Ultimo aggiornamento: 16 luglio 2020
Titolo originale dell'articolo: SPOP Deregulation Improves the Radiation Response of Prostate Cancer Models by Impairing DNA Damage Repair
Titolo della rivista: Cancers
Data di pubblicazione originale: 4 giugno 2020
Il gene SPOP, coinvolto nei processi di riparazione dei danni al DNA, potrebbe anche essere usato come marcatore biologico per modulare la radioterapia nei singoli pazienti.
La radioterapia è utilizzata per il trattamento dei tumori della prostata localizzati ma clinicamente rilevanti. In genere questo approccio riesce a eradicare del tutto il tumore, ma nei pazienti meno sensibili alla terapia può verificarsi una ripresa della malattia. Ora, però, il gruppo di ricerca guidato da Nadia Zaffaroni, direttrice della Struttura complessa di farmacologia molecolare dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano, ha individuato una via molecolare che sembra svolgere un ruolo importante nel determinare la sensibilità alla radioterapia del tumore della prostata. La scoperta, descritta sulla rivista Cancers e ottenuta grazie al fondamentale sostegno di Fondazione AIRC, potrebbe aprire a nuove prospettive terapeutiche.
"Tutto sembra ruotare intorno al gene SPOP, il più frequentemente mutato nei tumori della prostata, con il 10 per cento dei pazienti circa che mostra mutazioni in questo gene" spiega Zaffaroni. Di recente si è scoperto che SPOP è coinvolto nei processi di riparazione dei danni che interessano il DNA, in particolare di un tipo di lesioni indotto dalla radioterapia. "Da qui l'idea di indagare sul possibile impatto delle alterazioni di SPOP sulla sensibilità dei pazienti alla radioterapia."
Attraverso esperimenti condotti sia in cellule di tumori della prostata cresciute in coltura sia in animali di laboratorio con tumori di origine umana, il gruppo di Zaffaroni ha confermato che l'impatto c'è. "Abbiamo osservato che le tre mutazioni di SPOP più di frequente presenti nei pazienti sono in grado di potenziare l'effetto delle radiazioni, rendendo il tumore più sensibile alla terapia. Lo stesso accade se si inattiva il gene tramite piccole molecole di RNA con funzioni regolatorie (siRNA e microRNA)." Questi risultati – ottenuti grazie a uno strumento in grado di irradiare piccoli animali con la stessa precisione di quelli usati per la radioterapia nei pazienti– potrebbero avere due importanti ricadute in ambito clinico.
"A breve termine" spiega Zaffaroni "si può pensare di utilizzare SPOP come marcatore biologico in grado di indicare la sensibilità di un tumore alla radioterapia, calibrando di conseguenza le dosi della radioterapia stessa per ottimizzarne l'efficacia, riducendo gli effetti collaterali. A lungo termine, invece, si potrebbe puntare su microRNA in grado di inattivare SPOP, per potenziare l'effetto della radioterapia in pazienti per cui è meno efficace." Per questo, però occorrerà ancora tempo, perché anche se alcuni micro RNA sono già impiegati in sperimentazioni cliniche, ci sono ancora alcune difficoltà da superare rispetto al loro impiego.
Valentina Murelli