Ultimo aggiornamento: 24 agosto 2018
Il trattamento aggressivo che riduce il rischio di infarti e ictus in pazienti con policitemia vera non aumenta gli effetti collaterali, né aumenta la possibilità che la malattia si trasformi in una leucemia.
Titolo originale dell'articolo: Cardiovascular Events and Intensity of Treatment in Polycythemia Vera
Titolo della rivista: The New England Journal of Medicine
Data di pubblicazione originale: 1 gennaio 2013
Nella policitemia vera ci sono troppe cellule nel sangue e l'ingorgo favorisce la comparsa di trombosi nelle arterie e nelle vene. Ciò si può tradurre in un maggior rischio di infarti e ictus. Per evitare queste gravi conseguenze nei pazienti ad alto rischio di trombosi, i medici usano la chemioterapia per ridurre il numero di cellule ematiche, come complemento ai tradizionali salassi (o flebotomia). Fino a che punto arrivare, però, senza rischiare che queste cure causino effetti collaterali potenzialmente anche gravi come la trasformazione della malattia ematologica in una vera e propria leucemia?
Il parametro di riferimento si chiama ematocrito e indica, in percentuale, il volume del sangue occupato dalle cellule rispetto alla parte liquida costituita dal plasma. Un valore che è tipicamente molto elevato nei soggetti con policitemia vera.
Le indicazioni seguite dalla maggior parte degli esperti suggerivano di insistere con le cure fino a che questo valore avesse raggiunto valori uguali o inferiori al 45%. Finora però non era mai stato dimostrato con uno studio randomizzato e controllato, e quindi metodologicamente ineccepibile, che il trattamento necessario per raggiungere questo livello di ematocrito determinasse un reale beneficio per il paziente e, soprattutto, che non favorisse la comparsa di una leucemia.
La prova che la cura è efficace e sicura viene oggi da uno studio tutto italiano, chiamato Cyto-PV, condotto anche grazie al contributo dei fondi raccolti con il 5 per mille da AIRC e pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine. «La ricerca ha preso in considerazione 365 pazienti con policitemia vera e la tipica mutazione del gene JAK2 che caratterizza questa malattia» spiega Alessandro Maria Vannucchi, dell'Università di Firenze, che ha partecipato alla ricerca insieme con Tiziano Barbui degli Ospedali Riuniti di Bergamo e Roberto Marchioli dell'Istituto Mario Negri Sud. «I risultati dimostrano che, portando il valore di ematocrito pari o inferiore al 45%, si può ridurre di circa quattro volte la frequenza di trombosi, infarti e ictus fatali. E ciò senza aumentare il rischio di complicanze gravi, inclusa la leucemia».
Agenzia Zadig