Ultimo aggiornamento: 19 ottobre 2023
Titolo originale dell'articolo: Spatial predictors of immunotherapy response in triple-negative breast cancer
Titolo della rivista: Nature
Data di pubblicazione originale: 6 settembre 2023
In Italia, il cancro al seno triplo negativo colpisce circa 8.000 donne ogni anno, soprattutto sotto i 50 anni d’età, e secondo i dati dell’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) rappresenta il 15 per cento circa dei casi di tumore al seno. Il suo nome deriva dal fatto che la maggior parte delle cellule di questo tumore non esprime 3 proteine presenti in altri tipi di neoplasie della mammella: in questo tumore non si trovano i recettori degli estrogeni, i recettori del progesterone e il fattore di crescita epiteliale HER-2. Tra i trattamenti più comuni per il tumore al seno ci sono terapie mirate che usano proprio quelle proteine come bersagli, per cui fino a pochi anni fa le opzioni di trattamento per il tumore al seno triplo negativo erano limitate alla sola chemioterapia.
In questo contesto, Giampaolo Bianchini, responsabile dell’oncologia della mammella presso l’IRCCS ospedale San Raffaele di Milano, ha ottenuto dalla Fondazione AIRC un finanziamento per un progetto di ricerca che puntava a chiarire i meccanismi alla base dell’efficacia dell’immunoterapia contro il cancro al seno triplo negativo. Uno studio che precorreva i tempi, poiché, come spiega Bianchini, all’epoca “non c’erano ancora immunoterapie approvate e disponibili contro questo tipo di tumore. Il progetto nasceva dall’idea che, nel momento in cui queste terapie si fossero dimostrate efficaci contro il cancro al seno triplo negativo, ci si sarebbe chiesti quali pazienti potessero beneficiarne e perché.” Chiarire questi meccanismi apre la strada alla possibilità di trovare nuove strategie terapeutiche.
I risultati di uno studio internazionale di cui Bianchini è uno dei responsabili scientifici sono stati recentemente pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature. Gli scienziati hanno studiato 660 campioni donati da pazienti con tumore al seno triplo negativo, ottenuti grazie alla collaborazione della Fondazione Michelangelo. Questi campioni erano infatti stati raccolti nell’ambito di uno studio sostenuto anche dalla Fondazione Michelangelo, chiamato NeoTRIP, nel quale era stata confrontata l’efficacia della sola chemioterapia con quella della chemioterapia associata a un immunoterapico, l’atezolizumab. Nello studio guidato anche da Bianchini i ricercatori hanno individuato la presenza e la posizione di 43 proteine sulle cellule tumorali e del sistema immune grazie a un metodo estremamente sofisticato: la citometria di massa per immagini (imaging mass cytometry). A guidare la procedura, uno dei massimi esperti mondiali di questa metodica, Raza Ali, patologo del Cancer Research UK Cambridge Institute.
In questo modo, il gruppo di ricerca ha individuato 3 fattori che potrebbero aiutare a selezionare le pazienti con il cancro al seno triplo negativo potenzialmente in grado di beneficiare dell’immunoterapia. Il primo fattore è il tipo e la quantità delle diverse cellule immunitarie coinvolte nella risposta al tumore. “I sottotipi di cellule che sembrano in grado di fornire più informazioni sono quelli che presentano antigeni specifici e che sappiamo avere un ruolo chiave nell’orchestrare la risposta del sistema immune” spiega Bianchini. Il secondo fattore è lo stato funzionale di queste cellule, in particolare la proliferazione, e cioè quanto queste sono attive. In questo contesto, “le cellule CD8 sono le più informative. Si tratta di cellule chiave nella capacità di eliminare il tumore, che esprimono una proteina chiamata TCF1 e sono proliferanti” specifica Bianchini. “Alcune pubblicazioni di dati preclinici su diversi tipi di tumore già facevano pensare che le cellule CD8 fossero particolarmente importanti, ma noi lo abbiamo dimostrato nelle pazienti. È un progresso significativo nella conferma del loro ruolo chiave.” Infine, il terzo fattore: l’immunoterapia sembra essere più efficace se specifiche cellule immunitarie hanno interazioni strette con quelle tumorali, ovvero si trovano a diretto contatto.
Altri importanti risultati dello studio sono emersi confrontando biopsie eseguite prima dei trattamenti, biopsie eseguite dopo un ciclo di terapia e campioni chirurgici delle pazienti che dopo la terapia non avevano raggiunto l’eliminazione completa del tumore. Infatti, un’analisi ha mostrato che alcune cellule immunitarie, chiamate linfociti T citotossici, sono più presenti nelle pazienti guarite ed erano già individuabili nelle biopsie eseguite dopo il primo ciclo di terapia. “Questo potrebbe essere in futuro un modo efficace per fare una valutazione precoce del possibile beneficio dei trattamenti e, eventualmente, decidere di cambiare la terapia in caso non si osservi un beneficio clinico.” Le cellule sopravvissute al trattamento immunoterapico mostrano invece una maggiore presenza della proteina CD15, suggerendo la possibilità che si tratti di un meccanismo di resistenza acquisita all’immunoterapia: un dato molto preliminare, da studiare ulteriormente per possibili importanti risvolti terapeutici.
In conclusione, gli esiti di questa ricerca rappresentano un possibile passo importante per l’immuno-oncologia di precisione. Se fosse possibile prevedere l’efficacia dell’immunoterapia nel cancro al seno triplo negativo, studiando i tipi di cellule tumorali presenti e la loro disposizione nello spazio, potrebbe infatti essere possibile sviluppare dei test che indichino a quali pazienti consigliare l’immunoterapia, adattando il trattamento alle esigenze della persona, e quali invece indirizzare verso strategie alternative.
Jolanda Serena Pisano