Ultimo aggiornamento: 7 dicembre 2020
Titolo originale dell'articolo: Increased tumor burden in patients with chronic myeloid leukemia after 36 months of imatinib discontinuation
Titolo della rivista: Blood
Data di pubblicazione originale: 5 novembre 2020
Anche in pazienti che sospendono la terapia senza andare incontro a ricadute continuano a esserci cellule leucemiche, per fortuna incapaci di replicarsi. La loro semplice presenza, tuttavia, suggerisce la necessità di proseguire i controlli sul lungo periodo.
Per i pazienti con leucemia mieloide cronica che assumono il farmaco biologico imatinib, interrompere la terapia quando la malattia è in remissione è possibile ma va fatto con cautela, prevedendo controlli periodici anche sul lungo periodo per individuare per tempo un'eventuale recidiva. Lo affermano i risultati di un lungo studio clinico relativo proprio alla sospensione dell'imatinib in pazienti con leucemia mieloide cronica in remissione, pubblicati sulla rivista Blood dal gruppo di ricerca coordinato da Carlo Gambacorti-Passerini, professore di ematologia all'Università di Milano Bicocca e direttore dell'Unità di ematologia dell'Ospedale San Gerardo di Monza.
Lo studio ha seguito 107 pazienti, trattati con imatinib per alcuni anni, dopo la sospensione del farmaco. Circa la metà è andata incontro entro un anno a una ricaduta, con necessità di riprendere la terapia. “Sorprendentemente, i dati raccolti mostrano una relazione inversa tra l’età dei pazienti e rischio di recidiva, che risulta più elevato per i giovani rispetto agli anziani” spiega Gambacorti-Passerini. Un'altra osservazione sorprendente riguarda i pazienti che non hanno sviluppato recidive: “Utilizzando la cosiddetta ‘digital PCR’, un metodo di analisi molecolare particolarmente sensibile perché in grado di rilevare quantità molto basse di cellule leucemiche nel sangue, abbiamo scoperto che nella grande maggioranza di questi pazienti sono ancora presenti cellule leucemiche. Si tratta però di cellule che non crescono e non si moltiplicano, forse perché il loro DNA è ormai troppo danneggiato per consentirlo”.
La scoperta di cellule leucemiche incapaci di replicarsi nonostante la sospensione della terapia rappresenta un nuovo quesito biologico molto interessante, ma può avere anche significative ripercussioni cliniche. “Suggerisce una particolare cautela nel modo di seguire nel tempo questi pazienti, per cui è opportuno da parte dei clinici programmare uno o due controlli all'anno anche dopo gli usuali cinque anni di follow up, per escludere una ricaduta” commenta l'ematologo. “Anche se le cellule residue appaiono incapaci di replicarsi, la possibilità che acquisiscano una nuova mutazione in grado di ‘rigenerarle’ non può essere del tutto esclusa. E se la leucemia dovesse ripartire occorrerebbe riprendere la terapia.” Secondo Gambacorti-Passerini questo approccio potrebbe essere valido anche nel caso di pazienti che siano stati curati con inibitori diversi da imatinib.
Lo studio è stato condotto grazie al contributo di Fondazione AIRC, ritenuto dall'ematologo “importantissimo per garantire una ricerca di qualità e indipendente, non condizionata da interessi commerciali”.
Valentina Murelli