Verso un trattamento “chemio-free” per la leucemia acuta linfoblastica più comune degli adulti

Ultimo aggiornamento: 2 novembre 2020

Verso un trattamento “chemio-free” per la leucemia acuta linfoblastica più comune degli adulti

Un gruppo di ricerca tutto italiano ha dimostrato che una combinazione di terapia mirata a bersaglio molecolare e immunoterapia può curare con successo il tipo più frequente di leucemia acuta linfoblastica degli adulti, evitando la chemioterapia e i suoi pesanti effetti collaterali.

Con il nuovo protocollo il 98 per cento dei pazienti adulti con leucemia acuta linfoblastica (LAL) positiva per il cromosoma Philadelphia (Ph+) ha raggiunto, nello studio clinico, la remissione ematologica completa, ovvero non presentava più tracce di malattia. Inoltre il 60 per cento dei pazienti ha mostrato quella che gli esperti chiamano risposta molecolare, ovvero la conferma tramite PCR che il gene di fusione BCR-ABL, che caratterizza il cromosoma Philadelphia, non è presente nei campioni di sangue prelevati dai pazienti stessi. Infine, dopo un anno e mezzo dall’inizio del trattamento la sopravvivenza generale è pari al 95 per cento e quella libera da malattia arriva all’88 per cento.

Il tutto senza il bisogno di utilizzare in induzione e consolidamento la chemioterapia sistemica, che porta con sé effetti collaterali molto pesanti, ma puntando su una combinazione di terapia mirata a bersaglio molecolare e immunoterapia.

“Questo studio è la consacrazione di un’idea e giunge alla fine di un percorso lungo 15 anni nel quale abbiamo cercato di eliminare la chemioterapia nelle fasi iniziali dal trattamento della LAL Ph+” afferma Robin Foà, Professore di Ematologia all’Università Sapienza di Roma, primo autore dell’articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine. La ricerca è stata sostenuta anche tramite un programma 5 per mille di AIRC.

Nello studio, condotto con la partecipazione dei ricercatori del Gruppo italiano malattie ematologiche dell’adulto (GIMEMA), sono stati coinvolti 63 pazienti con LAL Ph+ di età superiore a 18 anni e senza limite superiore di età (il più anziano aveva 82 anni). I pazienti sono stati sottoposti a una prima fase di trattamento di induzione con l’inibitore tirosin chinasico dasatinib, seguito da una seconda fase di consolidamento con l’anticorpo monoclonale bispecifico blinatumomab, il tutto senza chemioterapia. Già dopo la prima fase di induzione 3 pazienti su 10 mostravano una risposta molecolare e i numeri sono raddoppiati (6 pazienti su 10) dopo i due cicli di blinatumomab previsti nello studio, fino ad arrivare a 8 su 10 se i cicli con l’anticorpo aumentavano. Tutti gli studi biologici sono stati condotti centralmente per garantire l’uniformità delle analisi in laboratori certificati.

“Con questo trattamento riusciamo a stimolare il sistema immunitario che si attiva contro il tumore e gli effetti collaterali del trattamento sono limitati; inoltre, molta parte della terapia si effettua a domicilio con riduzione quindi dei giorni di ricovero” aggiunge Foà, ricordando anche un altro dato molto incoraggiante legato ai pazienti successivamente sottoposti a trapianto allogenico: “La mortalità associata al trapianto è risultata molto bassa – il 4.1 per cento – e probabilmente questo è legato al fatto che i pazienti non hanno alle spalle la tossicità del trattamento chemioterapico e riescono a sopportare meglio il trapianto” precisa.

Questi risultati potrebbero cambiare profondamente la pratica clinica nel trattamento di quello che rappresenta il sottogruppo più frequente di LAL dell’adulto, la cui incidenza incrementa progressivamente con l’avanzare dell’età e che prima dell’avvento degli inibitori delle tirosin chinasi aveva una prognosi decisamente nefasta. “Va anche sottolineato – aggiunge ancora il prof. Foà – l’impatto di questa strategia terapeutica sulla qualità di vita dei pazienti, dovuto ai limitati effetti collaterali e alla ridotta ospedalizzazione. Questo è stato di particolare rilievo durante il picco primaverile della pandemia di Covid-19. L’induzione e il consolidamento con dasatinib e blinatumomab durano in tutto circa 6 mesi e poter eseguire gran parte del trattamento a domicilio ha permesso di non interrompere né ritardare la terapia prevista”. Conclude Foà, che assieme ai colleghi sta già lavorando a nuove opzioni “chemio-free” per questa forma di leucemia: “Questo studio è un punto di arrivo che apre a ulteriori sviluppi; abbiamo infatti anche ottenuto importanti informazioni di tipo molecolare che verranno approfondite nel prossimo protocollo clinico per una ulteriore personalizzazione della terapia dei pazienti adulti con LAL Ph+ di tutte le età”.

  • Daniela Ovadia