Quali sono le peculiarità metaboliche delle cellule tumorali? E come fanno queste cellule a sopravvivere, nonostante siano caratterizzate da alterazioni nell’approvvigionamento energetico? E ancora: è possibile sfruttare queste peculiarità per mettere a punto strategie terapeutiche che colpiscano selettivamente le cellule tumorali?
Sono queste le domande a cui cerco di rispondere con il mio gruppo di ricerca, creato grazie a un grant Start Up di Fondazione AIRC presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele, dove sono arrivato tre anni fa dopo una lunga esperienza al Beatson Institute for Cancer Research a Glasgow.
Il metabolismo delle cellule tumorali è un argomento a cui mi dedico dai tempi del dottorato, conseguito all’Università di Roma Tor Vergata. All’epoca avevamo scoperto, in esperimenti di laboratorio, che impedendo alle cellule tumorali di utilizzare un aminoacido, la glutammina, le si rendeva più sensibili all’azione di alcuni farmaci chemioterapici.
Le cellule tumorali hanno molte differenze rispetto alle cellule sane e una delle principali risiede nel metabolismo. Le cellule del cancro sono molto avide di glucosio, ma sono anche capaci di utilizzare fonti energetiche alternative. Ciò dipende da mutazioni genetiche che si ripercuotono anche sulla produzione di enzimi che regolano il metabolismo. Si tratta di un adattamento che consente alle cellule tumorali non solo di sopravvivere ma anche di avere una marcia in più rispetto alle cellule sane.
Il nostro gruppo di ricerca cerca di descrivere nel dettaglio queste alterazioni e comprendere in che modo consentono il funzionamento della cellula tumorale. L’obiettivo finale del nostro lavoro è capire quali molecole, o quali “ruote” del complesso ingranaggio metabolico del tumore, sono essenziali alle cellule tumorali per sopravvivere. Tali molecole, se identificate, potrebbero diventare nuovi bersagli di farmaci in grado di causare selettivamente la morte delle cellule tumorali.
Il laboratorio è stato avviato ormai più di tre anni fa, anche se abbiamo subito un importante rallentamento a causa della pandemia, che ha avuto un forte impatto sulla possibilità di approvvigionamento e di realizzare gli esperimenti. Le conseguenze più pesanti, tuttavia, sono state sulle persone. Covid-19 ha creato un clima di incertezza e sfiducia specie tra i giovani ricercatori, che ha spinto alcuni di essi perfino a lasciare la ricerca.
Nonostante la pandemia, il lavoro è comunque andato avanti.
Nei mesi scorsi abbiamo per esempio scoperto che si può utilizzare uno zucchero molto simile al glucosio, il mannosio, per danneggiare il metabolismo del tumore. In esperimenti condotti con colleghi britannici abbiamo dimostrato che questo zucchero può essere utilizzato per indurre, da una parte, la morte delle cellule tumorali e bloccare la proliferazione impedendo loro di metabolizzare il glucosio. Dall’altra, abbiamo osservato che il mannosio può essere impiegato a scopo antinfiammatorio: consente infatti di “affamare" di glucosio alcune cellule immunitarie (i macrofagi) coinvolte nella risposta infiammatoria. Quando questa risposta diventa eccessiva può causare patologie infiammatorie come la rettocolite ulcerosa o il morbo di Crohn, malattie serie che, inoltre, espongono a un maggior rischio di sviluppare tumori del colon.
Nato a Roma nel 1982, si è laureato in Biologia cellulare e molecolare all’Università di Roma Tor Vergata e nello stesso ateneo ha conseguito un dottorato di ricerca, trascorrendo un periodo negli Stati Uniti, alla University of Massachusetts Medical School, a Worcester. Si è trasferito quindi nel Regno Unito, al Beatson Institute for Cancer Research a Glasgow, dove è rimasto per cinque anni. Oggi, grazie a un grant Start Up di Fondazione AIRC, coordina un gruppo di ricerca all’IRCCS Ospedale San Raffaele.
Simone Cardaci
Università:
IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano
Articolo pubblicato il:
20 luglio 2021