Ultimo aggiornamento: 11 giugno 2024
Misurando i livelli di DNA libero circolante si potrebbero identificare i pazienti con prognosi peggiore e che potrebbero beneficiare di trattamenti più incisivi
Titolo originale dell'articolo: Prognostic impact of pretreatment cell-free DNA concentration in newly diagnosed peripheral T-cell lymphomas
Titolo della rivista: British journal of haematology
Data di pubblicazione originale: 4 gennaio 2024
Misurando i livelli di DNA libero circolante si potrebbero identificare i pazienti con prognosi peggiore e che potrebbero beneficiare di trattamenti più incisivi.
I linfomi a cellule T rappresentano circa il 15-20 per cento di tutti i linfomi. Rispetto alla gran parte di quelli a cellule B, tendono ad avere una prognosi peggiore. Inoltre, a oggi è difficile discriminare i pazienti in cui il tumore ha carattere di maggiore aggressività e che necessitano fin da subito di trattamenti più incisivi.
In uno studio coordinato da Paolo Corradini, direttore della Divisione di ematologia della Fondazione IRCCS Istituto nazionale dei tumori di Milano e ordinario all’Università statale di Milano, i ricercatori potrebbero aver trovato una strada da seguire per arrivare in maniera semplice a stratificare i pazienti. I risultati dello studio, sostenuto anche da Fondazione AIRC, sono stati pubblicati sul British Journal of Haematology.
“Abbiamo condotto questa ricerca su pazienti che partecipavano a uno studio prospettico nazionale che coordiniamo, in cui si valutava se intensificare la terapia potesse migliorare la sopravvivenza” spiega Corradini. A fianco di questa di sperimentazione clinica, i ricercatori stanno studiando se esistono caratteristiche biologiche del tumore che consentano di classificare meglio i pazienti. Si tratta di indagini complesse, che possono contribuire alla comprensione dei meccanismi alla base della malattia, e, in prospettiva, anche all’identificazione di nuovi trattamenti. Tuttavia, spesso si ha difficoltà a portare i frutti di queste ricerche nella pratica clinica quotidiana.
“Per questo abbiamo pensato di verificare un’ipotesi che si è già dimostrata corretta nei linfomi a cellule B, e cioè il fatto che avere alti quantitativi di DNA libero circolante, rilasciato sia dalle cellule sane sia da quelle tumorali, possa essere un indicatore di peggiore prognosi” spiega Corradini.
Per misurare i livelli di DNA libero circolante basta un semplice esame del sangue e l’analisi può essere eseguita in quasi tutti i centri.
I risultati della ricerca, che ha coinvolto 75 pazienti, hanno mostrato che questo indicatore, misurato dopo la diagnosi di linfomi a cellule T, può essere altamente affidabile. In particolare, i pazienti che avevano i più bassi quantitativi di DNA circolante avevano probabilità di sopravvivenza a 5 anni fino a 9 volte maggiori rispetto a quelli con i livelli più alti.
“Probabilmente, i livelli di DNA circolante fotografano in maniera semplice l’aggressività biologica del tumore e la sua propensione a diffondere nell’organismo cellule che vanno in circolo” illustra l’ematologo.
Se questi risultati saranno confermati in ricerche più ampie, si potrebbe disporre di uno strumento semplice ed economico per indirizzare ciascun paziente al trattamento più appropriato. “Per esempio, si potrebbe decidere di sottoporre i pazienti con alte quantità di DNA circolante ‒ per i quali, quindi, ci si aspetta una prognosi peggiore ‒ già in prima linea al trapianto di cellule staminali emopoietiche allogeniche” dice Corradini. “Oggi questo approccio non è seguito perché i rischi connessi alla procedura sono troppo elevati per quella parte dei pazienti in cui il tumore sembra essere meno aggressivo” conclude.
Antonino Michienzi