“Bolla magica”. Così chiamavamo Stanford: un posto in cui la qualità della vita è altissima; si andava al lavoro in bici pedalando in una perenne primavera, si viveva in un’università grandissima dove c’è tutto quel che occorre, dagli impianti sportivi ai supermercati, un vero villaggio di cervelli in cui quotidianamente qualche Nobel ti passa accanto. Alla Stanford University sono arrivato nel 2012 grazie a una borsa di studio FIRC, meno di due settimane dopo aver conseguito la specializzazione in Ematologia ed Immunologia clinica all’Università di Perugia. Poco dopo mi ha raggiunto mia moglie, con cui ci eravamo sposati appena prima di partire. Pensavamo di rimanere un anno, siamo rimasti più di quattro, stando così bene da decidere di far nascere lì i nostri figli, Leonardo Emanuele e Lavinia Rosa. E questo, nonostante fossimo soli e il lavoro fosse molto impegnativo.
Quella di Stanford è stata un’esperienza professionale fondamentale, che mi ha permesso di imparare tecniche complesse di laboratorio e di iniziare la mia produzione scientifica; soprattutto ha ampliato moltissimo la mia visione della ricerca e del modo di approcciare il paziente. Mi ha dato tanto anche dal punto di vista personale: oggi ho tantissimi amici che da Stanford sono andati in diverse parti del mondo e che sono diventati una sorta di famiglia allargata.
Sono passati ormai cinque anni dal ritorno in Italia, ma quel periodo lo ricordiamo come uno dei più importanti della nostra vita. Per il rientro AIRC ha avuto un ruolo importante, sostenendo il mio lavoro prima con una borsa iCARE cofinanziata dall’Unione europea e poi con un grant Start-up che mi ha permesso di avviare il mio laboratorio all’Università di Perugia. Qui sto studiando una strategia per rendere più efficace e sicuro il trapianto di midollo osseo nei pazienti con leucemia.
Nella mia esperienza a Stanford mi ero occupato di una particolare popolazione di cellule immunitarie, i linfociti T regolatori: il loro ruolo è modulare la risposta delle altre cellule immunitarie per evitare che questa diventi eccessiva e danneggi l’organismo. Si tratta di una funzione del sistema immunitario che può essere sfruttata nei pazienti con leucemia: somministrati prima del trapianto, i linfociti T regolatori aiutano a prevenire la malattia del trapianto contro l’ospite (in inglese “Graft versus Host Disease” o GvHD), una grave reazione immunitaria delle cellule trapiantate contro i tessuti della persona che le riceve. Il trapianto di midollo osseo è una delle opzioni di cura in vari tipi di leucemia. Stiamo cercando di comprendere in che modo i linfociti T regolatori esercitino questa azione preventiva e di studiare una strategia per renderli ancora più potenti nel contrastare questa complicanza. I linfociti T regolatori hanno però anche un’altra proprietà: creano una nicchia che protegge le cellule staminali del midollo. Poiché questa protezione consente una ricostituzione immunologica più sana, può anche rendere il trapianto più efficace. Le nostre prime ricerche hanno mostrato che, nelle leucemie acute mieloidi più difficili da trattare, la somministrazione di queste cellule prima del trapianto migliora notevolmente la sopravvivenza dei pazienti. Ora stiamo progettando uno studio clinico per confermare su una scala più ampia l’efficacia di questo approccio e per ottimizzare i protocolli terapeutici.
Nato a Castiglione del Lago (Perugia) nel 1981, si è laureato in Medicina e Chirurgia all’Università di Perugia e nello stesso ateneo ha conseguito la specializzazione in Ematologia ed Immunologia clinica. Si è quindi trasferito negli Stati Uniti, alla Stanford University. Nel 2016 è rientrato in Italia grazie a una borsa di studio iCARE cofinanziata da AIRC e dall’Unione europea, ottenendo successivamente un grant Start-up grazie al quale ha avviato un proprio laboratorio all’Università di Perugia. Qui è inoltre responsabile medico del laboratorio di Manipolazione cellulare.
Antonio Pierini
Università:
Università degli Studi di Perugia
Articolo pubblicato il:
13 dicembre 2021