Ultimo aggiornamento: 7 febbraio 2019
Titolo originale dell'articolo: SMYD3 promotes the epithelial-mesenchymal transition in breast cancer
Titolo della rivista: Nucleic Acids Research
Data di pubblicazione originale: 14 dicembre 2018
Descritti nuovi dettagli del processo molecolare che rende le cellule di tumore del seno capaci di migrare e invadere altri tessuti: una conoscenza che potrebbe aprire a nuovi sviluppi terapeutici.
Descrivere in dettaglio i meccanismi molecolari che permettono a una cellula tumorale di staccarsi dalla massa di origine e invadere nuovi tessuti, dando così luogo a metastasi, è il primo passo necessario per mettere a punto terapie mirate. Nel caso del tumore del seno, come di altri tumori, un momento fondamentale di questo passaggio è la trasformazione delle cellule da epiteliali, che non hanno capacità di muoversi, a mesenchimali, capaci invece di migrare. Ora uno studio condotto da ricercatori dell'Università di Milano, coordinati dalla ricercatrice Giuseppina Caretti, chiarisce alcuni dei dettagli molecolari alla base di questa trasformazione. I risultati dello studio sostenuto da AIRC e Fondazione Cariplo sono pubblicati sulla rivista Nucleic Acids Research.
“La trasformazione da cellula epiteliale a cellula mesenchimale avviene attraverso riprogrammazione genetica: alcuni geni vengono inattivati e altri attivati, con il risultato di favorire la capacità di migrazione” spiega Caretti. “A noi interessava individuare eventuali geni coinvolti nella direzione generale di questo processo”. I ricercatori hanno dunque concentrato l’attenzione su una proteina chiamata SMYD3, già nota in ambito oncologico per promuovere la proliferazione delle cellule tumorali in alcuni tipi di tumore. “Con una serie di esperimenti eseguiti sia con linee cellulari tumorali sia con animali di laboratorio – in particolare pesci zebra, che permettono di seguire bene gli spostamenti delle cellule di tumore – abbiamo chiarito che SMYD3 favorisce davvero l'accensione di alcuni interruttori genetici che a loro volta spingono le cellule verso la trasformazione in senso mesenchimale”. A conferma dell'importanza di SMYD3 anche in ambito clinico, i ricercatori hanno scoperto, attraverso l'analisi di dati di pazienti presenti in apposite banche dati, che esiste una correlazione tra elevati livelli di questa proteina nel tumore e una prognosi meno favorevole della malattia.
Non è tutto. Caretti e colleghi hanno anche osservato che alcuni inibitori di SMYD3 sono in grado di rallentare la capacità di migrazione delle cellule tumorali nei pesciolini studiati. Un'osservazione che, se confermata negli esseri umani, potrebbe aprire la strada allo sviluppo di nuove terapie.
Valentina Murelli