Lavorare in Usa è fantastico, ma il mio posto è l’Italia

Lavorare in Usa è fantastico, ma il mio posto è l’Italia

Quando ero molto più giovane non pensavo che mi sarei occupata di scienza durante la mia vita. Tanto che mi sono iscritta al liceo linguistico. Proprio in quegli anni, però, mi sono accorta che la biologia mi affascinava molto. Così ho cominciato a frequentare corsi pomeridiani per approfondire le materie scientifiche.

Da allora il mio percorso è proseguito nel solco di queste discipline e oggi occuparmi di ricerca sul cancro è per me un modo per sentirmi utile, poter fare quello che amo e allo stesso tempo cercare di dare il mio contributo per dare una speranza alle persone con malattie oncologiche.

Lavoro all’Università di Padova, dove ho svolto tutto il mio percorso accademico, salvo un semestre che è stato molto importante: sono stata negli Stati Uniti, a Boston, al Dana Farber Cancer Institute, una struttura affiliata alla Harvard Medical School.

Sono arrivata a Boston alla fine dell’estate 2018, con l’obiettivo di imparare una tecnica di terapia genica, la costruzione di vettori lentivirali. In pratica si usano virus resi innocui e modificati, per veicolare e inserire nelle cellule informazione genetica di nostro interesse.

L’esperienza negli Stati Uniti è stata fantastica. Dal punto di vista scientifico, mi ha consentito di imparare tecniche nuove e soprattutto di confrontarmi con un approccio completamente diverso alla ricerca. Ma è forse dal punto di vista umano e professionale che quel periodo mi ha dato di più: capisci che ce la puoi fare da un’altra parte del mondo, e questo ti dà una forza pazzesca.

Nonostante ciò credo che il mio posto sia l’Italia. Sono legata al nostro ambiente, al nostro stile di vita, ai nostri valori, alle persone che vivono qui. Non penso che potrei sradicarmi completamente da tutto questo.

Oggi sono tornata a Padova e il mio lavoro è sostenuto da AIRC tramite una borsa di studio. Sto collaborando a un progetto, a sua volta sostenuto da Fondazione AIRC, che ha l’obiettivo di indagare i meccanismi alla base della leucemia mieloide acuta pediatrica. Negli ultimi anni sono stati fatti importanti progressi nel trattamento di questo tumore, tanto che circa il 70% dei bambini che ne viene colpito guarisce completamente. Tuttavia, in circa un quinto dei casi si verifica una ricaduta che è molto più difficile da trattare rispetto alla malattia primaria. Si crede che all’origine delle recidive ci sia un gruppo di cellule – le cellule staminali leucemiche – che sfuggono alla chemioterapia e rimangono in uno stato dormiente fin quando non si rendono responsabili di una ripresa del tumore. L’obiettivo del mio progetto è trovare il modo di identificare queste cellule e indagare alcuni meccanismi chiave per la loro sopravvivenza, specie quelli che coinvolgono i mitocondri, gli organelli che forniscono energia alle cellule. Identificare questi meccanismi potrebbe portare alla messa a punto di nuove strategie terapeutiche in grado di provocare la morte delle cellule staminali leucemiche o, quanto meno, di renderle sensibili alle cure convenzionali.

Biografia

Nata a Treviso, si è laureata in Biologia Molecolare e poi in Biologia Sanitaria all’Università degli Studi di Padova. Nello stesso ateneo, dopo un’esperienza al Veneto Institute of Molecular Medicine (VIMM), ha anche conseguito un dottorato di ricerca in Medicina dello Sviluppo e Scienze della Programmazione Sanitaria, curriculum “Emato-Oncologia, Genetica, Malattie rare e Medicina predittiva”, lavorando presso il laboratorio di Oncoematologia Pediatrica dell’Università di Padova. Durante il dottorato ha trascorso un periodo a Boston, al Dana Farber Cancer Institute-Harvard Medical School, dove ha studiato tecniche di ingegneria genica. Oggi è tornata a Padova, dove è post-doc nel laboratorio della professoressa Martina Pigazzi e si occupa di leucemia mieloide acuta nei bambini.