Ultimo aggiornamento: 23 agosto 2018
Identificato il sottotipo di linfociti T modificati geneticamente, trapiantati e capaci di persistere più a lungo nei pazienti con leucemia. Una scoperta che renderà ancora più efficaci le nuove strategie di cura.
Titolo originale dell'articolo: Tracking genetically engineered lymphocytes long-term reveals the dynamics of T cell immunological memory
Titolo della rivista: Science Translational Medicine
Data di pubblicazione originale: 1 dicembre 2015
Sulla carta l'idea è semplice: usare i linfociti T - cellule del sistema immunitario capaci di riconoscere e aggredire cellule estranee o anomale - come strumenti in più per combattere il cancro. In clinica le cose sono sempre un po' più complicate, ma l'approccio è già alla base di alcune sperimentazioni, come quella partita nel 2000 a Milano per il trattamento della leucemia acuta con una combinazione di trapianto di midollo osseo e infusione di linfociti T, entrambi da donatore. In particolare, i linfociti erano stati modificati geneticamente in modo da poter essere inattivati se avessero dato qualche complicazione.
Dopo 15 anni Chiara Bonini e colleghi dell'Ospedale San Raffaele di Milano sono tornati a studiare il sistema immunitario di alcuni di quei pazienti, per vedere che cosa fosse successo alle cellule T trapiantate. I risultati del loro lavoro, pubblicati su Science Translational Medicine, aprono la strada a strategie di terapia genica sempre più efficaci.
"Esistono diversi sottotipi di cellule T della memoria, ma noi non sapevamo quali, tra quelli infusi all'inizio della sperimentazione, fossero i più capaci di persistere a lungo" dichiara Bonini. Il fatto che quelle cellule fossero geneticamente modificate era un vantaggio: avevano una sorta di marchio che le rendeva riconoscibili. Così è stato possibile verificare quali fossero ancora presenti nel sistema immunitario dei pazienti. Un lavoro lungo e complesso, basato sul sequenziamento e l'analisi del DNA di migliaia di cellule diverse e reso possibile grazie al contributo fondamentale di AIRC. In questo modo Bonini e colleghi hanno scoperto che, anche se all'inizio erano stati infusi vari sottotipi di linfociti T modificati, la maggior parte di quelli ancora presenti nei pazienti derivava da un unico sottotipo, le staminali della memoria immunitaria.
"Avere capito quali cellule T trapiantate persistono è importantissimo, perché ci permette di sapere su quale sottotipo puntare per le prossime sperimentazioni di terapia genica" commenta Bonini. "Se a resistere più a lungo sono le staminali della memoria immunitaria, è meglio puntare direttamente su di loro". A questo punto, dunque, l'obiettivo è la messa a punto di staminali della memoria modificate appositamente per combattere in modo ancora più specifico le cellule tumorali.
Valentina Murelli