Ultimo aggiornamento: 10 ottobre 2019
Titolo originale dell'articolo: Dynamics and genomic landscape of CD8+ T cells undergoing hepatic priming
Titolo della rivista: Nature
Data di pubblicazione originale: 2 ottobre 2019
Il primo passo è stata la descrizione, in topi di laboratorio, di alcuni meccanismi molecolari che rendono poco efficace la risposta immunitaria contro il virus responsabile della malattia, tra i primi fattori di rischio di cancro al fegato.
Riattivare le difese immunitarie contro il virus dell'epatite B in forma cronica: è quanto è riuscito a fare, almeno nei topi, il gruppo di ricerca guidato da Matteo Iannacone dell'IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, con un lavoro decisamente importante se si considera che la malattia, che rappresenta uno dei primi fattori di rischio per il cancro del fegato, colpisce nel mondo più di 250 milioni di persone, soprattutto in Paesi a basso e medio reddito, ma non solo. I risultati dello studio, reso possibile dal sostegno di Fondazione AIRC, sono stati pubblicati sulla rivista Nature.
Il primo passo per far ripartire un sistema immunitario inefficiente è capire che cosa non funzioni. A questo proposito, i ricercatori hanno concentrato la loro attenzione su un tipo particolare di cellule del sistema immunitario – i linfociti T di tipo CD8 – perché sono proprio quelle che dovrebbero attaccare e distruggere il virus. “A volte" spiega Iannacone "l'attacco funziona e l'infezione viene debellata, mentre altre volte non riesce e l'infezione diventa cronica. La conseguenza è uno stato di infiammazione costante, responsabile dell'evoluzione della malattia verso cirrosi e cancro.”
Due gli approcci principali utilizzati nello studio condotto con i topolini: anzitutto la microscopia intravitale, una tecnica messa a punto dallo stesso Iannacone che permette di seguire singole cellule in azione in tempo reale. “Così abbiamo scoperto che nell'epatite B cronica i linfociti T funzionano male fin dal loro primo contatto con le cellule infette del fegato.” In secondo luogo l'analisi dell'espressione genica di queste cellule, messa a confronto con quella di linfociti T CD8 “efficienti”, che ha permesso di tracciare un identikit molecolare molto dettagliato della loro alterazione. Identikit che, tra l'altro, si è rivelato diverso rispetto a quello dei linfociti T inefficienti nel combattere infezioni di altri virus o tumori.
Iannacone e colleghi hanno anche cominciato a testare una serie di molecole con lo scopo di individuarne alcune in grado di risvegliare i linfociti T inefficienti, interferendo con le vie molecolari associate alla disfunzione. “Siamo solo all'inizio" sottolinea il ricercatore "ma abbiamo scoperto che molecole già usate per il trattamento di alcuni tumori, come gli inibitori dei checkpoint immunitari, non sono efficaci nel contesto dell'epatite B cronica, diversamente da una molecola, chiamata interleuchina 2, che si è rivelata in grado di riattivare il sistema immunitario contro il virus sia nei topi sia in colture cellulari umane.”
Valentina Murelli