La passione che trasforma l’oro in un’arma contro il cancro

 

È l’elemento nobile per eccellenza e per le sue caratteristiche, fin dalla notte dei tempi, è stato scelto per realizzare gli oggetti più preziosi.

L’oro è brillante, luminoso ma, soprattutto, mantiene queste caratteristiche nel tempo.

Tuttavia, quando è ridotto a dimensioni piccolissime, di milionesimi di millimetro, l’oro presenta caratteristiche fisiche inaspettate: per esempio interagisce in maniera particolare con la luce.

Queste caratteristiche sono oggetto di ricerca scientifica da non più di un secolo, tuttavia erano note già nel Medioevo, tanto che la polvere d’oro veniva usata per dare una particolare colorazione rossa alle vetrate delle cattedrali medievali.

Ora stiamo cercando di sfruttare queste proprietà per combattere il cancro. In particolare i tumori della testa e del collo, un gruppo di neoplasie per cui da decenni i miglioramenti sono scarsi.

Il nostro progetto, sostenuto AIRC, punta a sfruttare una serie di caratteristiche delle nanoparticelle d’oro che le rendono particolarmente promettenti nella lotta ai tumori.

La prima è la loro “affinità” con il cancro: grazie soprattutto alle dimensioni molto piccole, le nanostrutture tendono a essere attratte dalle cellule tumorali che hanno bisogno di molto nutrimento per alimentare la propria crescita tumultuosa. Le particelle si accumulano dunque dentro il tumore risparmiando quasi completamente le cellule sane.

La seconda caratteristica è la particolare interazione con la luce: quando le nanoparticelle d’oro vengono illuminate con una luce rossa, che è particolarmente penetrante per il nostro corpo, le particelle si scaldano fino a danneggiare irreversibilmente le cellule tumorali.

La terza caratteristica è la possibilità di utilizzare le nanoparticelle per trasportare farmaci chemioterapici direttamente nelle cellule tumorali. Ciò potrebbe consentire la messa a punto di trattamenti sinergici che utilizzino sia il riscaldamento sia un approccio farmacologico tradizionale, ma ben più mirato.

Questo approccio può essere inoltre ulteriormente potenziato da una quarta caratteristica: l’oro è un metallo ricco di elettroni, ciò significa che interagisce molto con i raggi X e quindi rende il tessuto tumorale più sensibile alla radioterapia.

Per tutte queste caratteristiche l’utilizzo delle nanoparticelle d’oro potrebbe rappresentare una efficace strategia antitumorale.

Tuttavia, c’è un problema che finora è stato il principale ostacolo al loro impiego. Le nanoparticelle convenzionali sono piccolissime (30-50 milionesimi di millimetro) ma non abbastanza piccole da essere eliminate dall’organismo: dopo aver svolto la loro azione si accumulano indefinitamente negli organi escretori, principalmente nel fegato, dove possono dare tossicità.

Per questa ragione abbiamo creato una struttura particolare che abbiamo chiamato “passion fruit”. Un nome che ci sembrava perfetto sia perché è il risultato della nostra passione per la ricerca, sia perché la sua conformazione ricorda quella del frutto della passione: ha una scorza dura, di vetro, che contiene all’interno semini d’oro di dimensioni molto più piccole di quelle convenzionali, tenuti insieme da speciali polimeri.

Dopo essere stata somministrata, questa struttura raggiunge il tumore. Qui, il guscio biodegradabile si scioglie rilasciando le particelle d’oro e queste, dopo aver assolto alla propria funzione, vengono escrete attraverso i reni.

I primi test sono molto positivi, occorreranno però degli anni prima che si possa arrivare a una sperimentazione negli esseri umani. Siamo comunque ottimisti e convinti che questo approccio possa aprire la strada a trattamenti più efficaci sia contro i tumori di testa e collo, sia contro altre neoplasie.

  • Valerio Voliani

  • Università:

    Istituto Italiano di Tecnologia, Pisa

  • Articolo pubblicato il:

    18 marzo 2020