Ultimo aggiornamento: 23 agosto 2018
Ricostruito a livello molecolare il percorso che porta alcune forme aggressive di cancro della prostata a trasformarsi in un tumore neuroendocrino, resistente alle terapie. Il risultato apre la strada allo studio di nuovi bersagli terapeutici.
Titolo originale dell'articolo: Divergent clonal evolution of castration-resistant neuroendocrine prostate cancer
Titolo della rivista: Nature Medicine
Data di pubblicazione originale: 1 febbraio 2016
Medici e ricercatori se lo chiedono da tempo: perché alcuni pazienti con tumori avanzati alla prostata smettono di rispondere ai farmaci? Parliamo di farmaci molto efficaci, che per un po' di tempo impediscono al tumore di rifornirsi di androgeni (ormoni fondamentali per la sopravvivenza delle cellule tumorali). A un certo punto però questi farmaci non funzionano più. A spiegare cosa verosimilmente accade è uno studio pubblicato su Nature Medicine da un'équipe internazionale di scienziati coordinati da Francesca Demichelis dell'Università di Trento, con colleghi della Weill Cornell University di New York.
I ricercatori si sono concentrati su un particolare fenomeno che si verifica in questi pazienti, e cioè la trasformazione del tumore da adenocarcinoma classico a cancro neuroendocrino. "Cambiano sia le caratteristiche istologiche, cioè forma e disposizione delle cellule, sia quelle molecolari" spiega Demichelis, che da anni, grazie al contributo di AIRC, si occupa dell'analisi molecolare di diverse sottoclassi di tumore alla prostata.
Gli studiosi hanno sequenziato il DNA di pazienti con adenocarcinoma puro, tumore neuroendocrino puro o forme intermedie tra i due. Inoltre hanno studiato, di tutti i geni, quali sono espressi e quali sono invece inattivinelle diverse forme. Un lavoro immenso, reso possibile dalla collaborazione di diversi specialisti: biologi e medici, ma anche informatici, fisici, matematici. "Abbiamo scoperto che i tumori neuroendocrini evolvono direttamente a partire dagli adenocarcinomi" racconta Demichelis. La trasformazione è il tentativo delle cellule tumorali di sopravvivere a una condizione molto difficile, cioè al trattamento con farmaci che inibiscono gli androgeni. Una volta avvenuto il cambiamento, il tumore non ha più bisogno degli ormoni e per questo diventa insensibile al farmaco che ne impedisce il rifornimento.
Dal punto di vista clinico sarebbe importante sapere quando avviene questo passaggio, per cambiare terapia al momento giusto. Per farlo, però, bisognerebbe effettuare biopsie periodiche delle metastasi, il che non è sempre possibile. "Stiamo lavorando alla possibilità di utilizzare le biopsie liquide, che si effettuano soltanto con un prelievo di sangue, per tenere sotto controllo le metastasi" spiega la ricercatrice. E non è tutto: l'analisi molecolare condotta, infatti, ha permesso di identificare una serie di possibili bersagli terapeutici, che potrebbero essere utili, in futuro, per la messa a punto di nuove terapie mirate.
Valentina Murelli