De-intensificare: una possibile chiave per la cura di alcuni tumori alla prostata

Ultimo aggiornamento: 26 maggio 2025

De-intensificare: una possibile chiave per la cura di alcuni tumori alla prostata

Titolo originale dell'articolo: ADT with SBRT versus SBRT alone for hormone-sensitive oligorecurrent prostate cancer (RADIOSA): a randomised, open-label, phase 2 clinical trial

Titolo della rivista: The Lancet Oncology

Data di pubblicazione originale: 1 marzo 2025

Il trattamento diventa meno invasivo per i pazienti con un tumore alla prostata metastatico nelle prime fasi, se alla radioterapia stereotassica corporea si unisce una breve cura ormonale.

Nei pazienti con tumore alla prostata oligometastatico, la combinazione di una radioterapia di massima precisione con una breve somministrazione del trattamento ormonale standard ha contrastato con successo la ricomparsa della malattia, senza indurre gravi effetti collaterali. Alla base di questo nuovo approccio vi è l’idea di de-intensificare, ovvero ridurre i dosaggi per rendere meno invasivo il trattamento, mantenendo o aumentando la sua precisione ed efficacia. Sono i più recenti risultati dello studio clinico RADIOSA, pubblicati sulla rivista The Lancet Oncology. La ricerca è condotta all’Istituto europeo di oncologia (IEO) di Milano, grazie al sostegno di AIRC, dal gruppo di ricerca di Barbara Jereczek-Fossa, che dirige la Divisione di radioterapia presso lo IEO ed è professoressa ordinaria di radioterapia presso l’Università degli studi di Milano.

Vengono chiamati oligometastatici i casi di cancro che presentano un limitato numero di metastasi, in media non più di 3, e di piccole dimensioni. “Per i pazienti con tumore alla prostata oligometastatico non esiste uno standard di cura” spiega Jereczek-Fossa. “Fino a pochi anni fa, venivano trattati con la terapia ormonale, che però è stata studiata e sviluppata principalmente per coloro che hanno tante metastasi. Negli ultimi anni si è iniziata a usare la radioterapia stereotassica corporea.” Si tratta di una radioterapia particolare che, rispetto a quella comune, utilizza radiazioni a dosi più alte ma su volumi più piccoli. “È una specie di chirurgia virtuale, dove si usano le radiazioni al posto dei bisturi” commenta la ricercatrice. “Grazie all’alta precisione del trattamento, la tossicità è ridotta al minimo e viene ben tollerata dai pazienti. Inoltre, è facilmente accessibile ai pazienti in circa 200 centri specializzati in tutta Italia.”

Proprio per queste sue proprietà, la radioterapia stereotassica corporea è stata studiata negli ultimi anni per sostituire o affiancare la cura ormonale di deprivazione androgenica, che è un punto di riferimento per il tumore alla prostata. Come suggerisce il nome, questo approccio inibisce la capacità delle ghiandole dei testicoli di produrre ormoni, come il testosterone, che in uno stato tumorale favoriscono la crescita delle cellule neoplastiche. Oltre all’azione antitumorale, però, il trattamento provoca anche numerosi effetti collaterali, tra cui affaticamento, osteoporosi, perdita della libido e disfunzione erettile, che peggiorano se la terapia viene assunta per molti mesi o anni. Secondo Jereczek-Fossa, “per una malattia minima come quella dei pazienti oligometastatici, ha senso cercare terapie molto più circoscritte e meno invasive”. Da qui l’idea di de-intensificare.

I ricercatori hanno deciso di raccogliere i dati sulla risposta alla radioterapia stereotassica da sola con o senza una cura ormonale breve di 6 mesi, in uno studio clinico retrospettivo e randomizzato di fase 2. L’idea iniziale era di includere almeno 160 pazienti con tumore alla prostata che avevano seguito uno dei due approcci di cura, ma alla fine sono stati di meno. “È stata una scelta molto difficile. Quando siamo arrivati a circa 100 partecipanti abbiamo dovuto smettere di coinvolgerne altri, perché abbiamo iniziato a osservare una grande differenza tra i due gruppi” spiega la ricercatrice. “Dopo 3 anni dall’inizio dello studio, nella maggior parte dei casi coloro che tornavano in ospedale con le recidive erano stati trattati con la sola radioterapia stereotassica. A quel punto non era più etico continuare lo studio.” Tale osservazione è stata poi confermata dai dati. I pazienti sottoposti alla radioterapia insieme alla cura ormonale hanno sviluppato in media meno metastasi a oltre un anno di distanza rispetto a quelli trattati con la sola radioterapia. L’efficacia della combinazione si aggiunge a una minima tossicità e a un veloce recupero dei livelli di testosterone precedenti alla terapia.

Jereczek-Fossa sottolinea, però, che alcuni pazienti con una malattia meno aggressiva non hanno ricevuto vantaggi dalla cura ormonale. Riuscire a individuare i sottogruppi da trattare soltanto con la radioterapia stereotassica significherebbe quindi riuscire a rimuovere le metastasi e ridurre al minimo gli effetti collaterali. Ora il gruppo di ricerca sta aggiornando i dati dello studio clinico a 5 anni dall’inizio per misurare l’effetto dei due approcci sulla sopravvivenza generale. Questa informazione è importante perché la combinazione terapeutica possa diventare una prassi per la cura dei pazienti con tumore alla prostata oligometastatico.

  • Camilla Fiz

    Scrive e svolge attività di ricerca nell’ambito della comunicazione della scienza. Proviene da una formazione in comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste, in biotecnologie molecolari all’Università degli studi di Torino e in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi della stessa città. Oggi è PhD student in Science, Technology, Innovation and Media studies presso l’Università di Padova e collabora con diversi enti esterni. Il suo sito: https://camillafiz.wordpress.com/