Il passaggio di stato che aiuta l’immunoterapia

Ultimo aggiornamento: 13 gennaio 2023

Il passaggio di stato che aiuta l’immunoterapia

Titolo originale dell'articolo: Tissue fluidification promotes a cGAS/STING cytosolic DNA response in invasive breast cancer

Titolo della rivista: Nature Materials

Data di pubblicazione originale: 29 dicembre 2022

La trasformazione da solido a liquido dei carcinomi mammari può diventare un bersaglio per il sistema immunitario, aumentando l’efficacia dell’immunoterapia.

Trovare nuove strategie per la cura dei tumori può richiedere grande inventiva. È così che a Giorgio Scita, a capo del laboratorio dei meccanismi di ricerca delle cellule tumorali dell’IFOM di Milano, è venuto in mente di provare a sfruttare il meccanismo responsabile della formazione delle metastasi, trasformandolo in un’arma utile per neutralizzare la stessa neoplasia. Grazie al sostegno di AIRC, il suo gruppo di ricerca ha potuto scoprire un nuovo modo di stimolare l'immunoterapia sfruttando la cosiddetta meccanobiologia, ossia lo studio dei meccanismi fisici e meccanici delle cellule. I risultati dello studio sono stati pubblicati sull’autorevole rivista scientifica Nature Materials. Giorgio Scita è anche professore ordinario di patologia generale presso la facoltà di medicina dell'Università degli studi di Milano.

Tutto è partito qualche anno fa, quando i ricercatori di IFOM avevano chiarito un particolare comportamento del carcinoma intraduttale mammario. Questo tipo di cancro prolifera all'interno dei dotti delle ghiandole, che ne modificano il comportamento. All’interno del dotto mammario, infatti, le cellule tumorali in fase di proliferazione vengono compresse, e la loro espansione ne è fortemente limitata. A questo punto si aprono due possibilità: nel 70 per cento circa dei casi la neoplasia regredisce spontaneamente, mentre negli altri casi inizia a formare delle metastasi. Scita col suo gruppo ha deciso di indagare su quel 30 per cento così aggressivo: “Nel 2019 abbiamo osservato che questi tumori possono cambiare le loro proprietà meccaniche e materiali, e da una massa rigida e inerte diventano un flusso liquido e mobile”. In questo modo le cellule neoplastiche riescono a superare le barriere che ostacolavano la loro progressione e a diffondere le proprie metastasi. Ma non è tutto: “Abbiamo constatato che la fluidificazione del tessuto tumorale è indotta dalla proteina RAB5A. Si tratta di una proteina che regola la capacità delle cellule di internalizzare membrane e recettori ed è anche spesso espressa in quantità notevole proprio nei tumori al seno più aggressivi”.

Partendo da questi risultati, Scita e i suoi colleghi hanno fatto un passo avanti con il nuovo studio. In alcuni esperimenti hanno scoperto che, durante il passaggio di stato, la cellula attiva il sistema immunitario innato e diventa resistente alla chemioterapia. La svolta è arrivata quando hanno capito che questo fenomeno poteva essere utilizzato per fare del tumore il bersaglio del sistema immunitario. “Potremmo sfruttare il cambio di stato indotto da RAB5A per rendere la neoplasia da immunologicamente fredda, ovvero non individuabile dal nostro sistema immunitario, a immunologicamente calda” spiega Scita. In questo modo la massa tumorale diventa “visibile” alle nostre difese e può essere neutralizzata.

Se i risultati saranno confermati in studi clinici, le implicazioni di questa scoperta saranno numerose per le pazienti con tumore mammario che esprimono RAB5A. Secondo il ricercatore, in un futuro prossimo “il 70 per cento circa delle pazienti potrebbe andare incontro a regressione, senza bisogno di un piano terapeutico. Le pazienti che invece esprimono nel tumore la proteina RAB5A vanno incontro a fluidificazione o attivano i meccanismi dell’immunità innata, e per questo potrebbero essere trattate efficacemente con l’immunoterapia.” In questa prospettiva, rilevare queste proprietà nelle pazienti di tumore mammario potrà permettere di distinguere tra chi ha una forma di tumore in regressione e chi invece debba essere indirizzato verso un percorso terapeutico, evitando così a chi non servono gli eventuali trattamenti inutili e i relativi effetti collaterali.

  • Camilla Fiz

    Scrive e svolge attività di ricerca nell’ambito della comunicazione della scienza. Proviene da una formazione in comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste, in biotecnologie molecolari all’Università degli studi di Torino e in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi della stessa città. Oggi è PhD student in Science, Technology, Innovation and Media studies presso l’Università di Padova e collabora con diversi enti esterni. Il suo sito: https://camillafiz.wordpress.com/