Tumore al pancreas: identificate le basi molecolari del trametinib per un’inedita strategia combinata con l’immunoterapia

Ultimo aggiornamento: 13 maggio 2024

Tumore al pancreas: identificate le basi molecolari del trametinib per un’inedita strategia combinata con l’immunoterapia

Titolo originale dell'articolo: Activation of endogenous retroviruses and induction of viral mimicry by MEK1/2 inhibition in pancreatic cancer

Titolo della rivista: Science Advances

Data di pubblicazione originale: 27 marzo 2024

In esperimenti di laboratorio sul tumore al pancreas, il farmaco antitumorale trametinib attiva l’espressione di molecole simili a quelle prodotte durante un’infezione virale. Quando questo inibitore viene associato a un immunoterapico, il tumore diventa più suscettibile all’azione del sistema immunitario e l’efficacia delle cure aumenta.

Un farmaco che da solo è noto essere inefficace contro l’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC), uno dei tumori più aggressivi e difficili da curare, ha prodotto una risposta terapeutica dopo essere stato usato in combinazione con un immunoterapico. Il gruppo di ricerca di Gioacchino Natoli, dell’Istituto europeo di oncologia (IEO) di Milano, ha studiato questa strategia in esperimenti con cellule di PDAC in coltura e con topi di laboratorio con questo tumore. Il trametinib utilizzato in questi studi è un antineoplastico già approvato per alcuni tipi di melanoma, neoplasie polmonari e pochi altri tipi di tumore. “L’efficacia terapeutica del trametinib contro il PDAC è quasi nulla” spiega Gioacchino Natoli. “Tuttavia, abbiamo deciso di focalizzarci sullo studio di questo farmaco perché, conoscendone con precisione il meccanismo di azione, prevedevamo che dovesse produrre qualche risposta nelle cellule tumorali.” Lo studio ha ricevuto il sostegno di Fondazione AIRC e la collaborazione di ricercatori dell’MD Anderson Cancer Center di Houston, negli Stati Uniti. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Science Advances.

“L’idea iniziale era che il trametinib potesse generare meccanismi di ‘synthetic letality’”, racconta Gioacchino Natoli, riferendosi al fenomeno per cui una terapia che inattiva uno specifico bersaglio molecolare può rendere il tumore sensibile a un secondo farmaco. “Ma dopo i primi esperimenti è venuto fuori qualcosa di diverso” commenta: “Nelle cellule di PDAC trattate con trametinib abbiamo visto che si attivava una risposta simile a quella osservata nelle infezioni virali, caratterizzata dalla produzione di molecole antivirali note come interferoni”. Da quel momento i ricercatori hanno cercato risposte a due nuovi quesiti, sorti dai primi risultati: come attivare una risposta virale in assenza di un virus, ma dopo il trattamento con trametinib, e come sfruttare questo fenomeno a scopo terapeutico.

Per rispondere alla prima domanda, i ricercatori hanno utilizzato sofisticate tecniche genomiche di sequenziamento. L’obiettivo era capire come variava l’espressione genica e l’attività delle sequenze di DNA regolatorie in cellule di PDAC trattate o non trattate con il trametinib. “All’origine dell’attivazione della risposta virale del sistema immunitario, abbiamo individuato alcuni retrovirus endogeni, ampie porzioni di genoma virale presenti nel nostro DNA” spiega Gioacchino Natoli. In condizioni normali l’attività dei retrovirus endogeni è continuamente tenuta sotto controllo e quindi quasi del tutto assente, ma il trametinib riesce a riattivarla e la conseguenza è l’espressione di specifiche molecole che agiscono come campanelli di allarme, segnalando al sistema immunitario la presenza di un pericolo. Nel complesso questo meccanismo viene chiamato viral mimicry, o mimetismo virale: si simula la presenza di un virus nella cellula per colpire un tumore.

“A questo punto ci siamo chiesti come potessimo utilizzare tale processo a fini terapeutici”, afferma Gioacchino Natoli. “Abbiamo provato a usare il trametinib come un sensibilizzante per l’immunoterapia”, ovvero come una sorta di preparatore del sistema immunitario, volto a massimizzare l’effetto del secondo trattamento. Il gruppo di ricerca ha quindi associato al trametinib la somministrazione di un inibitore dei check-point immunitari, in topi di laboratorio con PDAC. “A differenza dei due farmaci assunti singolarmente, la combinazione ha prodotto un effetto terapeutico molto significativo: ha aumentato la sopravvivenza di tutti gli animali di quasi il doppio e il 30 per cento di loro sono del tutto guariti, senza che si sia verificata tossicità”.

Entrambi i farmaci utilizzati negli esperimenti sono già approvati e utilizzati in clinica. Tuttavia, nonostante i risultati promettenti, la combinazione non può ancora essere usata in pazienti con PDAC perché l’effetto terapeutico è stato ottenuto cambiando gli attuali schemi di trattamento e i dosaggi. Come commenta Gioacchino Natoli: “Anziché usare il trametinib a basse dosi per un tempo prolungato, nello studio abbiamo aumentato il dosaggio e ridotto i tempi, per poi somministrare l’immunoterapico”. Prima che questa nuova strategia entri in clinica bisognerà quindi ripartire dagli studi clinici di fase I, necessari per verificarne la sicurezza, la tossicità e l’efficacia in gruppi di pazienti. Sarà un processo lungo, ma il gruppo di ricerca, oltre che sul sostegno di AIRC, può contare sulla collaborazione con ricercatori del MD Anderson Cancer Center di Houston, uno dei principali centri di ricerca traslazionale oncologica nel mondo.

  • Camilla Fiz

    Scrive e svolge attività di ricerca nell’ambito della comunicazione della scienza. Proviene da una formazione in comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste, in biotecnologie molecolari all’Università degli studi di Torino e in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi della stessa città. Oggi è PhD student in Science, Technology, Innovation and Media studies presso l’Università di Padova e collabora con diversi enti esterni. Il suo sito: https://camillafiz.wordpress.com/