Molto strano. Il mio rientro in Italia dopo circa 15 anni all’estero tra Spagna, Regno Unito e Stati Uniti non è stato come in genere ci si immagina l’inizio di un nuovo lavoro. Nel proprio Paese, per giunta; dove fino a oggi non avevo mai realmente lavorato. Le restrizioni e la riorganizzazione del lavoro imposte dalla pandemia, la differente organizzazione rispetto ai luoghi in cui avevo lavorato in precedenza lo hanno reso una specie di choc culturale.
Ho iniziato il mio lavoro all’Istituto Europeo di Oncologia a Milano il primo luglio scorso, dopo un ritardo di qualche mese dovuto al lockdown per Covid-19. Le limitazioni provocate dalla pandemia erano immediatamente visibili: turni per entrare, metà delle scrivanie vuote, difficoltà a “incastrare” gli appuntamenti. Tanto che non ho ancora potuto visitare tutti gli ambienti in cui lavorerò, né visto tutte le attrezzature. Spero comunque di poter iniziare a lavorare a pieno regime al più presto.
Qui allo IEO sono giunta grazie a una borsa iCARE-2 cofinanziata da AIRC e dall’Unione europea, con l’obiettivo di studiare le metastasi del tumore alla mammella, che rappresentano la principale causa di morte per questo tipo di malattia. Più in generale, il 90% delle morti per cancro è dovuta a metastasi, ovvero la formazione di tumori secondari on organi anche distanti dal tumore primario. Fin dalle prime fasi della malattia, i tumori solidi primari rilasciano cellule nei vasi sanguigni. Normalmente il sistema immunitario le uccide, ma una piccola parte sopravvive e aderisce alle pareti dei vasi di un organo. Qui possono rimanere dormienti anche per anni oppure fuoriuscire dal vaso sanguigno e dare luogo a una metastasi. Il nostro proposito è studiare il processo di formazione delle metastasi cercando di capire quali sono i geni che, in una prima fase, consentono a una cellula tumorale di migrare, poi di “selezionare” il tessuto da colonizzare e aderire ai suoi vasi e infine di diventare infiltrante. Per farlo, costruiremo in laboratorio modelli in 3 dimensioni in miniatura del tessuto vascolare di cervello, osso e polmone, i tre organi in cui il tumore al seno forma preferenzialmente metastasi. Ciò potrà consentirci di studiare le specificità delle singole cellule metastatiche e delle corrispondenti cellule endoteliali, con l’obiettivo di identificare le molecole chiave di questo processo, che, in futuro, potrebbero essere usate come bersagli terapeutici.
Sarà un lavoro lungo e di certo non semplice. Ma la ricerca è il lavoro che ho scelto e che faccio con passione. Una passione che negli ultimi anni mi ha portato anche a rinunciare a due proposte di posizioni accademiche per diventare professore perché la didattica avrebbe sottratto tempo alla ricerca.
Per quanto concerne le altre passioni, che sono molte, resta veramente poco tempo. I viaggi, l’arte in tutte le sue forme (quando vivevo a Londra, per esempio, appena possibile andavo alla Royal Opera House), lo sport. Il pattinaggio artistico sul ghiaccio, soprattutto. Una disciplina con cui ho un legame cominciato per caso quando avevo poco più di 10 anni e che mi ha portato a vincere alcune competizioni. Poi i professori hanno consigliato ai miei genitori di farmi smettere perché lo sport stava sottraendo tempo allo studio. Non fu l’unico consiglio poco azzeccato: per esempio mi invitarono a non iscrivermi il liceo scientifico. A me, però, piacevano la matematica e le scienze. Così andai contro le loro indicazioni e ora sono qui a occuparmi proprio di scienza.
Quanto al pattinaggio artistico, è stato un legame breve ma intenso. Tanto che ho fatto la volontaria alle Olimpiadi invernali di Torino 2006 e oggi, quando vado in montagna, porto sempre con me i pattini.
Camilla Cerutti
Università:
Istituto Europeo di Oncologia, Milano
Articolo pubblicato il:
15 luglio 2020