrebbe permettere di calibrare meglio le terapie esistenti.
Uno dei “misteri” biologici del carcinoma sieroso di alto grado dell'ovaio, una delle forme più aggressive della malattia, è stato chiarito. L'origine cellulare di questo carcinoma era infatti finora sconosciuta: alcuni dati facevano pensare che si sviluppasse dalle cellule dell’epitelio che riveste l’organo, mentre altri che derivasse dalle cellule di rivestimento della fimbria, la porzione terminale della tuba di Falloppio che si allarga verso l'ovaio. Ora, però, un gruppo di ricerca coordinato da Giuseppe Testa dell'Istituto europeo di oncologia (IEO) e dell'Università degli Studi di Milano ha scoperto che entrambi i tipi cellulari possono dare origine alla malattia: o, meglio, a due malattie distinte, con caratteristiche molecolari e aggressività differenti. I risultati dello studio, reso possibile dal fondamentale sostegno di Fondazione AIRC ai progetti sul carcinoma ovarico del laboratorio di Testa, sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Genome Medicine.
“Per arrivare a questo risultato ci siamo rivolti all'epigenetica, cioè all'insieme di meccanismi molecolari che, contribuendo a modulare l'espressione dei geni, assicurano che durante lo sviluppo i diversi tipi cellulari di un organismo assumano e mantengano nel tempo la loro identità” spiega Testa. In tutte le cellule di un organismo, infatti, i geni sono sempre gli stessi e quello che varia tra cellule di diverso tipo è il loro livello di espressione (cioè il fatto che siano attivi o inattivi, in base alla regolazione da parte dei meccanismi epigenetici). “Poiché le cellule differenziate di un organismo mantengono una memoria epigenetica della propria origine, ci siamo chiesti se lo stesso potesse valere anche per il tumore” racconta Pietro Lo Riso, tra gli autori principali dello studio insieme a Carlo Emanuele Villa.
Come marcatore epigenetico, i ricercatori hanno utilizzato il livello di metilazione del DNA, vale a dire la presenza di particolari gruppi chimici lungo la molecola di DNA. Tale livello è stato analizzato sia in tessuti sani (epitelio di rivestimento dell'ovaio e della fimbria) sia in tessuti tumorali ricavati da biopsie di pazienti. “Esaminando i dati raccolti anche con sofisticati strumenti di bioinformatica e intelligenza artificiale abbiamo scoperto che i tumori sierosi di alto grado presi in esame possedevano marcature epigenetiche specifiche di uno o dell'altro tipo cellulare e che quindi quelle che istologicamente appaiono come una sola malattia sono in realtà due patologie distinte, e non solo per quanto riguarda l'origine” afferma Villa. Come confermato anche dall'ulteriore analisi di una grande mole di dati contenuti in banche dati internazionali, i due sottotipi tumorali identificati si comportano infatti in modo diverso – con maggiore aggressività per quello derivato dall'epitelio ovarico – e sono caratterizzati da meccanismi molecolari differenti.
In prospettiva questi risultati apriranno la strada per nuove ricerche volte a identificare bersagli terapeutici più specifici per ciascun sottotipo tumorale. “Inoltre, sapere che una forma è più aggressiva dell’altra potrebbe permettere di calibrare meglio anche le terapie già esistenti” conclude Testa.
Valentina Murelli