Ultimo aggiornamento: 25 settembre 2018
Esperimenti all'Istituto Mario Negri di Milano hanno dimostrato in animali di laboratorio l'equivalenza tra regimi terapeutici con soli chemioterapici a diversi dosaggi o con in più un farmaco biologico.
Titolo originale dell'articolo: Tumor progression and metastatic dissemination in ovarian cancer after dose-dense or conventional paclitaxel and cisplatin plus bevacizumab
Titolo della rivista: International Journal of Cancer
Data di pubblicazione originale: 11 maggio 2018
Di fronte a un tumore, medici e ricercatori si chiedono di continuo quali siano i protocolli terapeutici migliori, in grado di massimizzare gli effetti antitumorali dei farmaci limitando i possibili effetti collaterali e il rischio che il tumore sviluppi resistenze. Nel caso del tumore dell'ovaio, i risultati di uno studio coordinato da Raffaella Giavazzi, dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, offrono un passo in avanti in questo senso. I dati sono pubblicati sull'International Journal of Cancer.
"La terapia standard per il tumore ovarico è la chemioterapia con platino e taxani, in particolare paclitaxel, somministrata ogni tre settimane, oppure una volta alla settimana, con un dosaggio complessivamente più elevato" spiega Giavazzi. "Più di recente alla chemioterapia è stato aggiunto il bevacizumab, un farmaco biologico che blocca la crescita di nuovi vasi sanguigni. Noi ci siamo chiesti se e come gli effetti dell'aggiunta di bevacizumab siano influenzati dallo schema e dalla dose di chemioterapia utilizzati".
I ricercatori, sostenuti da AIRC, hanno trattato con varie combinazioni di terapia topolini ai quali erano stati impiantati tumori ovarici di origine umana. Le combinazioni corrispondevano a diversi protocolli di chemioterapia e simulavano la somministrazione ogni settimana oppure ogni tre, con o senza bevacizumab. I dati ottenuti hanno mostrato che la chemioterapia con bevacizumab effettuata ogni tre settimane e quella settimanale a dosaggio più elevato, senza bevacizumab, sono equivalenti per efficacia. Un'informazione importante che, se confernata in uno studio clinico con i pazienti, potrebbe permette di modulare meglio la terapia, puntando dove possibile alla più tollerabile combinazione con bevacizumab.
Non è tutto. Grazie a un modello matematico di crescita tumorale già sviluppato, sempre con il contributo di AIRC, Giavazzi e colleghi sono riusciti a descrivere come cambiano nel tempo le caratteristiche dei tumori nei topolini trattati. Hanno osservato a un certo punto del trattamento un'inibizione della crescita, che però non si associa in modo automatico a un aumento della sopravvivenza. Non è ancora chiaro perché questo accada: l'unico modo per scoprirlo è continuare la ricerca.
Valentina Murelli