Ultimo aggiornamento: 1 novembre 2020
Simone ha superato "l'avventura" del sarcoma di Ewing e oggi può alzarsi ogni giorno allegro per andare a scuola.
Quando riesci a definire il cancro un'avventura, con tanto di supereroi, vuol dire che sei una famiglia speciale. E quella di Ilaria Giavalisco lo è senza dubbio. Ne fanno parte questa dolce mamma, il marito e il figlio Simone.
Vivono a Trieste, ma quando “l'avventura” è iniziata erano ancora a Roma, pronti proprio a trasferirsi. Poi tutto è cambiato.
Siamo nel 2014, Simone cade su un gonfiabile a una festa di compleanno e si fa male al piede sinistro. La classica radiografia non evidenzia nulla, ma il fastidio continua. “Un giorno andiamo dall'ennesimo ortopedico che, per fortuna, ha un'illuminazione e nota una macchiolina al piede” racconta Ilaria. La biopsia li mette davanti a una realtà innegabile: Simone ha un sarcoma di Ewing al primo stadio. Non c'è tempo da perdere, bisogna iniziare la chemioterapia, poi asportare la parte malata e prevedere altri cicli di chemio. “Quando sei genitore, ti auguri che tuo figlio non fumi e non frequenti cattive compagnie. Non pensi mai che potrebbe avere un tumore, è qualcosa per cui sei completamente impreparato. Per fortuna, siamo stati catapultati in quello che noi abbiamo chiamato il tapis roulant, ovvero un percorso serrato e organizzato, un protocollo di ricoveri e cure in cui non hai tempo per pensare, ma ci sono medici e professionisti bravissimi che ti prendono per mano e ti portano dall'altra parte della riva.”
Certo, il percorso per arrivarci è tortuoso. La chemioterapia debilita Simone e anche l'intervento lascia diverse cicatrici, non solo fisiche. “In ospedale lui entrava in una sorta di anestesia esistenziale: non parlava con nessuno, tranne che con me, non faceva quasi nulla, cercava solo di sopravvivere. È stato un eroe, ha avuto una resilienza unica.”
Ilaria e il marito proteggono il loro eroe e cercano di donargli un po' di normalità. Perché questa malattia è un'esperienza deflagrante per una famiglia: può unirla ma anche disgregarla. “Noi ci siamo stretti ancora di più. Non abbiamo nascosto il dolore a nostro figlio, siamo sempre stati onesti perché volevamo che lui fosse consapevole di ogni passo da fare. Ci sono state notti di sofferenze, pianti disperati nel bagno prima dell'operazione, ma anche tanti sorrisi quando la situazione migliorava. Lui ha frequentato le lezioni scolastiche in corsia e quelle normali in classe se la salute lo permetteva. E un giorno, anche se era parecchio provato, l'ho portato alla fiera del fumetto che sognava da tempo: aveva bisogno di non sentirsi sempre malato.”
Perché lui stava combattendo contro il cancro, ma rimaneva un ragazzino come tanti, con il suo mondo, le sue passioni e i suoi amici. Proprio loro si sono rivelati una "cura" speciale: nessuno batte ciglio davanti alla testolina senza capelli o al piede mutilato. “Hanno preso atto delle novità con quella franchezza e quella semplicità che solo gli adolescenti hanno. Per loro Simone è sempre rimasto Simone, e questo lo ha aiutato a sgombrare il campo dalla pesantezza e a riprendere fiato.”
Oggi questo ragazzo ogni mattina si sveglia allegro per andare a scuola. “Mi dà un bacio e io penso che questo gesto normale sia un dono, dopo quello che abbiamo passato. Anzi, che ha passato: io sono solo una mamma come tante. Il vero protagonista, con la sua forza, è stato lui e quelli che, come lui, vivono un'avventura del genere.”