Ultimo aggiornamento: 16 ottobre 2020
Titolo originale dell'articolo: Engineered Ferritin Nanoparticles for the Bioluminescence Tracking of Nanodrug Delivery in Cancer
Titolo della rivista: Small
Data di pubblicazione originale: 28 agosto 2020
Sono nanoparticelle a base di ferritina messe a punto da un gruppo di ricerca dell'Università di Milano Bicocca: i risultati degli ultimi esperimenti preclinici ne mostrano l'efficacia come trasportatori di farmaci specifici per le cellule tumorali.
Portare il farmaco proprio là dove serve, cioè all'interno delle cellule tumorali, evitando che interferisca con il funzionamento delle cellule sane: è l'obiettivo della “drug delivery”, il campo di ricerca che punta a sviluppare metodi di somministrazione mirata dei farmaci, e che sempre più si avvale del contributo delle nanoscienze e nanotecnologie. Alcuni dei tentativi nel campo puntano a costruire vettori in grado di trasportare agenti antitumorali in modo specifico nelle cellule tumorali e di liberare farmaci al loro interno. Un esempio sono le nanoparticelle derivate dalla ferritina – una proteina naturalmente presente nelle cellule umane – sviluppate dal NanoBioLab dell'Università di Milano Bicocca guidato dal professor Davide Prosperi.
Le nanoparticelle di ferritina utilizzate nel laboratorio di Prosperi hanno due proprietà molto interessanti: “Anzitutto” spiega il professore “sono nanoparticelle biomimetiche, cioè di origine biologica del tutto biocompatibili rispetto ai tessuti umani. Inoltre hanno la capacità di essere riconosciute in modo specifico da una molecola, il recettore 1 della transferrina, abbondantemente presente sulla superficie di quasi tutte le cellule tumorali umane”. Finora però non si sapeva se queste nanostrutture fossero capaci, oltre che di legarsi alle cellule tumorali, anche di rilasciare al loro interno i farmaci diretti contro la malattia.
Per scoprirlo, Prosperi e colleghi hanno inventato un meccanismo ingegnoso, legando alle nanoparticelle una molecola – la luciferina – che in particolari condizioni diventa bioluminescente e dunque facilmente riconoscibile. Perché questo accada, la luciferina deve essere rilasciata per interagire con l'enzima luciferasi, e i ricercatori hanno testato dunque il sistema in cellule tumorali modificate appositamente in modo da contenere questo enzima. Si è visto così che, una volta raggiunto il citoplasma della cellula tumorale, il legame tra la nanoparticella-vettore e la luciferina si spezza e quest'ultima molecola può reagire con la luciferasi, sviluppando bioluminescenza. “Significa che quanto trasportato dalle nanoparticelle – in questo caso la luciferina, ma lo stesso varrebbe per farmaci specifici – non va perso nei pressi della cellula tumorale, ma effettivamente raggiunge il compartimento cellulare nel quale deve agire” commenta Prosperi, sottolineando che per ora il risultato è stato osservato in cellule in coltura e in topolini di laboratorio.
I risultati dello studio, condotto grazie al fondamentale sostegno di AIRC, sono stati pubblicati sulla rivista Small.
Valentina Murelli