Se si osserva al microscopio un campione di colon, si vede una struttura che ricorda un po’ la forma delle onde: “picchi” e “valli” che si ripetono in sequenza. Proprio in fondo a queste “valli” si trova un gruppo di cellule importantissime: sono le cellule staminali adulte, che danno continuamente origine a nuove popolazioni cellulari con cui l’epitelio intestinale si rigenera completamente ogni 2-3 giorni. Una velocità di ricambio altissima; ma non potrebbe essere altrimenti per un tessuto che è sottoposto costantemente a un enorme stress: acidi, enzimi, batteri, l’azione meccanica del passaggio degli scarti della digestione.
Questa vorticosa attività delle cellule staminali è anche all’origine del processo che può dare vita a tumori intestinali.
Lo scopo del mio progetto è proprio capire quali meccanismi portano le cellule staminali dell’intestino a dare origine al cancro. In particolare mi concentro sul ruolo di una proteina, di nome afadin, che svolge una funzione importante sia nella singola cellula, facendole assumere l’orientamento necessario a una corretta divisione cellulare, sia su scala più ampia, dato che funziona come una specie di collante in grado di tenere insieme più cellule, un aspetto fondamentale per mantenere intatta la barriera intestinale.
Stiamo cercando di capire in che modo l’eventuale assenza di questa proteina possa influenzare la trasformazione tumorale.Non ne sappiamo ancora molto, ma è possibile che quando afadin non è presente, la cellula vada incontro a divisione cellulare disordinata con conseguente accumulo di mutazioni genetiche che portano al cancro. Un’altra ipotesi è che quando manca il corretto contatto tra le cellule attigue, reso possibile dalla proteina, saltino i sistemi di controllo esterni alla cellula che pongono limiti alla divisione cellulare.
Per il momento si tratta di ipotesi, ma scoprire il ruolo di afadin potrebbe non soltanto dare un contributo alla comprensione delle dinamiche che portano all’insorgenza della malattia, ma anche porre le basi per nuove terapie.
A questo lavorerò nei prossimi tre anni all’Istituto Europeo di Oncologia grazie a una borsa iCARE-2 sostenuta da AIRC e dall’Unione europea. In questi mesi il lavoro ha subito, purtroppo, un rallentamento a causa della pandemia, ma uno dei vantaggi dell’avere ottenuto un grant che dura più anni è proprio la possibilità di recuperare i ritardi dovuti a eventuali imprevisti.
Allo IEO sono arrivato a febbraio del 2019 dopo aver passato i 5 anni precedenti nel Regno Unito, tra Cambridge e Londra, dove ho svolto un dottorato di ricerca al King's College. Sono stati anni importantissimi dal punto di vista professionale e personale, che ho condiviso con mia moglie Elisa, che è un tecnico di radiologia e si era trasferita in UK per un master.
Due anni fa, al termine del dottorato, ci è sembrato il momento giusto per decidere se continuare il nostro percorso professionale all’estero, dove stavamo molto bene, o tornare in Italia, per stare più vicino alle nostre famiglie e svolgere il nostro lavoro nel nostro Paese.
Abbiamo optato per il ritorno in Italia, a Milano, una città in grado di offrirci ottime opportunità professionali. Siamo riusciti a ottenere una stabilità lavorativa e cominciamo a coltivare l’idea di una famiglia. Per il futuro sogno di riuscire a costruire un gruppo di ricerca tutto mio.
Federico Donà
Università:
Istituto Europeo di Oncologia, Milano
Articolo pubblicato il:
23 novembre 2020