Ultimo aggiornamento: 23 agosto 2018
Se la malattia resiste alle cure, l'aggiunta di pazopanib può migliorare la prognosi.
Titolo originale dell'articolo: Pazopanib plus weekly paclitaxel versus weekly paclitaxel alone for platinum-resistant or platinum-refractory advanced ovarian cancer (MITO 11): a randomised, open-label, phase 2 trial
Titolo della rivista: The Lancet Oncology
Data di pubblicazione originale: 1 maggio 2015
I risultati di uno studio italiano sostenuto da AIRC indicano la via per un possibile miglioramento delle cure per il tumore dell'ovaio, una forma di cancro che purtroppo è ancora difficile da curare. Nello studio, chiamato MITO11, si sono in particolare studiate circa settanta donne con tumori dell'ovaio che non rispondevano alla chemioterapia standard (una combinazione di farmaci a base di platino) o che in pochi mesi dopo un primo miglioramento sviluppavano resistenza ai farmaci.
Il gruppo MITO, coordinato da Sandro Pignata e Francesco Perrone all'Istituto nazionale tumori - Fondazione Pascale di Napoli, include oltre 60 centri italiani dedicati allo studio dei tumori dell'apparato ginecologico. "In questo studio, i cui risultati sono stati pubblicati su Lancet Oncology, abbiamo osservato che l'aggiunta di un altro farmaco chiamato pazopanib, al trattamento standard con paclitaxel, aumenta in maniera statisticamente significativa il tempo che intercorre prima che la malattia ricominci a progredire" spiega Francesco Perrone, responsabile delle sperimentazioni cliniche dell'istituto napoletano. "Come ci si poteva aspettare, la combinazione dei due farmaci è risultata più tossica, ma nel complesso gli effetti collaterali osservati sono gestibili con le terapie di supporto disponibili nella pratica clinica. Inoltre alcuni di questi disturbi sono in realtà dovuti alla chemioterapia che, grazie alla combinazione con pazopanib, è stata somministrata più a lungo nel gruppo di donne che ricevevano, appunto, la combinazione".
Questo primo risultato non basta ancora per autorizzare l'uso del pazopanib nella pratica clinica, ma rappresenta una solida base per programmare ulteriori studi che possano confermarne i risultati in un maggior numero di donne. "La ricerca rinforza l'idea che il fenomeno dell'angiogenesi sia un meccanismo importante per la progressione dei tumori ovarici, dato che il farmaco agisce inibendo la capacità del tumore di crearsi i vasi sanguigni necessari al proprio nutrimento tramite, appunto, l'angiogenesi" conclude Sandro Pignata, direttore del Dipartimento uro-ginecologico del medesimo istituto.
Agenzia Zadig