Le cellule linfoidi innate sono poche e ben nascoste, perché non circolano nel sangue, ma presidiano aree del nostro organismo poco accessibili come i rivestimenti dei polmoni e dell’intestino. Di queste cellule rare ed elusive la ricerca si è accorta da poco, grazie a innovazioni tecnologiche che ne hanno messo in luce non solo l’esistenza, ma anche il ruolo importante nella risposta immunitaria.
Le cellule linfoidi innate somigliano, nel comportamento, ai linfociti T, ma rispetto a queste cellule più conosciute sono più veloci: forniscono una risposta immediata quando le mucose sono aggredite da agenti esterni. Tuttavia, sembrano svolgere anche funzioni di regolazione, per esempio contribuiscono a garantire un perfetto funzionamento della barriera epiteliale dell’intestino.
Che cosa succede quando le cellule linfoidi innate sono alterate? Possono essere coinvolte, come altre cellule del sistema immunitario, nell’insorgenza e nella progressione del cancro? E se così fosse, è possibile farle diventare un nuovo bersaglio per fermare il tumore?
È a queste domande che cercheremo di rispondere con un progetto di ricerca sostenuto da AIRC che ci ha già fatto osservare che le cellule linfoidi innate presenti nelle biopsie di tumore del colon-retto risultano molto diverse da quelle presenti nella mucosa sana.
L’idea mia, e del mio gruppo di ricerca, è che il tumore abbia la capacità di alterare queste speciali cellule immunitarie, plasmandone il comportamento in proprio favore.
Per verificare questa ipotesi studieremo cosa avviene in topi di laboratorio che sviluppano un’infiammazione cronica dell’intestino e successivamente un tumore: seguiremo passo passo il cambiamento di queste cellule al progredire dell’infiammazione e quindi nella transizione a tumore.
Ciò non solo ci consentirà di conoscere un nuovo meccanismo alla base dell’insorgenza e della progressione del cancro al colon, ma potrebbe anche aprire le porte a nuove opzioni di trattamento. Per esempio, se scoprissimo che le cellule linfoidi innate contrastano lo sviluppo del tumore, potremmo cercare di potenziare quest’attività. Se invece troveremo un’azione pro-tumorale, potremo cercare il mode di inibire tale comportamento.
È presto per trarre conclusioni. Il lavoro è iniziato da appena qualche mese, giusto il tempo di avviare i primi esperimenti e cominciare a mettere su una squadra che lavorerà al progetto: per il momento un dottorando, un tecnico e una studentessa. Grazie al sostegno di AIRC, dunque, il mio laboratorio sta prendendo forma.
Ed era questo il mio obiettivo quando a fine 2016 sono tornato dagli Stati Uniti dopo sei anni ai National Institutes of Health, a Bethesda, un’esperienza fondamentale sia per la mia crescita come scienziato, sia per la cultura internazionale che ho respirato al di fuori del laboratorio.
Oggi, a due anni dal rientro in Italia, sto ancora cercando di riprendere i ritmi e le abitudini italiane. In particolare le passeggiate mi aiutano a liberare la mente e organizzare le idee, e poi ho la passione per l’Inter di cui sono tifoso sfegatato fin da bambino.
Giuseppe Sciume
Università:
Istituto Pasteur Italia - Fondazione Cenci Bolognetti - Università “La Sapienza” di Roma, Roma
Articolo pubblicato il:
2 luglio 2019