Tornare in Sicilia per fare ricerca al top

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Palermitano, 37 anni, Simone Di Franco studia il legame tra grasso e tumore del colon nell’Università della sua città. Dopo avere ricevuto una borsa di studio AIRC nel 2015, oggi è titolare di un My First AIRC Grant.

Ci racconti il tuo progetto di ricerca?

Da molti anni mi occupo di un segmento molto preciso della ricerca sul cancro, cioè il legame tra tessuto adiposo e cancro del colon. I risultati di molte ricerche hanno dimostrato che alti livelli di grasso corporeo costituiscono un fattore di rischio per l’insorgenza di questo tumore. Più di recente ci siamo accorti che il grasso favorisce anche la progressione della neoplasia, e che quindi nei pazienti in sovrappeso o obesi la malattia tende ad avere una prognosi peggiore. In precedenti studi avevo osservato che, sia nel tumore primario sia nei siti in cui il tumore forma metastasi, c’è una comunicazione diretta tra cellule tumorali e cellule adipose.

Nel nuovo studio cerco di andare a fondo in questo rapporto. La mia ipotesi è che un fattore chiave nella progressione del tumore nelle persone obese sia il fattore di crescita nervoso (NGF), una molecola originariamente identificata nel sistema nervoso da Rita Levi Montalcini. È possibile che questa molecola abbia un ruolo di mediazione nel dialogo tra le cellule tumorali e quelle adipose, e che favorisca quindi la capacità del tumore di proliferare e di formare metastasi. Se così fosse, NGF potrebbe rappresentare un nuovo bersaglio terapeutico su cui provare a intervenire per colpire il tumore.

Come ti sei avvicinato alla ricerca?

Ero abbastanza predisposto allo studio in ambito biomedico, ma mi sono reso conto che, per le mie caratteristiche, sarei stato meglio dietro le quinte che a contatto diretto con i pazienti. Ho così studiato biotecnologie. Poco tempo prima dell’inizio del mio tirocinio, sono per caso entrato in contatto con Giorgio Stassi, che guida un laboratorio di ricerca all’Università di Palermo. Suo figlio e il mio fratello più piccolo erano compagni di classe. Mi aveva invitato a visitare il suo laboratorio, dove ho finito per svolgere il tirocinio, e da allora non ho più smesso di frequentarlo. Ho iniziato un percorso di dottorato che mi ha anche dato l’opportunità di fare un’esperienza all’estero, ad Amsterdam, dove sono rimasto per circa tre anni, svolgendo anche un periodo di ricerca post-dottorato.

Quanto è stata importante AIRC nel tuo percorso?

Tantissimo. Fin dall’inizio della mia attività di ricercatore ho avuto la fortuna di lavorare in un laboratorio di alta qualità, quello appunto del professor Stassi, le cui ricerche sono da tempo sostenute da AIRC.

Il primo incontro personale con la Fondazione è avvenuto invece in occasione dal mio ritorno da Amsterdam. Terminato il post-dottorato, nel 2015, ho deciso di tornare a Palermo. L’unica condizione che mi ero dato per tornare era di andare in un posto in cui potessi lavorare ad alti livelli, perché sono convinto che la ricerca, se non riesce a essere di qualità, non ha alcuna utilità. Sapevo di poter trovare quello che cercavo nel laboratorio in cui ero cresciuto, e così sono tornato a casa, nonostante non avessi ancora un contratto né alcun finanziamento. In quel momento è arrivata la borsa AIRC.

Sono passati un po’ di anni da allora, ho ottenuto finanziamenti da altre charities e sono diventato un ricercatore dell’Università di Palermo. L’anno scorso è arrivato il secondo finanziamento AIRC, quello più prestigioso per i giovani ricercatori: il My First AIRC Grant (MFAG), che ora mi consentirà di sviluppare il mio progetto e compiere i primi passi per costruire un mio gruppo di ricerca indipendente.

Come vengono impiegate le risorse che AIRC ti ha affidato?

La gran parte del budget sarà speso per l’acquisto dei materiali necessari a svolgere la ricerca, che spesso hanno costi elevatissimi: materiali di consumo, terreni di coltura, cellule su cui fare gli esperimenti, anticorpi. Una parte sarà destinata all’acquisto di servizi da società esterne, per esempio le analisi più complesse dal punto di vista molecolare. Infine, attiverò una borsa di studio per arruolare un tecnico di laboratorio che mi supporti nel lavoro di ricerca.

Com’è la tua vita fuori dal laboratorio?

Da quando, due anni fa, è nato mio figlio faccio soprattutto il papà. La mia vita è diventata più monotona da alcuni punti di vista, ma da tanti altri sorprendentemente meravigliosa.

Oltre a ciò mi piace cucinare e fare sport. Nella mia vita ho fatto un po’ di tutto, e spesso a livello agonistico: basket, calcio, taekwondo. Inoltre, non appena riesco trascorro del tempo in compagnia di amici e parenti.

  • Simone Di Franco

  • Università:

    Università degli Studi di Palermo

  • Articolo pubblicato il:

    21 febbraio 2024