Gravidanza dopo il tumore al seno per le donne con mutazioni BRCA: una strada possibile

Ultimo aggiornamento: 5 marzo 2024

Gravidanza dopo il tumore al seno per le donne con mutazioni BRCA: una strada possibile

È sicuro intraprendere una gravidanza dopo essere guarite dal tumore al seno. I risultati di un nuovo studio sostenuto da AIRC lo dimostrano anche per le donne che presentano le mutazioni dei geni BRCA1 e 2.

Titolo originale dell'articolo: Pregnancy After Breast Cancer in Young BRCA Carriers An International Hospital-Based Cohort Study

Titolo della rivista: JAMA

Data di pubblicazione originale: 7 dicembre 2023

Per una donna non è pericoloso scegliere di avere una gravidanza dopo essere guarita dal tumore al seno. Lo dimostrano anni di evidenze scientifiche accumulate, ma spesso per una ex paziente ormai guarita è difficile prendere questa decisione. Secondo Matteo Lambertini, che lavora presso l’Ospedale policlinico San Martino e Università di Genova, sono due le cause principali: “La prima è legata alla durata delle terapie antitumorali”. Per esempio, le cure ormonali per le pazienti con tumori positivi ai recettori degli estrogeni possono durare fino a 10 anni, il che porta a posticipare la gravidanza e a limitare di conseguenza le possibilità di successo. “La seconda motivazione è dovuta alla reticenza, ancora molto diffusa tra i medici, nell’incoraggiare donne con una storia pregressa di tumore al seno ad avere una gravidanza. Anche se ormai sappiamo che non ci sono basi scientifiche, anche tra i medici c’è spesso il timore che la gravidanza possa aumentare il rischio di recidiva.” Questa credenza è stata smentita ancora una volta, come emerge dai risultati dello studio coordinato da Matteo Lambertini, nell’ambito di una collaborazione internazionale e grazie al sostegno di Fondazione AIRC. Con il suo gruppo Lambertini ha analizzato la possibilità di avere una gravidanza sicura per pazienti con tumore al seno e mutazioni dei geni BRCA1 o BRCA2. I dati sono stati pubblicati a dicembre 2023 sulla rivista JAMA.

Tra il 45 e il 70 per cento delle donne che presentano mutazioni dei geni BRCA1 e 2 sviluppa un tumore alla mammella entro i 70-80 anni. Infatti, queste alterazioni genetiche compromettono la capacità di riparazione del DNA aumentando il rischio oncologico per il seno, come pure per altri organi, tra cui le ovaie e il pancreas. Benché siano tra i fattori predisponenti più noti, sono mutazioni relativamente rare, per cui nel complesso è difficile condurre indagini scientifiche in questo gruppo di pazienti. “Prima di questo studio, nessuno era mai riuscito a mettere insieme una casistica così ampia di giovani donne con alterazioni BRCA e una storia di neoplasia al seno, provenienti da Paesi e culture diverse”, commenta Matteo Lambertini, che ha guidato il progetto dal nascere. Dopo anni di lavoro, il programma è partito dall’Ospedale policlinico San Martino e Università di Genova fino a coinvolgere 78 centri di ricerca sparsi tra l’Europa, l’Asia, l’Australia e l’America.

Hanno così preso parte allo studio 4.732 donne con mutazioni BRCA1 e 2 che hanno ricevuto una diagnosi di tumore al seno a uno stadio precoce prima dei 40 anni, tra il 2000 e il 2020. Le pazienti incluse avevano in media 35 anni e i loro dati clinici sono stati monitorati per circa 8 anni. Entro 10 anni dalla diagnosi circa il 22 per cento delle partecipanti ha avuto almeno una gravidanza con percentuali di complicazioni, come aborti indotti o spontanei, in linea con la popolazione generale. Si tratta di risultati ancora più positivi rispetto alle evidenze scientifiche raccolte fino a oggi, e sono diverse le motivazioni.

Per Matteo Lambertini, “le persone con mutazioni dei geni BRCA tendono a ricevere una diagnosi di tumore al seno più precocemente rispetto alla popolazione generale”. Infatti, chi è consapevole di avere queste mutazioni effettua più controlli e identifica prima il tumore, quindi è più giovane quando termina le cure e ha così maggiori possibilità di incorrere in una gravidanza. “Inoltre voglio credere che negli ultimi anni siano stati sempre meno gli oncologi che hanno scoraggiato una gravidanza alle donne con mutazioni BRCA, alla luce dei numerosi studi che ne dimostrano la sicurezza.” Infine, è stato fondamentale lo sviluppo di nuove cure e il miglioramento dei protocolli terapeutici. “Ovviamente, tutto parte dal fatto che si guarisce più di frequente dal tumore alla mammella”, afferma Matteo Lambertini: “Più persone sopravvivono al tumore, più diventa importante occuparsi della vita dopo la malattia”.

Dopo questi risultati, il gruppo di ricerca di Matteo Lambertini si sta muovendo in due direzioni. Da un lato continua ad aggiornare i dati di questo studio, cercando di aumentare ulteriormente la casistica. Dall’altro gli scienziati desiderano comprendere il rischio di infertilità delle donne trattate con le recenti cure a bersaglio molecolare. “Per le pazienti con mutazioni BRCA e diagnosi di tumore al seno, studieremo la tossicità per le gonadi dei nuovi farmaci, inclusa la terapia con i PARP inibitori” conclude Matteo Lambertini. “Sono farmaci già usati nella pratica clinica e anche per questo dobbiamo ottenere il prima possibile delle risposte.”

  • Camilla Fiz

    Scrive e svolge attività di ricerca nell’ambito della comunicazione della scienza. Proviene da una formazione in comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste, in biotecnologie molecolari all’Università degli studi di Torino e in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi della stessa città. Oggi è PhD student in Science, Technology, Innovation and Media studies presso l’Università di Padova e collabora con diversi enti esterni. Il suo sito: https://camillafiz.wordpress.com/