La storia di Lidia

Per mantenere vivo il ricordo di suo marito Eduardo, un medico che aveva scelto di fare il ginecologo per avere a che fare con le nascite, Lidia ha scelto di sostenere una borsa di studio a lui intitolata. Una donazione che le fa pensare a lui in questo modo, come a qualcosa che rimane viva e che in futuro possa dare frutti.

«È difficile da spiegare».

Lidia ci mette un po’ a trovare le parole quando le si chiede cosa si prova a vedere il nome del marito Eduardo associato a una borsa di studio per sostenere una giovane scienziata impegnata nella ricerca sul cancro.

Poi comincia a raccontare: «Mio marito era un medico; aveva scelto di fare il ginecologo per avere a che fare con le nascite… con la vita, più che con la malattia. Questa donazione mi fa pensare a lui in questo modo, come a qualcosa che rimane viva. E che in futuro possa dare frutti».

Lidia ha 68 anni; ha lavorato in banca con soddisfazione a lungo, ma quando si è presentata l’occasione per andare in pensione l’ha colta. Il lavoro - soprattutto quello del marito fatto di orari lunghi e turni - li ha portati ad avere una vita, piena sì, ma «sacrificata», dice lei. «Mi è parso quindi giusto approfittare della possibilità di andare in pensione per avere il tempo di essere più vicini».

Tre anni fa, però, Eduardo è mancato a causa di un tumore.

«Quell’esperienza mi ha fatto toccare con mano che arriva un momento in cui la medicina allarga le braccia; è impotente», racconta. «All’inizio sembra tutto chiaro: ci sono i protocolli, le linee guida. Ma a un tratto c’è il buio totale».

Un buio che solo la ricerca può rischiarare, si dice Lidia, che così decide di fare un’importante donazione ad AIRC.

«Fino ad allora avevamo fatto piccole donazioni» racconta «sostenendo cause che ci avevano colpito o realtà che avevamo il piacere di aiutare. Facendo però il tutto in maniera molto poco strutturata. Questa volta, invece, avevo il desiderio di finalizzare la donazione verso uno scopo preciso: la ricerca sul cancro per sconfiggere questa malattia».

Il dono di Lidia è andato a sostenere il progetto di Alessia Vignoli, ricercatrice trentaduenne che sta cercando di sviluppare un test capace di individuare i pazienti con cancro del colon che sono a maggior rischio di recidiva. Avere in anticipo questa preziosa informazione consentirebbe di mettere in atto strategie terapeutiche su misura del paziente per battere sul tempo la malattia.

«Istintivamente all’inizio sono rimasta un po’ spiazzata», ammette Lidia ricordando l’incontro. «Si tende a idealizzare la donazione, ciascuno spera in un risultato eccezionale, che cambi la lotta al cancro. Poi, chiaramente, ho rimesso i piedi per terra e mi sono resa conto che la ricerca è fatta di piccoli passi. Che ogni lavoro è un piccolo granello che si aggiunge per arrivare all’obiettivo».

In questa prospettiva, anche le ricerche che non sembrano produrre risultati immediati possono essere i tasselli di un grande puzzle che in futuro potrebbe realmente ritrarre un mondo libero dal cancro.

«Per questo penso che valga la pena continuare a sostenerla. Il cancro è un campo ancora molto nebuloso e l’esperienza di mio marito in questo è esemplare: ci siamo accostati alla malattia con molta fiducia, convinti di poter vincere il tumore. Ci siamo invece scontrati con la realtà che, nonostante tutti i progressi compiuti, nella lotta al cancro c’è ancora molto da fare».

Alessia non è l’unica ricercatrice di cui Lidia ha fatto conoscenza in questi mesi. All’inizio dell’estate ha partecipato a un aperitivo con altri ricercatori e altri donatori. «È stato un modo per avere contatto con questa realtà. E avere la percezione che il tuo versamento va a persone competenti», dice Lidia. Quello a cui ha preso parte è stato un aperitivo un po’ anomalo: a causa della pandemia ciascuno dei partecipanti era collegato da casa, davanti alla propria webcam, seppure con l’apposito kit inviato da AIRC.

«In questo periodo sembra che il cancro non esista», dice. «Senza voler sminuire Covid-19, invece, di cancro ci si continua ad ammalare e a morire. Dedicarsi alla ricerca resta fondamentale».