La storia di Caterina

Dopo aver passato la vita lavorando con i bambini Caterina ha deciso con una parte dei risparmi di ricordare il marito Bruno finanziando giovani ricercatori.

 

Per ottenere il diploma di scuola media dovette attendere la fine della guerra, poi le toccò aspettare ancora, scalpitando, che il fratello tornasse dal servizio militare prima di ottenere di lasciare Pianezze. “Sono la più grande di cinque fratelli, di cui tre maschi, ma sono sempre stata ‘pochina’” racconta Caterina. “Mio papà Beniamino parlando di me diceva sempre ‘è poca ma l’è un gran de pepi’, intendendo che sono piccolina ma sono come un granello di pepe”. Energica e inarrestabile, riuscì a far valere il suo desiderio di cambiare aria: “A un certo punto ho cominciato a darmi da fare per convincere tutti”. Prima tappa, Firenze, all’Istituto Meyer a imparare il mestiere di vigilatrice d’infanzia. Era il 1958, e Caterina aveva 25 anni: “Il corso durava due anni e costava 15.000 lire al mese, ma un giorno la direttrice mi chiamò e mi propose di sostenere un esame sugli argomenti che ci erano stati spiegati dai pediatri. Io accettai, senza neanche sapere che con quelle risposte avrei vinto la borsa di studio che copriva la retta, assicurandomi alla fine degli studi un posto di lavoro, nel quartiere romano di Centocelle, assunta in quella che all’epoca si chiamava l’Opera Nazionale per la maternità e l’infanzia. In quell’asilo nido con 150 bambini cominciò anche a gestire l’economato: “Dovevamo rendere conto anche di un ago, ma io sono sempre stata precisina” racconta sorridendo seduta nella cucina della sua villetta di Pianezze, non lontano da Bassano del Grappa, le cui finestre affacciano sulle montagne. A casa era tornata una prima volta dopo un anno a Roma, perché l’avevano chiamata a lavorare nella vicina Marostica. Poi però aveva accettato di spostarsi a Legnano: “Ho lavorato anche a Busto Arsizio, e ovunque sia andata mi sono sempre sentita molto apprezzata”.

Grandi donazioni, la storia di Caterina

A Legnano conosce Bruno, con cui mette su casa: “Una villa costruita con cura, fatta bene” ricorda. “Abbiamo sempre condiviso tutto, e deciso tutto insieme” racconta. A metà degli anni ottanta tornano insieme a Pianezze. Quando lei è vittima di un crollo vertebrale con dolori fortissimi che la costringono al ricovero e a lunghi periodi a letto, lui si demoralizza un po’ ma è sempre al suo fianco nel lungo recupero, mentre Caterina impara a convivere con una protesi mobile dell’anca e con le stampelle.

Insieme affrontano la diagnosi di carcinoma della prostata che obbliga Bruno alla radioterapia. Il tumore è controllato, ma a pochi giorni dalle nozze d’oro lo sorprende un’embolia polmonare. “È andato via serenamente, senza soffrire” si consola Caterina. Rimasta sola ad amministrare i loro risparmi di una vita, Caterina decide di donare per aiutare i suoi nipoti e per sostenere il lavoro di alcune organizzazioni che apprezza. Così formalizza la sua volontà attraverso alcune disposizioni testamentarie ma, al contempo, inizia a donare fin da subito: “Per me, veneta parsimoniosa, la ricerca è un investimento che darà i suoi frutti sul medio-lungo termine, ma non vedo perché dovrei aspettare per fare la mia parte. Le organizzazioni a cui ho donato, come anche i miei nipoti, hanno bisogno di sostegno oggi!”.

È serena e convinta della scelta che ha fatto anche perché sente che il suo Bruno continua a essere al suo fianco e condivide la sua decisione di donare. “Lui sarebbe stato d’accordo” dice spesso e con fierezza.

Con AIRC, dopo una prima grande donazione in memoria del marito, Caterina ha scelto di istituire una borsa di studio biennale per un giovane ricercatore. Una borsa intitolata a Bruno “Per ricordarlo e per contribuire a ottenere nuove conoscenze: la ricerca è importante!”