Ultimo aggiornamento: 23 agosto 2018
Alcuni ricercatori italiani hanno messo a punto un'importante strategia per migliorare le probabilità di successo del trapianto di midollo da un donatore familiare parzialmente compatibile nei pazienti con leucemia.
Data di pubblicazione originale: 1 aprile 2015
Il trapianto di cellule staminali emopoietiche da un donatore non identico (indicato con il termine tecnico "HLA-parzialmente compatibile") si sta progressivamente affermando come un'efficace alternativa per quei pazienti che, pur avendo bisogno di un trapianto di midollo, non possono contare su un donatore compatibile all'interno del gruppo familiare o nei registri dei donatori volontari di cellule emopoietiche.
Per aumentare il successo della procedura, le cellule da trapiantare sono manipolate prima dell'intervento, in modo da diventare più "accettabili" per il ricevente. Nello specifico, si rimuovono in modo selettivo i linfociti T di tipo alfa-beta, le cellule del sistema immunitario che possono determinare l'aggressione nei confronti dei tessuti del ricevente. In tal caso si verifica la cosiddetta malattia del trapianto contro l'ospite o, in inglese, graft-versus-host disease, ma con la nuova strategia l'eventualità si riduce marcatamente anche in caso di trapianto da donatore HLA-parzialmente compatibile. "In uno studio che abbiamo appena pubblicato su Blood abbiamo esaminato come, dopo il trapianto, la prima popolazione di linfociti che si ricostituisce è quella dei T linfociti gamma-delta. Questi linfociti sono molto importanti perché recentemente si sono dimostrati in grado di svolgere un'azione sia anti-infettiva, sia anti-tumorale" spiega Franco Locatelli, responsabile dell'Unità operativa di oncoematologia dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma, che ha coordinato il lavoro sostenuto da AIRC. Lo studio è nato da una collaborazione fra i gruppi di ricerca coordinati da Franco Locatelli e Lorenzo Moretta, dell'Istituto Gaslini di Genova; in particolare ha contribuito alle ricerche all'interno del gruppo genovese Irma Airoldi, che è anche primo autore dell'articolo pubblicato. Nello studio i ricercatori hanno anche dimostrato che la ricostituzione di linfociti T gamma-delta positivi può essere accelerata da infezioni virali come quella da citomegalovirus. "La ricerca ha anche dimostrato che un farmaco già usato da molti anni contro l'osteoporosi, l'acido zoledronico, è in grado in vitro di moltiplicare il numero di queste cellule 'protettive' e di rendere le cellule leucemiche più suscettibili al loro attacco" conclude Locatelli. Il prossimo passo sarà quello di portare i risultati sperimentali in studi clinici. Il fatto che il farmaco non sia sperimentale, ma una "vecchia conoscenza" già approvata e in commercio, permetterà di accelerare i tempi per validare clinicamente la strategia.
Agenzia Zadig