Ultimo aggiornamento: 23 agosto 2018
La proteina p53, quando è mutata, trasforma gli stimoli infiammatori in segnali che rendono i tumori più aggressivi.
Titolo originale dell'articolo: HLA-haploidentical transplantation with regulatory and conventional T-cell adoptive immunotherapy prevents acute leukemia relapse
Titolo della rivista: Blood
Data di pubblicazione originale: 1 luglio 2014
Quando si ricorre a un trapianto di midollo per curare una leucemia c'è il rischio che le cellule immunitarie del donatore riconoscano le cellule del paziente come estranee e le attacchino, in una sorta di rigetto al contrario, il rigetto del trapianto contro l'ospite o graft versus host disease (GVHD), in inglese. Nei trapianti aploidentici, cioè quelli in cui c'è circa il 50% di compatibilità immunologica fra donatore e ricevente, "un'infusione di cellule T regolatorie (Tregs) e cellule T convenzionali (Tcon) può proteggere il paziente da questo evento, che da solo può compromettere l'efficacia della cura" spiega Andrea Velardi, responsabile del Programma Trapianto della struttura complessa di ematologia dell'Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia. In uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Blood i ricercatori italiani guidati da Velardi hanno dimostrato, con il sostegno di AIRC, che questo trattamento riduce al minimo anche il rischio di ricaduta della leucemia.
"Abbiamo trattato in tutto 43 pazienti adulti, di cui 33 con leucemia acuta mieloide e 10 con leucemia linfoblastica ad alto rischio" racconta Velardi. "Nel 95% dei casi il trapianto ha ben attecchito e solo 6 di loro (pari al 15%, una percentuale molto inferiore alla media) hanno sviluppato una malattia acuta del trapianto verso l'ospite di grado uguale o superiore a 2, cioè clinicamente rilevante".
Ma il dato più rilevante è stato il risultato a distanza di tempo: dopo quasi quattro anni (46 mesi) dal trapianto, più della metà di questi pazienti, che si erano presentati inizialmente con forme particolarmente gravi, stavano bene, senza segni di ripresa della malattia. Ricadute si sono verificate solo nel 5% dei pazienti, un'incidenza bassissima rispetto alla norma. "La nostra ricerca dimostra quindi che la capacità immunosoppressiva delle cellule Tregs può essere usata per impedire la reazione del trapianto verso il paziente, senza compromettere l'efficacia del trapianto stesso nei confronti della malattia" conclude Velardi. "Un risultato che è stato possibile grazie all'uso di modelli sperimentali murini, che ci hanno permesso di studiare il ruolo delle diverse popolazioni di cellule T in queste condizioni".
Agenzia Zadig